giovedì 5 gennaio 2012

RIOLA: Appunti sulla preistoria e notiziole storiche - 1a parte

                                                             

                                                                   Al piè d’un silenzioso fiumicello
dell’ubertosa valle d’Oristano
in Campidano
giace ridente, pittoresco e bello
il mio paesello.


LA PREISTORIA

La Preistoria è tutto ciò che riteniamo  di sapere dei tempi più remoti dai reperti vari e numerosissimi che sono stati scoperti o ritrovati, relativamente alla dimora dei morti (necropoli, domus de Janas) e a quella dei vivi e alle loro abitudini (capanne, manufatti vari, statue in pietra, bronzetti, tavolette, ecc.).
Su questo sono concordi tutti gli archeologi, gli antropologi, gli storici e studiosi di materie affini.


Il territorio in cui è sorto il paese di Riola, il Sinis, è stato abitato fin dalle prime apparizioni dell’uomo in Sardegna.
Fino al 1979, tutti gli studiosi erano convinti che l’Uomo fosse comparso nell’Isola tra i 10.000 e i 4.500 anni a.C., cioè tra il periodo Paleolitico superiore e il Neolitico antico.
In seguito al ritrovamento, lungo le rive del Rio Altana (Perfugas), di centinaia di strumenti in selce realizzati secondo la tecnica “clactoniana” tale convinzione si è dissipata; l’uomo, secondo i nuovi studi, sarebbe comparso in Sardegna tra i 450.000 e i 120.000 anni a.C., cioè nel Paleolitico Inferiore (Prof. G.Tanda).
Che la penisola del Sinis fosse densamente abitata nel periodo Neolitico (4.500 a.C.) è documentato dal ritrovamento di numerosi villaggi di capanne: Cuccuru is Arrius, Conca Illonis, Serra e Siddu, nel Sinis di Cabras; Ludosu, Isca Maiore, Prei Madau e Monte Palla, in territorio di Riola; Sale ‘e Porcus, Costa Atzori, a San Vero. Questa presenza inoltre è stata documentata dal ritrovamento di alcune necropoli a domus de janas (Serra is Arrius, Is Arutas, a Cabras; Putzu Idu, Sa Rocca Tunda, a S.Vero Milis).
“In tali centri l’attività economica principale è quella della cerealicoltura, affiancata dall’allevamento, dall’attività venatoria e piscatoria, oltre che da produzioni artigianali (ceramica, utensili in ossidiana, ecc.) (Prof. R.Zucca).
Nel medesimo territorio abbondano i monumenti megalitici: i Nuraghi (casa del capo tribù, fortezza o luogo di preghiera ?).
La civiltà nuragica si sarebbe sviluppata in cinque fasi diverse dal 1.800 al 238 a.C. (prof. G.Lilliu).
“Nel Sinis si enumerano circa 130 Nuraghi, costituenti una delle maggiori densità di tali monumenti” (Prof. R.Zucca).
Intorno al 1.000 a.C. arrivarono dall’oriente i Fenici, che costruirono in Sardegna numerose città marittime: Nora, Karales, Monte Sirai, Tharros, Neapolis, Othoca e Cornus, per citarne alcune.
Naturalmente, tutto quanto sopra evidenziato, non è supportato da documenti scritti, almeno fino all’arrivo dei Fenici, che in una Stele dell’850 a.C., ritrovata a Nora, scrissero in lingua orientale (Fenicio/greco) il nome dell’Isola, “SARDEGNA”.
Dal 238 a.C., occupazione romana consolidata, ha termine la Preistoria e ha inizio la STORIA della SARDEGNA.



Di mandorli fioriti e melograno,
di pampini e d’ulivo è ricoperto;
e, in verde serto,
cinge il villaggio un rigoglioso piano
d’orzo e di grano.
                                                                                              

LA STORIA

La vita degli uomini, ( loro usi, costumi, abitazioni, i monumenti, i fatti, le guerre e quant’altro prodotto dall’uomo) documentata da storici vissuti nei periodi di riferimento, o nei periodi successivi, costituiscono la vera STORIA. 


Il più autorevole storico a scrivere della Sardegna è Tito Livio, nel I secolo d.C.
Egli ci fa sapere che dopo i Fenici (famosi e abili mercanti, amici interessati dei sardi), arrivarono i Cartaginesi (i Punici), che domineranno l’Isola dal 509 al 215 a.C.
Sempre da Tito Livio sappiamo che Roma sconfisse i sardo-punici (i cartaginesi dopo tre secoli di dominazione si erano, ormai, integrati coi sardi) nel 215 a.C., in due sanguinose battaglie, combattute una nel cagliaritano e la seconda nell’oristanese.


Quest’ultima si sarebbe svolta in un ampio terreno pianeggiante del Comune di Riola, nella località denominata “PERDUNGHESTI”: la famosa battaglia di Cornus.
L’individuazione della località Perdunghesti, quale terreno dove si è svolta la battaglia, è dovuta al ritrovamento in loco di numerosissimi cimeli da parte di un agricoltore riolese (parte di elmi, spade, corazze, e tanti altri oggetti) ed è confermata dall’esame del toponimo, effettuato dallo studioso riolese Benedetto Sulas.
Il toponimo PERDUNGHESTI, infatti, come tutti i toponimi, esprime qualcosa (l’esistenza di un bosco, di un fiume, di una certa attività che si svolgeva, ecc.). In particolare, Perdun dal latino Praedium, in italiano significa terreno; Ghesti dal latino Gestum, significa impresa militare. Quindi, PERDUNGHESTI significa “il terreno o il campo dell’impresa militare”.
I romani dominarono la Sardegna per oltre sei secoli. Nel territorio di Riola-Sinis sorsero, allora, alcune ville romane, generalmente costruite dai militari veterani sui terreni avuti come premio di congedo. Di queste ville rimangono poche tracce; di una rimane un rudere in località “Su Anzu”, dove, fino al secolo scorso, era ben visibile l’area dei bagni.
Forse, in origine, doveva essere una villa romana anche il castello de “S’onigazza”, oggi completamente scomparso (fino agli anni quaranta del secolo scorso si potevano vedere alcuni ruderi e il tracciato del fossato intorno al castello). Su “S’onigazza” esiste poi una bellissima leggenda, che i riolesi conoscono bene: “Sa sannora de S’onigazza”.
Durante la dominazione romana venne costruita in Sardegna una vasta rete stradale. La strada romana che collegava Cagliari con la Planargia (Cornus e Bosa) seguiva il tracciato dell’antico cammino fenicio-punico, attraversava lo stagno di "Mare ‘e Foghe" con un ponte e proseguiva lungo una strada ancora oggi chiamata “Su cammĩu de i bosìncusu”.
Per i romani le strade erano elementi strategici e venivano costruite per facilitare il transito dei suoi eserciti che dovevano controllare le sue conquiste o farne altre. I medesimi, poi, costruivano i ponti per attraversare i fiumi e rendere più celere il traffico sulle strade. Per questi motivi i ponti erano considerati importantissimi, ma anche punti deboli, cioè possibili obiettivi dei nemici e/o ribelli, ragion per cui i romani usavano presidiarli militarmente.



Naturalmente, anche il ponte su “Mare ‘e Foghe” doveva essere presidiato e nelle vicinanze, sicuramente, si stabilirono i familiari dei militari, dando così origine al primo nucleo di una Villa/Bidda, quella che in periodo giudicale verrà chiamata Ersorra o Erjorra, poi Arrivora o Arriora e infine Riola.
Durante il periodo giudicale (Arborea 740/1410) la villa Arrivora/Arriora faceva parte, prima della Curatoria di Tharros o Sinis, poi del Campidano Maggiore o di Cabras.
Nel 1388, il rappresentante di Erjorra, come tutti i rappresentanti delle Ville/Biddas del Giudicato, partecipò alla solenne stipulazione del trattato di pace tra il Re d’Aragona (Pietro IV e Giovanni I) ed Eleonora d’Arborea; cerimonia che si tenne nel Castel di Castro (Cagliari).
Pace effimera, perché durò poco. Infatti, nel 1409 ripresero le ostilità e l’esercito arborense venne sconfitto a Sanluri; seguì la sottomissione del Giudicato di Arborea e di tutta la Sardegna alla Corona D’Aragona.
Prima del 1388 esiste un’altra testimonianza sull’esistenza di Erjorra ed è quella del 1100 e un’altra ancora del 1211, riportate in alcune schede del Condaghe di Bonarcado, relativamente ai beni di proprietà del Convento. Tra questi, nella prima testimonianza si cita la chiesa di Santa Corona de Rrivora; la seconda testimonianza, invece, è data da un atto di donazione dell’Arcivescovo di Arborea in favore del Monastero di Santa Maria di Bonarcado.
Sull’esistenza di Riola, già dai primi anni del periodo giudicale, nel Dizionario storico di Vittorio Angius, parlando di Nurachi come Villa antichissima e coeva alla città di Tharros, si citano due chiese campestri in territorio di Riola, che ricadevano sotto la giurisdizione della Parrocchia di Nurachi. Ciò a significare che la Villa di Arriora, in quel periodo, non era ancora organizzata sotto l’aspetto religioso e amministrativo. E’ presumibile che, allora, il territorio dove poi sorgerà la Villa de Arriora fosse abitato da piccoli e divisi agglomerati: Sant’Anna e Santa Corona, citate dall’Angius, e Santu Chirigu, dove sorgeva la piccola villa di Fununi, scomparsa nel 1350.



Sono piccole case a pian terreno,
deposito di vino e di sementi;
e al sol splendenti,
nel bel libero ciel chiaro e sereno,
campi di fieno.
                                                                                                                                       
Erjorra divenne villa/bidda (organizzata amministrativamente) del Giudicato di Arborea intorno al 1070/1100, quando arrivarono gli sfollati da Tharros. Successivamente, Arriora divenne una villa del regno aragonese, inclusa nel Marchesato di Oristano.
Durante il lungo periodo (800/1800) delle incursioni dei mori (pirati saraceni, mussulmani), che distrussero le varie ville e villaggi del Sinis, Arriora, forse, ne rimase indenne per la presenza del ponte romano sempre presidiato.
Al riguardo si evidenzia che nel secolo XVI si verificarono, nuovamente, in Sardegna, molte incursioni e distruzioni da parte dei mori.
Fu memorabile l’occupazione di Quartu, grosso centro a pochi chilometri da Cagliari, che venne saccheggiata e gli abitanti, quasi tutti, fatti prigionieri e portati in Africa. Anche Cabras, detto Capras o Masone de Capras, grosso centro a pochi chilometri da Oristano, ebbe la stessa sorte nel 1509.
Narbolia nel 1560 venne occupata e saccheggiata per un paio di giorni, finché non venne liberata da uno squadrone di miliziani a cavallo, comandato dal parroco di Seneghe Monsignor Pipia.
I miliziani, informati da un narboliese che notte tempo era riuscito a scappare, fecero strage degli invasori; questi vennero uccisi tutti, anche i superstiti in fuga per raggiungere la nave sulla costa di Is Arenas, nei pressi della Torre del Pozzo.
Al riguardo si evidenzia anche che, per scongiurare le improvvise incursioni dei Mori, dal tempo di Carlo V e dei suoi successori, vennero costruite lungo le coste torri di avvistamento e difesa. Arriora rientrava nel sistema delle torri da San Giovanni di Sinis a Santa Caterina.
Nel periodo giudicale, durante la dominazione spagnola e piemontese, vigeva in Sardegna la pena di morte, rimasta poi in vigore fino al 1827, anno dell’abolizione.
L’esecutore della pena di morte era il Boia. Egli, praticamente, era un dipendente statale regolarmente retribuito. A Arriora, il Boia esercitava le sue funzioni in un terreno detto “Su Cunzau de i frùcasa”, che si trova dopo il ponte, sulla strada per Narbolia, a circa quattrocento metri dal bivio, sulla sinistra.
Nel 1624 ha inizio la controversia tra Arriora e San Vero per la giurisdizione dei terreni del Sinis, conclusasi nel 1817 con sentenza favorevole a San Vero.
La controversia era sorta dopo l’abbandono della piccola Villa di Fununi, in agro di Arriora, località “Santu Chirigu”, sulla riva est di “Mare ‘e Foghe”. Questa Villa venne abbandonata intorno al 1350 in seguito ad una pestilenza che aveva decimato la popolazione, già poco numerosa. I superstiti si trasferirono in parte a San Vero e in parte a Arriora.
Si suppone che anche gli abitanti di Fununi possedessero terreni nel Sinis e questo motivo, forse, servì di pretesto per la rivendicazione da parte di San Vero di una parte del Sinis, quella che ancora oggi ricade nella sua giurisdizione.
Nel 1637, durante la famosa guerra dei trent’anni tra la Spagna e la Francia, “una squadra navale francese … doppiò il capo San Marco ed entrò nel golfo di Oristano, bombardando il torrione, unica difesa che vi era apprestata contro gli assalti barbareschi”.
Le truppe francesi, circa quattromila uomini al comando del conte d’Harcourt, Enrico di Lorena, sbarcarono sulla spiaggia di Torregrande e, con scialuppe, risalirono il fiume Tirso fino al ponte Mannu; da qui entrarono “a Oristano, che trovarono deserta; con gli abitanti, erano fuggiti anche il vescovo e le autorità”. Ma resosi conto dell’impossibilità di difendere la città, dopo “aver fatto grosso bottino di cose e di viveri”, il conte d’Harcourt diede ordine ai suoi soldati di evacuarla e reimbarcarsi.
La ritirata fu però ostacolata “da nuclei di cavalleria, mentre soldati e volontari armati le coglievano in imboscate lungo il Tirso. L’imbarco poté avvenire tuttavia senza grosse perdite, protetto fino all’ultimo dai cannoni che i francesi avevano piazzato nel torrione”. In ricordo di questa invasione restano, oggi, i quattro stendardi esposti nella cattedrale di Oristano; gli oristanesi, con orgoglio, ricordano ancora oggi l’avvenimento come l’invasione “de i sordaus grogus” e usano, come malaugurio, il detto: “S’andada de is sordaus grogus”, così chiamati dal color giallo della divisa dei francesi.
I francesi avevano tentato l’occupazione della Sardegna come arma di ritorsione verso gli spagnoli per costringerli a rendere i possedimenti perduti due anni prima, durante la lunga guerra fra i due stati.
Nel 1647 la villa di Arriora subì una invasione di cavallette che provocò ingenti danni all’agricoltura.
Nel 1651, la villa, come tutta la Sardegna fu colpita dalla peste e rischiò di spopolarsi.



Un palazzotto non ancor costrutto
Una chiesetta di remoto stile,
un campanile
un ponticello, un nuraghe distrutto
ed ecco tutto.


Dal 1713 al 1720, con i trattati di Utrecht, Rastad e Londra, che concludevano le guerre per la successione spagnola, il Regno di Sardegna venne tolto alla Spagna e assegnato al duca di Savoia Vittorio Amedeo, come premio per aver partecipato alla guerra contro la Spagna. 
Il duca, che “l’aveva accettata a malincuore”, senza muoversi da Torino la fece prendere in possesso da un viceré: il barone di San Rèmy Filippo Guglielmo Pallavicini.
Poco tempo dopo il suo arrivo a Cagliari, il viceré di Saint Rèmy aveva fatto al re un primo quadro scoraggiante sullo stato in cui si trovava la Sardegna. Prima piaga cancrenosa che affliggeva la Sardegna era il feudalesimo… paralizzava, infestante parassita, il naturale sviluppo e il progresso… della Sardegna”.
Le tristi conseguenze del feudalesimo genereranno nel 1794 le famose lotte, con “opuscoli e manifesti che incitavano a non pagare i tributi e a insorgere contro il feudalesimo. E Oristano… si levò in armi al suono del campanone… La rivolta si estese a San Vero Milis, a Bauladu, a Milis, a Bosa”.
Intervenne con determinazione il viceré che inviò “contro le città ribelli, oltre a truppe regolari, cannoni da sbarco, cavalleria miliziana”.
Oristano, “circondata e stretta d’assedio… alla fine dovette capitolare; furono operati 99 arresti, ma sfuggirono i capi della rivolta”.



Nonostante “la repressione e gli arresti operati ovunque”, nel 1795 i moti antifeudali si svilupparono in tutta l’Isola.
Nel 1767 il re Carlo Emanuele I di Savoia istituì il Marchesato di Sardegna e Piemonte, cosicché anche Arriora, da quel momento, fece parte del Marchesato di Oristano, le cui rendite furono assegnate al nuovo feudatario: Damiano Nurra.
Questi, da amministratore delle peschiere di “Mare ‘e Pontis”, divenne proprietario delle stesse, avendole acquistate dai Conti Vivaldi Pasqua di Genova, nel 1750.
Durante il Marchesato, agli abitanti delle ville che ne facevano parte erano imposti tributi feudali molto gravosi, “al punto che i vassalli si rifiutarono di pagarli”.
Nel 1795 Riola partecipò alla lotta antifeudale di Giovanni Maria Angioy, che venne ricevuto dalla comunità riolese e incoraggiato a proseguire la lotta, alla presenza di circa 600 persone armate, convocate dai paesi vicini dal notaio Liqueri.
Alla morte del Nurra, il feudo passò al nipote Francesco Flores d’Arcais, dal quale fu riscattato nel maggio del 1838 dai Comuni” (Prof. F.C.Casula).
I Savoia istituirono in Sardegna tanti Marchesati; nell’attuale Provincia di Oristano vennero istituiti i seguenti: Laconi, Sietefuentes, Sedilo, Neoneli, Planargia e Busachi.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

Editing G.Linzas


(versi tratti dalla poesia "Il mio villaggio" di E. Zoncu)

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