sabato 17 settembre 2011

STORIA DELLA SARDEGNA: LA DOMINAZIONE SPAGNOLA (sintesi - 2ª parte)

CARLO V E FILIPPO II 
1535/1587
a cura di Giuseppe Mocci

Come abbiamo visto gli spagnoli (catalano-aragonesi) iniziarono l'occupazione della Sardegna il 15 maggio 1323, avendo avuto in feudo il Regno di Sardegna e Corsica dalla Chiesa. Essi, con l'aiuto determinante delle truppe arborensi, cacciarono dalla Sardegna, prima i Pisani e, successivamente, i Genovesi.

Nel 1478, con la battaglia di Macomer, la Sardegna venne annessa alla Corona d'Aragona come Regno di Sardegna e amministrata da un Vicerè, generalmente il principe ereditario del Re d’Aragona, chiamato l'Infante.
Oltre al Regno di Sardegna, la Spagna aveva allora in Italia altri possedimenti: la Sicilia, Napoli e Milano; tutti amministrati come colonie.
La Sardegna in questo lungo periodo di dominazione spagnola (1323-1720) regredì di molto. Gli abitanti, forse, non superavano i 300.000. La classe dominante era costituita dai nobili catalano/aragonesi o oriundi, che col tempo si “sardizzarono”, dai nobili ex giudicali, dal clero e dai liberi cittadini impegnati nei commerci, nell'artigianato e nell'agricoltura. Cito al riguardo il giudizio dello storico sardo Raimondo Carta Raspi: “Dominio a carattere imperialistico e di sfruttamento come altrove. Fu in Sardegna anche torbido e rozzo, eredità aragonese, in cui tutto era in funzione di terra uomini risorse da convertire in redditi… l'istruzione e l'elevazione morale e spirituale delle popolazioni era l'ultima cosa che potesse interessare il governo del Regno.”.
La Sardegna visse un lungo periodo di isolamento, infatti ebbe un ruolo marginale nella vita politica spagnola; essa costituì un semplice avamposto difensivo contro gli attacchi turchi (i barbareschi/ i mori/ i saraceni).
Durante la dominazione spagnola ripresero le incursioni turche, a causa soprattutto della mancanza di una Difesa efficiente, mentre gli abitanti, senza armi e scoraggiati subivano gli attacchi barbareschi con gravi perdite.
“Quasi nessuno dei villaggi siti in prossimità delle coste rimase immune da queste incursioni e molte popolazioni dovettero abbandonare le regioni esposte per rifugiarsi più all'interno. Alcuni villaggi come Cabras e Quartu furono più volte presi di mira nonostante la breve distanza che li separa il primo da Oristano, il secondo da Cagliari. Ma se si pensa che in una sola incursione furono tratti da Quartu, prossimo a Cagliari, 400 abitanti fatti schiavi, si ha una idea dello stato d'animo in cui vivevano le popolazioni e come fosse difficile difendersi da questa calamità.”.

ritratto di Carlo V a cavallo

Finalmente, regnando Carlo V, si provvide a portare la guerra contro l'impero ottomano, a Tunisi, da dove partivano le flotte barbaresche del famoso corsaro Khair, detto Barbarossa, e del suo luogotenente Hazan-Haga. Questi due corsari avevano reso insicura la navigazione nel Mediterraneo con le loro continue incursioni, che costituivano il più terribile flagello per le popolazioni costiere.
“Hazan-Haga era nato in Sardegna, pastorello catturato con altri in una delle tante incursioni barbaresche fu allevato dal Barbarossa e nominato suo luogotenente e più tardi comandante in capo e infine rappresentante del Sultano; per la carica che ricopriva veniva chiamato Hazan-bey”.
Per raggiungere il suo scopo, cioè la distruzione della flotta dei predetti corsari, nel 1535 l’imperatore Carlo V allestì una grande flotta, “in tutto 400 navi, grandi e piccole, con all'incirca 30.000 uomini per buona parte spagnoli, tedeschi e italiani”. La flotta partì da Cagliari e prese d'assalto la città di Tunisi, distruggendo un gran numero di navi turche e liberando “ben 20.000 schiavi cristiani”.
Il Medesimo Carlo V fu costretto a ripetere l’operazione navale nel 1541, con l’intento “di poter por fine alle imprese piratesche”, contro Algeri, “che era il più attivo nido dei Barbareschi.”.
La grande flotta imperiale partì da Alghero, dove l’imperatore fece un discorso trionfalistico e di ringraziamento agli algheresi, per l’enorme quantità di provviste e di armati forniti; in quella occasione avrebbe anche concesso il titolo di cavaliere a tutti gli algheresi: “Todos caballeros”.
L’operazione non ebbe il successo sperato. “Una violenta tempesta più che il valore delle armi decise l’esito dello scontro. Iniziato lo sbarco con mare mosso, la burrasca sopravvenuta inghiottì molti vascelli e trasporti e all’incirca 8.000 uomini. Solo per la perizia di Andrea Doria, che anche stavolta guidava la flotta, fu evitato un completo disastro e le navi superstiti della grande armata, dopo essersi rifugiate a Bugia che venne affrettatamente fortificata, poterono scampare alla furia del mare e agli assalti diretti da Hazan-Haga.”.
La lotta contro i saraceni continuò ancora più feroce e investì tutti gli stati che si affacciavano sul Mediterraneo e l’Adriatico, fatta eccezione della Francia alleata invece dei turchi.

ritratto di Filippo II

Durante il Regno di Filippo II, la Spagna con Venezia, la Chiesa e tutte le minori potenze marittime del Mediterraneo occidentale si allearono (la Lega cattolica) e formarono una grande armata, al comando di Don Giovanni d’Austria, con lo scopo precipuo di distruggere la flotta turca, allora al comando di Alì Pascià.
Lo scontro avvenne il 7 Ottobre del 1571 nel golfo di Lepanto (Mar Ionio, Grecia golfo di Corinto). “La battaglia fu accanita fino al tramonto, e l’esito incerto… La conquista della capitana turca e un fortunato colpo d’archibugio che uccise Alì Pascià sconvolse alfine il centro della flotta mussulmana e la catastrofe sopraggiunse in breve tempo. Fu una memorabile vittoria della Lega.”.
Con la battaglia di Lepanto non si riuscì a distruggere completamente la flotta mussulmana, ma segnò “per i turchi un arresto alla loro espansione e poi il declino della potenza che già era sembrata irresistibile.”.
Alla battaglia di Lepanto parteciparono anche i sardi del Terzio di Sardegna, validissimi archibugieri imbarcati nella nave capitana di Don Giovanni d’Austria.
Il Terzio era un famoso reggimento spagnolo, comandato da ufficiali e sottufficiali spagnoli, di stanza a Cagliari e composto, in gran parte, da truppe sarde.

la battaglia di Lepanto del 1571

Gli archibugieri sardi reduci da Lepanto, “in perpetuo ricordo custodirono gelosamente, nella cappella del Rosario della chiesa di San Domenico (Cagliari) il loro lacero stendardo”.
“L’insidia barbaresca, la minaccia alle navi ed al commercio costituivano un pericolo costante. Continuamente assediata, la Sardegna doveva pensare a difendersi”.
Nel 1578 con il viceré Miguel De Moncada venne approvato un piano di “torreggiamento” che prevedeva la costruzione di 82 torri litoranee, ma ne vennero costruite solo 16, in aggiunta a quelle già esistenti dal periodo di Carlo V.
“Per la gestione del complesso sistema difensivo costiero nel 1578 fu istituita, su volere di Filippo II, la Reale Amministrazione delle torri… Con essa si imponeva un dazio sull’esportazione di cuoio, formaggio e lana, che doveva sostenere le spese per la costruzione di nuove torri… rifornire di munizioni e di tutto il necessario le torri per assicurare il buon funzionamento. Inoltre doveva arruolare e pagare i soldati.”.
“Le torri litoranee avevano più funzioni: davano l’allarme in caso di avvistamento di navi nemiche e contrastavano il contrabbando e l’approdo d’imbarcazioni sospette.”.

Torre costiera di Scala de Sali

Queste torri erano di quattro tipi: le più piccole, dette Atalayas, erano posti di vedetta per soldati a piedi; le piccole, situate in luoghi alti e difficilmente raggiungibili dai nemici, con funzione di avvistamento, dette Torrezillas; le torri di media grandezza, armate con uno o due cannoni, svolgevano la funzione, oltre che di avvistamento, di deterrente; le torri molto grandi, dotate di più di un pezzo di cannone, dette Gagliarde, con funzione meramente di deterrente.
“Le torri venivano costruite a distanza visiva tra loro e gli eventuali allarmi venivano lanciati con fumate durante il giorno e con fuochi e segnali acustici (mortaretti) durante la notte. Le milizie a cavallo, assieme agli abitanti dei villaggi vicini, dovevano accorrere per scacciare eventuali invasori.
“L’Alcalde era il comandante di una o più torri e a lui facevano riferimento un artigliere e uno o più soldati, a secondo dell’importanza della postazione. Tale personale era reclutato fra i soldati in congedo distintisi nel servizio militare. Sono però molti i casi di eredità da lavoro tra padre e figlio. E’ importante sottolineare che non vi erano militari regolari spagnoli.”.
Il governo spagnolo per questo programma di torreggiamento non spese un soldo di proprio; la Reale Amministrazione delle torri utilizzava le entrate da una tassa e provvedeva a sostenere, a sue spese, solo le torri Gagliarde (esempio Gran Torre di Oristano). Tutte le spese per sostenere le altre torri venivano sborsate dalle comunità vicine. “L’attività della Reale Amministrazione cessò nel 1867, con il conseguente abbandono da parte dei militari.”.

Gran Torre - Oristano (Torregrane)

Nel lungo periodo precedente la costruzione delle torri vi erano lungo la costa dei punti di vedetta continua e in ognuno prestavano servizio due uomini a cavallo, pagati dalle ville vicine. Nella costa del Sinis c’erano due punti di vedetta, uno a Capo Mannu e l’altro a Santa Caterina, “pagati rispettivamente, dai villaggi dei tre Campidani di Oristano e dal Marchese di Sietefuentes”.

Nota:
Le torri lungo le coste del Sinis , da quella di San Giovanni a Capo Mannu, negli ultimi anni di vita del sistema, erano rette da un Alcalde riolese e le spese a carico delle comunità di Cabras, Nurachi, Riola, Baratili, Zeddiani e San Vero Milis.
Famose sono rimaste le storielle raccontate, nel secolo scorso, dal prof. Baldino nel suo libretto “Sa Giornada de Conca e attu”, sull’Alcalde riolese e un suo sottoposto cabrarese.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - tutti i diritti riservati

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