venerdì 23 settembre 2011

LE ISTITUZIONI SPAGNOLE IN SARDEGNA: L'INQUISIZIONE E GLI STAMENTI



L'INQUISIZIONE 

“Cominciata contro l'eresia, negli ultimi anni del XV secolo, e subito dopo verso gli ebrei e i mussulmani che per non essere espulsi avevano dovuto, come gli ebrei, convertirsi alla religione cristiana, il Tribunale del Santo Ufficio (che provvedeva all'Inquisizione) raggiunse la massima potenza e le persecuzioni si moltiplicarono, soprattutto contro i seguaci della Riforma.”.
L'Inquisizione era una istituzione tipicamente spagnola, “per il fanatismo delle popolazioni e l'assolutismo politico e religioso dei sovrani”.
Fu introdotta in Sardegna e “si ebbero limitati casi d'intervento, per l'isolamento e la scarsa intellettualità delle popolazioni, anche di Cagliari e Sassari, estranee ai movimenti spirituali e religiosi d'Europa; se non sapessimo che le denunce avvenivano spesso anche per malanimo, rivalità e rancore, e i testimoni prezzolati erano sempre pronti a confermare accuse, vere o false, perché si schiudessero le carceri dell'Inquisizione.
E non ignoriamo quanto fosse difficile, anche per gli innocenti, difendersi dalle imputazioni e riavere la libertà senza essere ancora sospettati”.
In Sardegna si verificarono, come detto, pochi casi di intervento, e fra questi meritano di essere ricordati quello contro il Vicerè e cugino del Re, Antonio di Cardona e l'altro contro Sigismondo Arquer, suo consigliere.

ANTONIO CARDONA

Antonio Cardona, Viceré del Regno di Sardegna e cugino del Re, “aveva cercato di porre freno alla prepotenza di alcune famiglie nobili di Cagliari, piccola aristocrazia provinciale ma usa a spadroneggiare e perciò intollerante dei poteri del vicerè e dei funzionari”. Queste famiglie (Zapata, Aymerich e altre) si coalizzarono contro il Viceré e il suo consigliere “procurando, con intrighi, accuse infondate e false, di ottenere il richiamo o l’esonero del primo, di intentare un procedimento penale contro il secondo”.
Il tentativo fallì perché il Cardona si recò in Spagna e riferì al Re della grave situazione creatasi in Sardegna a causa delle lotte intestine fra le varie potenti famiglie dei “riccos hombres” di Cagliari e ne ottenne la conferma della sua fiducia. Antonio G. Arquer, il consigliere del Viceré,” aveva facilmente dimostrato insussistenti le malversazioni di cui era stato incolpato. Contro entrambi si ricorse al mezzo più vile ma più efficace per procurare la rovina: la denuncia al Santo Ufficio per eresia.”
Entrambi vennero prosciolti da ogni accusa, “tuttavia l’Arquer, prima di essere riabilitato e anche fatto cavaliere, era stato tenuto in carcere per oltre un anno; mentre il Cardona, non imprigionato, aveva però dovuto subire un processo e con lui erano stati implicati anche la moglie e alcuni familiari, con l’accusa di eresia, esorcismi, adorazione del diavolo, ecc.”

SIGISMONDO ARQUER 

Egli era figlio di Antonio G. Arquer e ricopriva la carica di avvocato fiscale del Regno; noto giurista, teologo e scrittore. “Per quanto osteggiato dalla consorteria nobiliare cui abbiamo accennato or ora, agì con mano ferma, senza lasciarsi intimidire”.
Sigismondo Arquer, nel suo volume “'Sardiniae brevis historia et descriptzio', oltre a descrivere la Sardegna sotto l’aspetto geografico, politico, culturale e sociale, aveva espresso un giudizio negativo sul clero sardo, che definì: “ignorante e impegnato più a procreare che a studiare”. Questo giudizio gli costerà, in seguito, un lungo processo e la condanna al rogo per eresia dal Tribunale del Santo Ufficio.



Egli venne accusato dalle famose famiglie cagliaritane in combutta con il clero che non gli aveva certo perdonato il famoso giudizio “di aver diffuso in Sardegna e poi in Spagna dottrine eretiche e di aver avuto rapporti con noti esponenti luterani; dopo otto anni di detenzione e sottoposto a tortura, non gli venne, comunque, strappata alcuna confessione. E’ rimasta famosa una sua frase, pronunciata prima di salire sul rogo: “Muoio non perché vecchio e malato, ma per non dover dichiarare il falso”.




STAMENTI, EDITI E PREGONI 


Gli Stamenti, nel Regno di Sardegna, costituivano una forma di Parlamento, composto da tre bracci; “in lingua catalana estament, estat o bras (braccio)”.
I tre Stamenti si riunivano in seduta plenaria solo due volte all’anno e sempre “per esclusivo ed espresso ordine sovrano.”
I tre bracci erano: il militare, il regio e l’ecclesiastico.
Il braccio o stamento militare era composto dai feudatari; quello regio era composto dai deputati delle città e dei luoghi di regia giurisdizione; l’ecclesiastico era composto dagli arcivescovi e vescovi.
“Per i lavori ogni stamento teneva le sue sedute a parte; l’ecclesiastico, nella sacrestia della cattedrale; il reale (o cittadino) nel palazzo di città ; il militare (o nobiliare) in una chiesa qualunque.” Quest’ultimo, forse il più importante, era deputato a nominare uno dei suoi membri, come delegato, “per presentare al re le richieste dei parlamentari insieme all’offerta del donativo e per discutere con il Consiglio d’Aragona i problemi riguardanti il Regno di Sardegna.”

EDITTI 

Essi, praticamente, erano provvedimenti emanati per il Regno di Sardegna e formarono una raccolta di leggi, che partendo dal diritto romano alla Carta de Logu, regolamentavano, sotto tutti gli aspetti, la vita dei cittadini sardi.
“Dal latino edicere, che vuol dire annunciare. E’ l’ordinanza emanata da una autorità… è considerato la manifestazione dello ius imperii, vale a dire del potere che una determinata autorità può esercitare.”.

PREGONI

“Dal latino praeconium = crida, grida, bando. Nel Regno di Sardegna il pregone era l’editto regio o viceregio reso pubblico tramite circolare a stampa. I pregoni viceregi venivano spediti in forma cancelleresca, firmati dal reggente la Real Cancelleria e dall’avvocato fiscale Regio. Se così, avevano forza perenne di legge; invece, se alla firma del viceré seguiva quella del solo segretario non aveva vigore che per il tempo in cui restava in carica il viceré che lo aveva emanato”.

Testi a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

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