venerdì 17 luglio 2015

Riola nell' '800 – “Dizonario Angius-Casalis”

La maggior parte delle informazioni e dei dati statistici sul paese di Riola nell’800 si ricavano dalla monumentale opera “Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna” del Casalis. 
La parte relativa alla Sardegna e ai suoi villaggi venne curata da Vittorio Angius (1797-1862) che fu sacerdote, scrittore, giornalista, storico e politico. Egli effettuò ricerche d'archivio per quanto riguarda l'epoca medioevale, mentre per il resto si recò di persona in ogni singolo paese per appuntare le usanze, le credenze, le feste, la geografia e le storie tramandate oralmente di ogni singolo villaggio.
La forma dell' opera è quella di un resoconto di viaggio nel quale sono appuntati minuziosamente tutti gli aspetti della Sardegna. Ancora oggi quest'opera rappresenta una fonte indispensabile per gli studiosi della cultura sarda. (f. wikipedia)





Riola, od Oriola [Riola Sardo], villaggio della Sardegna nel Campidano arborese, compreso nella provincia di Busachi e nel mandamento di Cabras della prefettura d’Oristano. Era parte del Campidano maggiore, o di Villamaggiore. Siffatto nome credesi provenuto da quello del fiume, il quale equivarrebbe a Riviera. La sua situazione geografica è nella latitudine 39°59'30" e nella longitudine occidentale dal meridiano di Cagliari 0°35'.
Siede in perfetta pianura presso alla sponda sinistra del fiume di Milis e a un miglio e mezzo dall’intimo seno dello stagno di Cabras, in esposizione a tutti i venti, fuorché dalla parte di greco-tramontana, dalla quale è riparato per la mole della montagna di S. Lussurgiu.
Le strade sono quasi tutte diritte, e dividono il paese in nove rioni: le case costrutte a mattoni crudi ciascuna col cortile, dove suol vedersi una pergola che ombreggia e dà bei grappoli per la mensa.
La temperatura dell’inverno, come negli altri paesi del Campo arborese, è molto mite, quella dell’estate assai elevata, se non soffino i venti periodici di mare e di terra; la umidità è grandissima, la neve rara e presto solubile, e l’aria in certi tempi molto insalubre per le maligne esalazioni, che si spandono da’ pantani, dalle paludi fangose che si formano nel letto del fiume ne’ tempi caldi, e da’ letamai che trovansi nell’estremità del paese. Le nebbie sono spesso molto nocevoli a’ seminati ed a’ frutti.
Il suo territorio estendesi tutto sopra il piano verso il Sinis, ed ha forse una superficie di più di 30 miglia quadrate, nella quale non sono altre eminenze, che le appellate Monti de Palla e Monti de’ Trigu. Manca il bosco e si trovano solo macchie e arbusti verso il Capo-Manno, nelle regioni prossime alle torri della Pelosa e della Mora.
In quei luoghi trovano i cacciatori molti daini e cinghiali, provenienti dalle prossime montagne. Le altre specie di caccia più comuni sono i conigli, le lepri e le pernici.
Invano in tanta superficie si ricercherebbe una fonte, e gli abitanti devon bevere, quando viene agli uomini la rara voglia di bever acqua da un pozzo, detto di San Quirico, perché prossimo all’antica, oggidì rovinata, chiesa di San Quirico; ma solo nella estate, quando le acque del fiume sono corrotte e limacciose per il cessato corso e per la decomposizione di animali e vegetali.
Il fiume di Riola è lo stesso che irriga Bonarcado, Milis e S. Vero, originato dalle fonti di S. Lussurgiu, e accresciuto da quelle del monte di Seneghe.
Siccome il fondo del suo letto si è molto levato, e poca è la capacità dell’alveo, però nell’inverno e sempre che abbondano le acque per la confluenza de’ torrenti, esse ridondano e si spargono sulla vicina pianura formando un immenso pantano.
Per coteste inondazioni che durano per tutto l’inverno e gran parte della primavera, quel terreno che ha l’area di circa cento starelli, non serve se non per la cultura de’ popponi e legumi nell’estate, e per quel poco di fieno che vi cresce, quando cominciasi il prosciugamento per l’azione del sole.
I cacciatori vi frequentano per la caccia delle folaghe e di altri uccelli acquatici. I pescatori vi prendono ottime anguille e gran copia di muggini, che smerciano ne’ paesi circonvicini.
Le stesse specie si prendono nel fiume.
In questa regione vedonsi, quando le acque non sono troppo copiose, cinque bacini, e sono nominate Sa Paùli manna, Mistras, Firingiosu, Spaniteddu e Paùli rasa; ma quando ingrossa l’alluvione fanno una sola palude, e si uniscono al seno più intimo dello stagno di Cabras.
I guadi del fiume di Riola sono pericolosi sempre, perché fangosi, e per l’impedimento di varie piante. Si suol varcare per un ponte antico, dove vedesi ancora certa opera di difesa per vietar il passaggio a’ barbereschi, che dalle spiaggie di Pischinapiu più volte inoltrarono sino a Riola, per saccheggiar le case e cattivar le persone. La porta per cui si passa suol chiudersi di notte, massime quando sono nelle vicinanze de’ malfattori.
Popolazione. Si numerano in Riola anime 1040, distinte in maggiori d’anni 20 maschi 317, femmine 326, e in minori maschi 197, femmine 200, e distribuite in famiglie 265. Nel 1826 si numeravano anime 868.
Il movimento della medesima si rappresenta ne’ numeri seguenti, che sono le medie del decennio; nascite 35, morti 20, matrimoni 6. I longevi non sono rari. La mortalità maggiore è nella prima età e dopo i 60 anni.
I riolesi sono gente laboriosa e tranquilla, ma poco industriosi, sebbene si trovino in comoda situazione.
Delle suindicate famiglie sono proprietarie di molto o poco 343, le altre 22 nullatenenti. I mendicanti saranno 67. Le case ricche (si intende relativamente) saranno 30. Nessuna di queste ha onori di nobiltà.
Pochi fra essi oltrepassano i sessanta anni. Le malattie più comuni sono le febbri periodiche e perniciose, le flogosi addominali e la podagra.
Per la cura della sanità non si ha né medici, né chirurghi, né flebotomi, né farmacisti, ma suppliscono a’ medesimi i barbieri, che partigiani del sistema sanguinario, vedono infiammazioni in tutti i malori, ed evacuano le vene, sebbene meno liberalmente che usino i salassatori scienziati.
Le levatrici san filare e tessere.
La vaccinazione si pratica poco regolarmente.
Le professioni principali sono l’agricoltura e la pastorizia, poi le arti meccaniche, la pesca e la caccia degli uccelli a rete, nella quale molti si occupano con lucro, quando non hanno lavoro.
Le donne lavorano su gli antichi telai, e tessono più comunemente il lino e il cotone.
In ogni famiglia si ha un telajo per tessere il lino e il cotone, del quale fanno coperte di letto, fiorate. Si tesse anco la lana per coperte grossolane di letto e per panno da vesti.
La scuola primaria ha pochi accorrenti, e non produce alcun buon frutto.
La istruzione morale è fatta negligentemente, perché se concorrono ordinariamente alla scuola 25 fanciulli, tuttavolta non si possono numerare altrettanti, che dopo venticinque anni abbiano nella medesima imparato a leggere e scrivere.
Agricoltura. Riola ha ottimi territori pe’ cereali, non inferiori per virtù produttiva a’ più vantati della regione arborese.
La seminagione ordinaria rappresentasi da’ seguenti numeri, starelli di grano 1700, d’orzo 500, di fave 300, di legumi 25, di lino 50.
Il prodotto, nella fertilità ordinaria è del 10 pel grano, del 14 per l’orzo, dell’8 per le fave, del 6 pe’ legumi. Il lino poco prospera.
Le condizioni sono qui comodissime per la cultura della meliga, e tuttavolta non si fa alcun lavoro per tale specie.
Si fanno de’ narboni, cioè si semina a zappa in terre novelle, e se ne ha gran frutto. Ma questo frutto non compensa il danno della mancanza delle legne cedue, perché i narbonatori svelgono le radici degli alberi e degli arbusti.
Il vigneto è assai vasto, e forse occupa uno spazio di circa 700 starelli; la vendemmia copiosa e il mosto buono. La vernaccia è il vino che bevesi comunemente e in abbondanza. È un supplemento dell’acqua.
I fruttiferi sono di molte specie e varietà; ma il numero complessivo forse non sorpassa le quattro migliaja. Le specie più comuni sono ficaje, susini, peschi, albicocchi, meligranati, melicotogni, peri. Il numero complessivo da 3500.
Potrebbero in questo territorio prosperare gli aranci e i limoni; ma nessuno li coltiva; potrebbero prosperare i gelsi, e appena se ne trovano due piante in tutto il territorio.
Sono coltivati con qualche diligenza gli olivi, e saranno non meno di 2200.
L’orticultura si pratica sopra un’area notevole e produce molto.
Pastorizia. Essendo ampie le regioni del territorio di Riola, che restano incolte, molti educano del bestiame, e si possono numerare vacche 400, cavalle 100, pecore 4700, porci 800.
Nel bestiame manso sono buoi per l’agricoltura 280, cavalli e cavalle 150, majali 127, giumenti 60.
L’apicoltura è quasi generalmente negletta.
Religione. I riolesi sono governati nello spirituale da tre preti, il primo dei quali ha la qualifica di vicario perpetuo sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Oristano.
La decima che si ottiene forse sorpassa le lire n. 10,000.
La chiesa parrocchiale ha per titolare S. Anna, ed ha notevole per la ricchezza un altare.
La festa principale e di gran concorso è per la patrona addì 26 luglio, e si continua per due giorni con gran concorso da’ paesi circonvicini. Ai soliti sollazzi si aggiunge lo spettacolo della corsa. Vengono in gran numero i piccoli mercanti per vendere diversi articoli, e anche i vasai con molti carri carichi de’ loro prodotti.
Il camposanto fu formato fuori del paese presso l’antica chiesa di S. Martino vescovo, che in altri tempi fu parrocchia. Credesi edificata nell’anno 1580, se pure non fu ristaurata.
Commercio. Riola manda i suoi prodotti ne’ paese vicini, e la maggior parte in Oristano.
Antichità. Nel territorio di Riola erano in tempi antichi molti nuraghi, i quali si distrussero per adoperare i materiali nella costruzione delle case. Ora ne restano pochi, e in gran parte disfatti, che si chiamano di Oresimbula, Nuraghe de Priogu, Nuracheddubiancu, Zuaddias ecc.
Popolazioni antiche. In distanza dal villaggio non più che di 40 minuti vedonsi le vestigia d’un paese, che avea nome Donnicala, nome che ne’ tempi del governo nazionale, mentre sussisteva il regno d’Arborea, davasi a quei casali che appartenevano al patrimonio del donno, cioè del re o giudice. In questo sito trovansi spesso vari utensili domestici, giarre, pentole, lucerne ecc.
Questo Donnigala doveva avere un castello, perché restano ancora visibili le rovine di una torre.
Scavandovi si trovò una lapida di marmo non intera, nella quale sono leggibili queste parole, che non danno alcun certo senso: praestans aurum ut metalla pulcher fortis hanc quam vides praeclarus erit abunde opus. Il lettore intenderà bene che queste parole non sono in successione e che mancano tante altre. Anche nel luogo che dicono Sa conca dess’homini trovansi oggetti simili, e furono scoperte sepolture antiche.
Sono pure notevoli le vestigia del villaggio che fu già capoluogo del dipartimento e nominavasi Villamajore, donde è probabile sia venuto al Campidano Maggiore la qualifica, per cui fu distinto.
Questo capoluogo era ben situato, perché trovavasi in mezzo al dipartimento, che stendeasi dal Tirso alle sponde del Sinnis, e comprendea tutti i paesi che erano in questa regione, paesi che caddero in gran parte nel tempo delle incursioni de’ saraceni.

Post a cura di Gilberto Linzas

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