sabato 12 febbraio 2011

Personaggi: "TZIA ARROSA 'OCHI", UN'EROINA STILE FAR-WEST



Una gonna lunga nera, consunta e sporca; un giubbotto grigio come usavano i  primi conducenti delle autolinee della Satas e scarponi da montanaro; in testa un gran fazzoletto, tipo spigolatrice. Era l’abbigliamento  tipico utilizzato, sia d’estate che d’inverno,  da Tzia Arrosa 'Ochi (Rosa Lochi 1880-1954), uno dei personaggi più stravaganti della Riola degli anni ‘30-40 del secolo scorso, titolare del servizio pubblico di trasporto con carrozza nella tratta Riola-Nurachi-Oristano (*).
Una sorta di eroina stile far-west, con i suoi modi bruschi e il linguaggio, diciamo, non propriamente oxfordiano. La sua diligenza, trainata da un vecchio cavallo malnutrito, “un autentico ronzino”,  con le ginocchia spesso fasciate di stracci per le frequenti cadute (*), era l’unico mezzo di trasporto pubblico per chi voleva recarsi a Oristano, utilizzato anche  per il trasporto e il recapito di pacchi e merci di ogni genere
Un racconto di Giuseppe Mocci -  già pubblicato sull’Unione Sarda del 2 novembre 1996 e nel libro di Nello Zoncu “Zenti Arrioresa" -   ricorda questa figura femminile.

(g.l.)


LA DILIGENZA DI TZIA ARROSA” 
di Giuseppe Mocci

L’altro giorno ho letto gli appunti di viaggio di Elio Vittorini, riportati in un libricino scritto nel 1932, “Sardegna come una infanzia”.
Il nostro non parla certo bene dei sardi; il passo sotto riportato mi ha colpito in particolare, offendendomi malamente. “Oristano, Città di Eleonora. Qui ci sono torri. Un pullulare di empori, di gente vestita del primo straccio che capita. Mangiatoia di Arcivescovi e di straccioni”.
Oggi ho quasi dimenticato tutto, quando mi sono trovato davanti alla torre nella piazza grande di Oristano, davanti a molti empori, al famoso bar Ibba e a molta bella gente, elegantemente vestita.
Ero seduto su una comoda poltroncina del famoso bar a sorbirmi il solito gelato, quando con la memoria sono tornato ai bei tempi della mia infanzia e mi sono ritrovato nello stesso bar;  dentro facevo la stessa cosa, ma non era un semplice gelato, era il famoso “pezzo duro” che stavo leccando per la prima volta, nel mese di giugno del 1939, mio primo impatto con la città di Eleonora.
Avevo allora nove anni ed ero andato a Oristano con mamma a prendere mio padre, che arrivava in treno, non ricordo se da Cagliari o da Olbia, proveniente dall’Africa Orientale Italiana, dove nel 1936 si era recato, quale piccolo imprenditore edile, fascista fervente, per dare il suo contributo alla inutile colonizzazione dell’Imperiale Etiopia.
Eravamo partiti dal paese con Tzia Arrosa 'Ochi – Rosa Lochi – titolare del servizio pubblico di trasporto passeggeri sulla tratta Riola-Nurachi-Oristano, con arrivo  a Oristano in via Tirso Osteria Ledda. Tzia Arrosa possedeva allora una sola diligenza, vecchia e sgangherata.

via Umberto I, anni  '50 

Di solito una diligenza veniva trainata da due o più cavalli, ma la nostra ne possedeva uno solo, un autentico ronzino. Ella partiva da Riola, la mattina presto e subito faceva conoscere il suo umore con una delle solite esclamazioni: Andàusu andéusu ĩ nòmini de Déusuoppure: Andéusu andàusu ĩ nòmini de is tiàusu; seguiva poi una frustata al povero ronzino, leggera o pesante, secondo l’esclamazione usata.
Quel giorno la partenza era iniziata sotto un buon auspicio:  ĩ nòmini de Déusu”. Arrivati ad Oristano, mamma mi accompagnò prima nei pressi della Torre, per ritirare delle medicine dalla farmacia di Romolo Nurra, poi in piazza San Sebastiano per prendere la carrozza del servizio pubblico, mi pare di un certo signor Turnu.
Precedentemente però Tzia Arrosa si era offerta di accompagnarci alla stazione ferroviaria; mamma non accettò perché durante il viaggio il cocchiere era stato apostrofato pesantemente, nei pressi di Nurachi, da un certo “Pedru Cannaca”. Il fatto, molto comune e quasi quotidiano, aveva fatto cambiare umore alla nostra eroina, che sprizzava rabbia da tutti i pori.
Tzia Arrosa veniva fatta oggetto di scherno per il suo modo strano di vestire: indossava, sempre e in tutte le stagioni, una gonna lunga nera e sporca, la testa era fasciata da uno strano fazzolettone del tipo estivo da spigolatrice, ai piedi calzava scarponi da montanaro; infine indossava un giubbotto grigio scuro del tipo autista della Satas.
Col signor Turnu ci avviammo quindi alla stazione, in tempo per l’arrivo del treno. Dopo un prolungato fischio della vaporiera, seguirono gli abbracci, i baci e le carezze da parte di babbo, che contento, orgoglioso e felice fece caricare i bagagli su una carrozza; su un’altra salimmo noi tre.
Rientrammo nell’Osteria per depositare i numerosi bagagli. L’orario della partenza della diligenza, era stabilito per le ore 14 e noi disponevamo di un’oretta di tempo per un piccolo giro in città. Dopo il gelato Ibba, gustai anche la mia prima pasta alla crema; ammirai gli alti palazzi di via Dritta, che stimai più alti del campanile del mio paese, e con grande meraviglia.
Poi entrammo in uno studio fotografico, con annesso negozio, dove mio padre aprì un pacchetto contenente il mio regalo, il più bello della mia vita: una macchina fotografica Kodak a soffietto, con autoscatto e il cavalletto. La macchina era stata acquistata a Suez; io conservai gelosamente il cartellino, che poi feci vedere ai miei amici e compagni di scuola con orgoglio.  Acquistai un paio di rullini e caricata la macchina da parte del fotografo, rientrammo in Osteria, per la partenza.
Anche Tzia Arrosa ebbe il suo dono africano e, forse, per questo motivo aveva dimenticato Pedru Cannaca, perché anche questa partenza avvenne nel nome del Signore. Arrivati al Rimedio, salirono in diligenza due anziani sacerdoti, i quali non fecero in tempo nemmeno a prendere posto che la nostra eroina frustò pesantemente il povero ronzino, esclamando rabbiosamente: Andàusu ĩ nòmini de is tiàusu e cũ du' sàccusu de crabõi. Il povero, vecchio cavallo assorbì con un grande spasimo l’ingrata frustata e tentò di partire di slancio, gli mancarono le forze e cadde di traverso sulla strada polverosa e dissestata; si ruppero le stanghe della vecchia diligenza, dall’asse schizzò via, come un proiettile, la ruota posteriore destra.
Sul cumulo della ghiaia, sul lato destro, apparve Tzia Arrosa, appollaiata con la frusta in mano; bestemmiava più di un carrettiere toscano e imprecava all’indirizzo dei due religiosi iettatori. Nessuno osò aprir bocca; mio padre, sottovoce ci suggerì di seguirlo in silenzio, arrivammo a Donigala, dove un amico di famiglia ci portò a Riola col suo carretto.
Tzia Arrosa continuò il servizio fino al 1947, quando morì il povero ronzino; sette anni dopo anche lei passò a miglior vita.


NOTE:

(*) L'abitazione di Tzia Arrosa  era situata di fianco all’attuale edificio del  Comune. Il cavallo che trainava la diligenza in  realtà era una cavalla di nome " Itàllia" - Italia.

La figura di Tzia Arrosa Ochi viene ricordata anche nel libro “Nurachi e la sua storia - Appunti di un viaggio nella memoria” (2004) di Pasqualino Manconi, il quale scrive:

"Altro singolare ricordo era “su brecchi di zia Rosa Loche” di Riola Sardo, che giornalmente si recava ad Oristano. Sul suo “Break” salivano studenti, contadini e massaie che dovevano sbrigare affari commerciali ed altro.
Personaggio, questa Rosa Loche, d’aspetto e comportamento mascolino ed atteggiamento burbero e brontolone, per sessant’anni titolare della linea Riola-Nurachi-Oristano, vestiva sempre con un’incerata nera ed un berretto a falda da cacciatore, non disdegnava di fumare il sigaro e bere qualche bicchierino di vernaccia ed acquavite. Arrivava ad Oristano e faceva capolinea all’osteria dei Ledda in via Tirso e dopo la discesa dei passeggeri dalla carrozza  e la sistemazione del cavallo, via a provvedere al disbrigo delle commissioni richieste da tanti clienti. 
All’ora di pranzo il rientro con clienti a Nurachi e Riola Sardo.
Cessò l’attivita’ negli anni ’50, quando ormai la vecchiaia sopraggiunse ed anche perché le automobili avevano occupato il posto della sua carrozza".

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