lunedì 16 gennaio 2012

Storia di un riolese: Benigno “Il Mecenate” - di Giuseppe Mocci (1a parte)

Benigno, classe 1918, non c’è più. Sono finite le feste. 
Durante l’estate di San Martino di questo infelice anno 2011 se ne è andato, quatto quatto, l’amico Benigno, “il Mecenate moderno”.
Lo hanno portato lontano dal suo paese natio, che tanto ha amato e glorificato. Cristianamente è stato seppellito accanto alla moglie, nel cimitero di Seneghe, come prestabilito. 
Io lo ricordo giovane, abile arruolato, con un grande e variopinto fazzoletto al collo, il giorno della festa dei giovani della leva, classe 1918, in Sa Ruga Manna a Riola. Suonava il famoso Efisio Luigi Mocci, virtuoso fisarmonicista.
Era uno spettacolo veramente interessante e bello; i giovani del ‘18 ballavano fra loro, cantando canzoni d’amore e inni di guerra. La gente, accorsa numerosa, fu coinvolta in quella straordinaria festa e, alla fine, tutti intonavano l’inno sardo “Deus Salvi su Re e su Regnu Sardu”, seguito dal doveroso grido fascista “Viva il Duce! Vinceremo! Eja, eja, alalà!”. 
Non rividi per oltre sei anni Benigno; sei anni di guerra, girovago per l’Europa, prima da combattente per il Duce, il Re e l’Italia, poi milite ignoto, combattente per la sua sola sopravvivenza.

Benigno Daga, militare ad Alessandria nel 1939-40

Per apprendere l’arte della guerra fu inviato a Alessandria, da dove lo spedirono in guerra in Albania.
Nel 1943, quando l’Italia fascista ormai sull’orlo della sconfitta firmò l’armistizio, Benigno, assieme a migliaia di soldati italiani, venne fatto prigioniero dai tedeschi e avviato in treno merci nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, dove subì l’umiliazione dei lavori forzati, soffrì la fame e conobbe la degradazione umana. 
A seguito di un meticoloso controllo dei suoi documenti, gli aguzzini scoprirono che Benigno aveva un secondo nome: Israele. Nome, questo, datogli alla nascita dal padre, uomo autodidatta ma in possesso di una buona cultura; soprattutto grande conoscitore del nuovo e vecchio testamento, degli antichi filosofi greci e della Divina Commedia (dicono che recitasse a memoria tutto il cantico dell’Inferno). Ispirato da Dante, infatti, egli diede il nome di Beatrice alla figlia; mentre gli altri figli li chiamò: Belisario, Benigno Israele, Nicodemo e Platone
Benigno Israele, quindi, fu considerato dai nazisti un ebreo, subito trattato brutalmente e trasferito nel campo di sterminio di Dachau, in Germania. 
Appena arrivato nel campo, venne messo in fila assieme agli altri prigionieri per il conteggio degli stessi da mandare ai forni (la tragica selezione). 
Quando il comandante tedesco, contando fino a dieci, si fermò davanti a Israele, con l’indice della mano puntato verso di lui, Benigno gridò: Sant’Anna mia bella!” e cadde immediatamente a terra svenuto. Svegliatosi, il nostro si trovò abbracciato da due compagni, che subito lo rincuorarono dicendogli:
Tu avevi visto male, i tedeschi hanno portato via quello che stava alla tua destra. Su, coraggio, andiamo in camerata!

Campo di concentramento di Dachau (foto wikipedia)

Il giorno dopo Benigno Israele venne baciato dalla Dea Fortuna, poiché fu assegnato alla mensa ufficiali, come panettiere. Ciò avvenne a seguito di uno strano interpello collettivo, nel cortile antistante alla camerata. Ai prigionieri schierati in fila, i nazisti chiesero se tra di loro ci fosse un panettiere. Israele alzò subito entrambe le mani e così venne assegnato alla mensa ufficiali. 
Egli, ricordandosi che a casa sua il pane si faceva settimanalmente, e che lui lo sapeva lavorare a dovere, si adoperò tanto in sala lavorazione e anche in altre incombenze. Si accattivò subito la simpatia e la fiducia dei suoi aguzzini. Incominciava molto presto la giornata: serviva il pane fresco a colazione, serviva con la massima cortesia e precisione il pranzo e la cena, rimetteva in ordine ogni cosa. 
Durante il tempo libero Benigno Israele poteva leggere e, soprattutto, studiare la carta geografica dell’Europa che si trovava appesa alla parete della sala da pranzo. 
Il nostro improvvisato panettiere, davanti alla carta geografica, puntava il suo sguardo alla Sardegna e, con le lacrime agli occhi, fermava la sua attenzione su Riola Sardo. 
Non passò molto tempo che, godendo sempre più della fiducia dei suoi custodi, riuscì miracolosamente ad evadere dal campo assieme ad un amico toscano di nome Elio
Avendo studiato nei minimi particolari la strada da percorrere, i due evasi si avviarono in direzione del Belgio, vestiti con abiti civili rubati ai tedeschi; camminavano solo di notte. 
Dopo qualche giorno, Benigno Israele ed Elio riuscirono a varcare il confine e si trovarono in Belgio. Raggianti di gioia e commossi i due si abbracciarono. Subito dopo si trovarono davanti ad una fattoria, recinta da una staccionata, scavalcata la quale, si trovarono davanti ad una stalla vuota; lì attesero l’alba. 
A mattino inoltrato Benigno vide un vecchio che, a fatica, stava radunando le numerose vacche per portarle alla mungitura. Senza nemmeno svegliare l’amico, gli si avvicinò e si presentò. Gli disse, in varie lingue, di essere un soldato italiano fuggito da Dachau e aggiunse di essere anche lui un allevatore di professione; poi, incoraggiato dall’atteggiamento benevolo del vecchio, gli rivelò di essere in compagnia di un altro italiano. Il vecchio, commosso, lo abbracciò e assieme andarono a svegliare Elio. Subito i due italiani aiutarono il vecchio a condurre il bestiame nella stalla per la mungitura.
 Il signor Scheldman, così si chiamava il vecchio, li presentò dopo in famiglia e i due divennero graditi e utili ospiti. Benigno ed Elio rimasero presso questa famiglia fino alla sconfitta della Germania, avvenuta nell’aprile del 1945.

Benigno, con la famiglia Scheldman

Essi trascorsero tutto questo tempo in piena armonia con la famiglia; si rivelarono, riconoscenti, un prezioso aiuto per la fattoria, perdurando la mancanza di manodopera a causa della guerra. 
Venuti a conoscenza della fine della guerra, i due decisero di rientrare in Italia. Il giorno della partenza, in casa Scheldman scese il silenzio; seguirono gli abbracci, le lacrime, i mille ringraziamenti e le promesse di un arrivederci a presto, da parte di tutti. 
Benigno ed Elio, con un generoso gruzzoletto di franchi francesi donati loro dalla famiglia belga, partirono per la Francia in treno. A dimostrazione del grande affetto e della riconoscenza verso gli Scheldman, Benigno, rientrato a Riola, negli anni a seguire li ospiterà in casa sua numerose volte e sempre d’estate, come di loro gradimento. Un bellissimo e raro esempio di umana riconoscenza.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

Editing G.Linzas - Foto fam. Daga

1 commento:

  1. Sr. Giuseppe la ringrazio per questa sua breve memoria in ricordo di mio padre, e ringrazio il sito Is arrioresus per averlo pubblicato-
    dr. Bruno. M. Daga

    RispondiElimina