C’era il sole
quella mattina di primavera. E dopo un inverno freddo e piovoso ci voleva
proprio un po’ di sole.
Zuannica era
andata in campagna, a “Is croviàzzusu”
(1), a raccogliere asparagi. Era tutta assorta nei suoi pensieri: l’annata
precedente non era stata buona e, sebbene lei e suo marito fossero rimasti
soli, le scorte cominciavano a scarseggiare. Inoltre, il matrimonio della loro
unica figlia aveva esaurito tutti i loro risparmi.
Anche la
raccolta delle olive era stata scarsa. Bisognava quindi arrangiarsi in qualche
modo per poter superare la crisi.
E gli asparagi
erano un aiuto. Fritti con delle uova erano un piatto gustoso e nutriente.
Probabilmente,
quelli che aveva già raccolto sarebbero bastati per il pranzo. Il sole era già
alto e forse suo marito era rientrato dal campo dove lavorava.
Mentre si
accingeva a riprendere il cammino di casa, tutta assorta in questi pensieri,
sentì una voce, un bisbiglio. Tese le orecchie.
Era proprio una
voce:
- ‘Omãi
Zuannica! ‘Omãi Zuannica! (2)
Invano la donna
cercava di scorgere qualcuno in mezzo agli alberi di olivo o oltre la siepe di
fichidindia.
La voce riprese:
- “ ‘Omãi Zuannica! ‘Omãi
Zuannica! ‘Omãi Zuannica!” Sembrava
vicinissima, ma non si vedeva nessuno. Zuannica scosse la testa, forse non
aveva sentito niente, forse era stata una sua impressione. Ma non era così,
perché la voce continuò. “‘Omãi
Zuannica, seu Tzitza Muntõi. No mi cricchèasa, tanti no m’éisi a podi bì mai!”.
(3)
“Sant’Anna
mia bella!” (4) disse
tra sé e sé Zuannica. Tzitza Muntõi era morta quasi un mese prima. Si fece il
segno della croce.
Strinse il
mazzetto di asparagi e ne sentì l’umidità. Non dormiva, era sveglia più che
mai! E non era neanche uno scherzo; era proprio la voce di Tzitza Muntõi, la
conosceva bene.
Zuannica voleva
fuggire ma non riusciva a muoversi.
“Omãi
Zuannica! Omãi Zuannica!” continuava
la voce, vicinissima, “Omãi
Zuannica! No timèasa. Ascuttaimì. Si deppu domandai ũ pragheri”. (5)
Zuannica
ascoltava, spaventata e meravigliata allo stesso tempo. “Bazzai de pobiddu miu e
naraideddi ca su ‘inãi chi
deppiàusu zai a su maist’e linna, no chi dd’iu spéndiu, ma dd’iu arragottu
asusu de sa coronissa, asutta de ũa tzìccara in càmbara bella. Bazzai ‘omari
mia, fadeimì custu pragheri, no timèasa". (6)
Zuannica promise
che ci sarebbe andata appena arrivata in paese, poi, sempre spaventatissima,
con voce insicura, si azzardò a chiedere: “Omari,
chi esti beru ca séisi ‘osu, naraimì mẽ innui s’agattàisi, chi séisi ĩ logu
bellu o ĩ logu mau”. (7)
Rispose la
morta: “No si potzu nai
nudda, séttisi ca Déusu esti zustu e bõu pagatori. A immi m’adi
domandau contu de ũ croppu de péttia chi ‘iu zau a ũ pegu de moa”. (8)
Dopo queste
parole vi fu di nuovo il silenzio della campagna.
Zuannica era
fuori di sé. Mise in fretta e furia gli asparagi dentro su scatteddu (9) e si avviò,
quasi di corsa verso il paese. Dentro la testa le risuonavano ancora le parole
della morta: “coronissa…
tzìccara…càmbara bella…”. Lei non aveva mai creduto che un morto potesse
parlare. Tutte le storie che aveva sentito sui morti, che apparivano o che
parlavano, aveva sempre pensato che fossero delle fantasie. Ma quello che era
successo non era una fantasia. Era realtà. Però voleva esserne certissima.
Appena arrivò in
paese non andò a casa sua, ma si diresse di gran fretta a casa della morta.
Bussò nervosamente alla porta.
Quando il povero
vedovo aprì, se la trovò davanti ansante e sudata. La fece entrare.
Zuannica gli
raccontò il fatto. Il pover’uomo si segnò e i suoi occhi s’inumidirono.
Assieme
entrarono in “sa càmbara
bella”. Sopra sa coronissa c’era un servizio di tziccarasa, regalo di
nozze. Trepidante l’uomo girò prima una tazzina, poi un'altra. Sotto la terza
vi erano due monete d’argento.
La storia si
diffuse in tutta Riola e nei paesi vicini. Furono fatte fare delle messe in
suffragio della morta.
Di questo fatto
se ne parlò a lungo. Zuannica era persona onesta e sincera e quasi tutto il
paese le aveva creduto.
Note:
I SOLDI SONO SOTTO UNA TAZZINA DA
CAFFE’
(1) “Is croviàzzusu” è il nome di una zona della campagna
di Riola.
(2) ‘Omãi Zuannica. Comare
Giovannica. ‘Omai si usa quando è accompagnato dal nome, altrimenti si usa ‘omari.
(3) Seu Tzitza Muntõi.
Sono Tziza (Francesca) Muntõi (Muntoni). Non
mi cricchèasa, tanti non m’éisi a podi bì mai! Non cercatemi, tanto
non potrete mai vedermi!
(4) Sant’Anna mia bella! (Invocazione a S.Anna, cara ai
Riolesi)
(5) No timèasa. Ascuttaimì. Si deppu
domandai ũ pragheri. Non
abbiate paura. Asoltatemi. Vi devo chiedere un piacere.
(6) Bazzai de pobiddu miu e
naraideddi ca su ‘inãi chi
deppiàusu zai a su maist’e linna, no chi dd’iu spéndiu, ma dd’iu arragottu
asusu de sa coronissa, asutta de ũa tzìccara, in càmbara bella. Bazzai ‘omari
mia, fadeimì custu pragheri, no timèasa. Andate da mio marito e ditegli
che i soldi che dovevamo dare al falegname, non li avevo spesi, ma li avevo
raccolti sopra la cornice, sotto una tazzina da caffè, nella stanza degli
ospiti. Andate comare, fatemi questo piacere, non abbiate paura.
(7) ‘Omari, chi esti beru ca
séisi ‘osu, naraimì mẽ innui s’agattàisi, chi séisi ĩ logu bellu o ĩ logu mau.
Comare, se è vero che siete voi, ditemi dove vi trovate, se siete in un posto
bello o in un posto brutto.
(8) No si potzu nai nudda, séttisi
ca Déusu esti zustu e bõu pagadori. A immi m’adi
domandau contu de ũ croppu de péttia chi ‘iu zau a ũ pegu de moa. Non
posso dirvi niente, solo che Dio è giusto e paga bene. Per quanto mi riguarda,
ha tenuto conto di un colpo di pertica che avevo dato a un asino.
(9) Scatteddu. Cestello di
vimini.
Novella di Benedetto Sulas - tutti i diritti riservati
Nessun commento:
Posta un commento