sabato 2 luglio 2011

STORIA MEDIOEVALE DELLA SARDEGNA (sintesi - 6ª parte)

MARIANO IV E LA FINE DEL VASSALLAGGIO AGLI SPAGNOLI
A cura di Giuseppe Mocci

Nel 1324 ebbe fine il vassallaggio della Sardegna a Genova e a Pisa ed ebbe anche inizio un nuovo vassallaggio, ora in favore degli spagnoli.
Si deve dar atto che i genovesi e i pisani hanno lasciato, tutto sommato, un buon ricordo, anche se hanno  sempre curato i loro interessi.
Ai pisani va riconosciuto il merito di aver portato in Sardegna vari ordini monastici, fra i quali, quelli dei benedettini e  dei camaldolesi.
Agli stessi pisani, architetti e manovalanze, dobbiamo la costruzione delle più grandi e belle chiese romanico-pisane: S.S. Trinità di Saccargia; San Gavino di Portotorres; Nostra Signora del Regno di Ardara; S. Antico di Bisarcio (Ozieri); San Pietro di Sorres (Boruta); Santa Giusta.


chiesa S.S. Trinità di Saccargia (foto in  alto) e San Gavino di Portotorres 

Anche Oristano ebbe la sua chiesa romanico-pisana, forse quella  distrutta, nel 1195, dagli eserciti dei Giudicati di Cagliari e Sassari al tempo della guerra dinastica contro Pietro I e Ugone I, Giudici in condominio di Oristano.
Su ciò che rimase del primo nucleo venne  ricostruita la chiesa, poi ingrandita  fino a diventare la Cattedrale di Oristano. Oggi, di quella chiesa, rimane solo una piccola parte, quella posteriore  e laterale all’altare maggiore, dove, sulla destra  c’è  la cappella del Rimedio, illuminata dal una bellissima finestra trifora.
Altri particolari: sulla parete di destra ben visibile, c’è una lastra di marmo in ricordo di un certo Filippo Mameli,  morto nel 1349;  nella parte posteriore all’altare maggiore è visibile, dalla piazzetta Duomo, una grande e bellissima finestra bifora.

Cattedrale di Oristano: cappella del Rimedio (foto a sinistra) e finestra bifora (foto a destra)

Con la presenza degli spagnoli in Sardegna (Regno di Sardegna aggregato al Regno Catalano-Aragonese), nel Giudicato di Arborea (Vassallo del Re spagnolo e dato in feudo perpetuo agli Arborea al tempo di Ugone II),  si insediò intanto Pietro III (figlio primogenito di Ugone II), il quale seguì  la politica filo spagnola del padre.
Egli morì dopo pochi anni (1347) e sul Giudicato di Arborea salì il fratello Mariano IV, che, assieme ad altri suoi fratelli, aveva studiato in Catalogna e frequentato la Corte.
Mariano, durante la permanenza a Barcellona, venne  armato cavaliere dal re Alfonso il Benigno ed ivi prese anche moglie: la nobile Timbora  dei Rocabertì, dalla quale  ebbe tre figli: Ugone, Eleonora e Beatrice.
Mariano, prima di rientrare in Sardegna,  era stato insignito dallo stesso Re Alfonso, del titolo onorifico di Conte del Goceano e Signore della Marmilla; “due dei territori ultragiudicali già in possesso degli Arborea ma giuridicamente appartenenti al Regno catalano-aragonese di Sardegna”.
Regnando ancora il fratello Pietro III, rientrò con la famiglia in Sardegna e si stabilì nel castello del Goceano “presidio della sua contea, popolandone il borgo (oggi Burgos) e concedendo a chi andava a colonizzare la zona una carta di privilegi e franchigie perpetue”.
In quel periodo si fece “ritrarre con la grande spada di cavaliere al fianco”, per un polittico (un grande quadro suddiviso in pannelli) della cattedrale di Ottana, sede vescovile del suo feudo; polittico  ancora esistente.


ritratto di Mariano IV d'Arborea (polittico di Ottana)

Mariano  IV, diventato Giudice, continuò, inizialmente, la politica filo spagnola e partecipò anche alla guerra contro Pisa e Genova, che non volevano riconoscere il diritto del re d'Aragona sul Regno di Sardegna.
Con l'aiuto determinante degli arborensi Genova e Pisa vennero sconfitte e costrette ad accettare l'autorità del re d'Aragona. In seguito alla sconfitta subita, Genova perse  la città fortezza di Alghero (1353/55), che  passò in mano ai catalano-aragonesi.
Ma già intorno al 1350 i rapporti di buona alleanza tra il Giudice d'Arborea e il Re D'Aragona si incrinarono, anche a causa della defezione del fratello del Giudice, Giovanni, signore di Bosa e di Monteacuto, anche lui nominato dal Re aragonese, quando studiava a Barcellona.
Giovanni non volle riconoscere l’autorità del Giudice d’Arborea, perchè riteneva di aver avuto i suoi feudi dal Re, al quale, soltanto, doveva fedeltà.
Mariano allora lo fece arrestare, assieme al figlio Pietro (moriranno in carcere) e occupò i suoi feudi.
Incoraggiato dai suoi successi e, soprattutto, dalla plateale simpatia e amicizia dimostrata dalle popolazioni sarde, che mal tolleravano i soprusi  degli Spagnoli, Mariano  cambiò politica e si adoperò in tutti i modi per unire intorno al suo Giudicato tutta la Sardegna.  Intendimento dimostrato anche dall’arresto del fratello e conseguente  rifiuto al Re di liberare Giovanni e di restituirgli le terre.
Non solo, ma strinse  nuove  e potenti alleanze.  Altro fatto significativo  è stato  la modifica dello stemma del Giudicato d’ Arborea.


stemma degli Arborea

Mariano infatti tolse dallo stemma i pali catalani, che erano situati lateralmente all’albero diradicato,  e vi  lasciò  soltanto l’albero diradicato in campo argento o bianco. Dimostrazione chiara della sua indipendenza.
Nel 1353 ha inizio una lunga guerra di Mariano contro i catalano-aragonesi, con esiti alterni, ma le vittorie dell’esercito arborense sono state più numerose e fruttuose.
Mariano riuscì a cacciare gli spagnoli da quasi tutti i suoi feudi, resistettero solo le città di Cagliari, di Alghero e il castello di Sassari.  Riuscì anche a imporre al nemico la fine della guerra “con la pace di Sanluri dell’11 Luglio 1355.”.
Mariano  impose un decennio di tranquillità all’Isola.  “Fu il periodo di massimo splendore per L’Arborea e per Oristano, frequentata da grandi personaggi del continente italiano ed europeo”. In questo periodo Mariano fa sposare fuori Sardegna il figlio Ugone e la figlia Beatrice.
“La ricchezza e la magnificenza del Regno (Giudicato) attiravano anche imprenditori, faccendieri, professionisti ed artisti ben pagati dagli Arborea per le loro opere e i loro servizi. Mariano era ricco di per sé.”
In Arborea non fu mai battuta moneta.” Erano state sempre usate monete correnti e forti, in uso nel continente italiano ed europeo; specialmente i fiorini d’oro di Firenze.”.
Con Mariano IV si mise” in atto lo - ius cudendi -, facendo  coniare denari, patacchine e minuti di necessità, forse in pochi esemplari, tutt’altro che buoni, alcuni rinvenuti di recente.”
In questo decennio Mariano, con la collaborazione “di giuristi sardi e continentali mise mano a riordinare la legislazione statale, fino ad allora tramandata oralmente”. Egli fece una prima raccolta di leggi; raccolta che verrà  poi ampliata e pubblicata dalla figlia Eleonora nel 1392 , dal titolo "CARTA de LOGU”.
“Nel 1365 Mariano fece riaccendere nell’isola il conflitto, con l’attacco al Castello catalano-aragonese di Sanluri.”. E, per “realizzare il suo sogno di unità nazionale” si recò a Roma in Vaticano… ”si presentò al sommo pontefice e trattò con la Curia romana perché togliesse la titolarità del Regno di Sardegna al Re d’Aragona e la desse a lui.”
Nel 1368 il Re d’Aragona, che, nel frattempo, aveva organizzato una grande armata al comando di Don Pedro de Luna (comprendente anche truppe mercenarie e due capitani sardi della Baronia di Osilo: i fratelli Sanna), fece  invadere il territorio di Arborea.
Don Pedro avanzò fino  ad Oristano, che strinse d’assedio, perché Mariano non accettò lo scontro in campo aperto. Dopo alcuni giorni, a sorpresa, Mariano mosse al contrattacco e sconfisse l’armata spagnola nei pressi di S. Anna, dove molti nemici persero la vita (morì anche Pedro de Luna) e tanti altri vennero fatti prigionieri.
Mariano allargò ancora i suoi confini e si avviava al raggiungimento del suo scopo, quando nell’estate del 1376, morì di peste all’età di 57 anni. 


    Mariano IV, raffigurato in una scultura nella chiesa di San Gavino martire

“Nel "Pantheon" di San Gavino Mariano è scolpito col ciglio fiero, la corona sul capo, la mascella volitiva, il naso diritto e gli occhi severi, mentre stringe con la mano sinistra lo scettro e reca a lato lo scudo araldico col simbolo del suo Stato: l’albero deradicato.”.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

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