sabato 5 maggio 2012

Còntusu: “SA SUPPOSTA” di Giuseppe Mocci

Nel 1957 una mia carissima amica si laureò in medicina; forse era la prima donna medico in tutta la nostra provincia. 
Incominciò subito a lavorare come supplente di vari medici condotti. Finalmente, dopo qualche anno, venne nominata medico condotto in un paese dell’oristanese.
La sua presenza fu accolta, ovunque, con curiosità e, spesso, con poca convinzione sulla sua professionalità, perché allora, nella convinzione generale imperante, il medico era e doveva essere ũ dattori, cioè un uomo. 
L’amica mi raccontò spesso di lunghi e umilianti discorsi con certi pazienti maschi, i quali a volte la rifiutavano. Comunque la nostra dottoressa esercitò fino alla pensione la sua professione, con passione, umanità e capacità. 
Dell’amica ricordo diversi fatterelli curiosi che le sono capitati durante la sua lunga carriera. Uno in modo particolare lo ricordo sempre e lo racconto agli amici; gli capitò nei primi anni, quando si iniziava ad usare una nuova medicina: la supposta.


La nostra dottoressa abitava in questo paese presso una vecchia e ricca zia; donna sana e ben vissuta, assistita anche da una brava tzaracca di nome Francesca (“Franzisca” per la sua padrona). 
Una sera la zia ebbe la sensazione di non star bene. Preoccupata, chiamò Franzisca e le chiese un parere sul suo sospetto malessere.
La “tzaracca”, per tranquillizzarla, le rispose che, avendo una dottoressa in casa, non c’era di che preoccuparsi; questa avrebbe potuto somministrarle una medicina per farla star meglio.
Senza perdere un attimo di tempo, andò subito a svegliare la dottoressa che era già a letto nella sua stanza e le raccontò i sintomi del malessere della zia.
La dottoressa ascoltò con attenzione i sintomi descritti da Franzisca, poi, avendo capito che non si trattava di niente di preoccupante, prese una supposta da una borsa e gliela diede dicendole:
Lèi! E naraddi a tziedda ca crasi a manzãu ad a torrai sãa che pischi!
Franzisca, tornata dalla sua  padrona, ripeté le parole della dottoressa. Al che la povera zia prese in mano la supposta e, non avendola mai vista, le chiese:
Ita stoccada esti custa cosa? Ma comenti dda deppu pigai? 
Pàridi ũ tzucculati, ma è tostau. 
Bai de netta mia e faidì nai comenti si pìgada!
La fedele "tzaracca" ritornò di corsa dalla dottoressa per le dovute spiegazioni. Avutele, le comunicò alla padrona. 
La vecchia si alzò di scatto dal letto, prese in mano la supposta e con violenza la scagliò sul pavimento. Contrariata, disse a Franzisca:
Naramì tui?!  Candu ũa cosa no bàllidi nudda, ita naràusu in bidda?
 Cravatincheddu in paneri! 
 Custa maighĩa non srèbidi a nudda. Ma deu no mi dda sticcu in paneri! 
Piga sa scova e pullimì su logu!”

Testo di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati.

Editing G.Linzas 
Revisione dialetto B.Sulas

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