mercoledì 18 gennaio 2012

Storia di un Riolese: Benigno “Il Mecenate” - di Giuseppe Mocci (2a parte)

Elio e Benigno lasciarono il Belgio, partendo da Bruxelles in treno. Arrivati a Parigi decisero di fermarsi in città per qualche giorno; la loro permanenza in questa bellissima città durò invece quasi due anni.
Essi furono subito attratti dalla bella vita; sembravano due parigini allegri e spensierati, completamente soggiogati dalle bellezze artistiche della città e dalla sua vita animata, così come lo furono Ulisse e compagni, ospiti della famosa maga Circe. 
A Parigi i due trovarono subito lavoro in un mulino ed anche un alloggio in un locale adiacente.

Benigno a Parigi nell'immediato dopoguerra, con i colleghi di lavoro

Una domenica d’aprile del 1947, mentre Benigno attendeva un’amica nel quartiere del Trocadéro, venne fermato da una donna di mezza età, con in mano uno strano mazzo di carte. Questa lo invitò a prendere una carta, con un sorriso ambiguo. Egli, curioso, ne prese subito una dal mazzo, la guardò e vide in essa un grande sole con una nuvola al centro.
La maga” (così la chiamò dopo Benigno) prese in mano la carta e chiese del denaro per leggergli il destino. Incuriosito ancora di più, le diede dieci franchi, cosicché la maga, con uno strano rito delle mani, incominciò la lettura:
Rientrerai presto nel tuo paese, farai una grande fortuna, ti sposerai con una ragazza molto più giovane di te, ti uccideranno il primogenito”.
Benigno rimase sconvolto dalla profezia e non disse nulla; si girò da tutte le parti per vedere se arrivava l’amica, poi si volse nuovamente verso la “Maga”: era sparita. 
Il nostro esule pensò, per consolarsi, che la donna aveva fatto quelle previsioni, forse perché le aveva dato soltanto dieci franchi. Arrivata finalmente l’amica, entrarono in un locale ma Benigno non sembrava più lui; infatti, consumato in fretta e furia il pranzo, salutò l’amica, incredula per questo strano comportamento. 
Rientrato nel suo alloggio, non salutò nessuno e si mise a letto; non riuscì a prendere sonno, il suo pensiero era sempre rivolto alla famiglia, a Riola. In paese, prima di partire per la guerra, aveva anche una ragazza, sua coetanea, che non corrispondeva quindi a quella descritta dalla “Maga”. 
Dopo mille pensieri, progetti e varie considerazioni, si alzò: aveva deciso di rientrare in famiglia e sposare la fidanzata riolese. Egli non si presentò in mulino, comunicò la sua irrevocabile decisione al suo caro amico e al datore di lavoro, che ringraziò con affettuosa riconoscenza. Elio cercò di dissuaderlo; ma, come al solito, prevalse la scelta di Benigno, del quale era stato sempre succube.
Il giorno dopo i due amici erano in treno diretti in Italia. A Firenze Elio, con grande slancio d’affetto, abbracciò l’amico e scese dal treno in lacrime; avrebbe voluto far conoscere l’amico e suo salvatore ai suoi. Sì, suo salvatore, perché senza la determinazione di Benigno sarebbe finito in un forno di Dachau. I due si rivedranno poi, per tanti anni, a Riola; anche Elio, infatti, veniva d’estate assieme alla famiglia Scheldman
Arrivato in paese, si verificò la prima previsione della maga parigina; la ragazza, che aveva platonicamente amato, come si usava a quei tempi, si era sposata. 
Il suo impegno, da quel momento, fu dedicato esclusivamente al lavoro, che riprese con grande dedizione e determinazione. Lavorò tanto, prima come allevatore e agricoltore, poi cambiò mestiere; fece l’autotrasportatore e si diede al commercio.
Egli fece fortuna e sposò una bella ragazza, molto più giovane di lui. Si realizzarono, così, due previsioni della maga. 
Benigno incrementò ancora la sua azienda; aprì bottega a Cabras e a Oristano. In questa città costruì un grande palazzo, che gli oristanesi chiamano “il Colosseo di via Sardegna”, proprio per la sua forma e grandezza. Acquistò una casa al mare, a Santa Caterina, per l’amatissima sorella Beatrice, molto religiosa e devota a Santa Caterina; costruì inoltre una grande villa, sempre al mare, a Torre del pozzo, per la sua famiglia. 
Il nostro imprenditore, va detto, pur avendo avuto sempre l’obiettivo di incrementare il suo patrimonio, non è stato mai avido di denaro. Egli, grazie alle sue attività, diede lavoro a tante persone. 

Festa di Sant'Anna anni '50

Benigno amava moltissimo la compagnia ed i festeggiamenti; era un buongustaio, un uomo di mondo!
Già dal suo ritorno a Riola, egli fece il Presidente del Comitato per i festeggiamenti di Sant’Anna e San Martino, per oltre dieci anni consecutivi. 
Trasferitosi ad Oristano, venne nominato Presidente di vari Comitati per i festeggiamenti di molti santi, in città e frazioni. Benigno veniva nominato Presidente, oltre che per le sue doti di eccellente organizzatore, anche per la sua grande generosità: pagava quasi tutto lui. 
Nel 1974 si avverò, purtroppo, anche l’ultima e tristissima previsione della maga parigina; maledetta strega! Al nostro Benigno rapirono il primogenito Luigi, che non fece mai ritorno. A questo tristissimo avvenimento, come si può capire, Benigno e la sua famiglia ebbero a soffrire della più grande sciagura che possa capitare ad un essere umano. 
Data la sua tempra, superò anche questa tristissima sciagura e continuò la sua vita col solito vigore, anche se (come poteva notare chi l’aveva frequentato e ben conosciuto) con un leggero e sofferto affievolimento, sotto tutti gli aspetti. 
Oggi mi piace ricordare l’amico Benigno, il vero Benigno dei tempi felici, Benigno il Mecenate. 
Come la domenica è giorno di riposo, il sabato per Benigno era giorno di festa. 

Benigno in festa con amici suonatori e cantanti 

Egli doveva festeggiare il sabato con i suoi collaboratori e gli amici vicini e lontani (aveva amici da per tutto).
Ricordo una grande festa presso la sua azienda agricola a pochi chilometri da Riola; era un sabato d’Estate inoltrata. Arrivarono un centinaio di amici da tutte le parti della Sardegna, quasi tutti famosi: chi per la poesia sarda, chi per il canto sardo e chi per la bravura nel suonare uno strumento musicale. 
Ricordo, in particolare, l’accoglienza al mio arrivo con un carissimo amico: Sandro Ladu. Questa la scena: appena varcato l’ingresso dell’azienda, ci vennero incontro due giovani donne in costume sardo; una aveva in mano un cestino pieno d’uova sode, l’altra una bottiglia di Vernaccia e un bicchiere; "le offerenti", le chiamai io. Poco distante c’era il padrone di casa, che si avvicinò a noi e con un sorriso smagliante ci salutò. Io, con un uovo in una mano e il bicchiere nell’altra proposi un brindisi e dissi:
Alla salute nostra e soprattutto al nostro mecenate, salute!
Continuai recitando la famosa frase latina: Ab ovo ad malum.
Benigno, non conoscendo il significato della frase, mi pregò di tradurla, dicendo:
Nara Zuseppi, no ast’essi pighendimì in ziru!
Io, subito gli diedi la seguente spiegazione:
Una volta, i ricchi e nobili romani usavano iniziare i suntuosi pranzi offrendo agli ospiti uova sode, come pure, alla fine, offrivano la frutta
Egli allora sorrise, felice; ci prese a braccetto e ci condusse a tavola, aggiungendo:
De frutta ze ndi tenèusu meda e bella! Ajò, andàusu!
Arrivati davanti alla casa, dove erano già arrivati tanti ospiti, ce li presentò; c’erano i più noti e apprezzati cantautori e cantanti in “limba” della Sardegna, e anche un gruppo folcloristico nuorese. A cena, seduti a una lunga tavolata, sotto gli ulivi, eravamo oltre cento persone.
Nel corso della serata si alternavano i canti, le poesie e le belle esibizioni del gruppo folcloristico. Durante uno dei tanti brindisi, accennai appena alla famosa festa della classe 1918, in sa ruga manna nel 1939, naturalmente per esaltare le sue doti. Al ché Benigno mi interruppe gentilmente, dicendomi in sardo:
Zuseppi lassa stai, fueddàusu de crasi!
Sollevando il bicchiere, risposi:
Bene! Brindiamo, augurando a Benigno sempre maggior successo, salute e lunga vita!
Seguirono al mio brindisi fragorosi applausi e auguri di a chent’annos.
La festa continuò fino al mattino successivo. Io, assonnato e un po’ brillo, alle due del mattino, col permesso del padrone di casa lasciai la bella comitiva.
Vi rimase invece l’amico Sandro Ladu, grande conoscitore della Musa sarda; mi riferirono dopo che anch’egli cantò in limba, riscuotendo grande successo.
Raggiunsi il parcheggio, dove trovai due giovanotti che mi misero nell’auto un bel pacco di dolci sardi, ringraziandomi, anche loro, per la partecipazione alla festa e augurandomi buon viaggio.

Testo a cura di Giuseppe mocci - Tutti i diritti riservati

Editing G.Linzas  - Fotografie  famiglia Daga

Nessun commento:

Posta un commento