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domenica 17 luglio 2011

RICOSTITUITA A RIOLA LA COMPAGNIA BARRACELLARE


Recentemente è stata ricostituita a Riola, dopo anni di assenza, la Compagnia BarracellareSi tratta di un organismo particolarmente importante, una milizia territoriale avente funzioni di vigilanza, di controllo delle campagne e tutela ambientale. 
Il Regolamento che ne disciplina il funzionamento è stato approvato dal Consiglio Comunale con deliberazione del settembre 2010, mentre lo scorso mese di febbraio è stato approvato l’elenco dei componenti e nominato il Capitano della Compagnia: Fabrizio Lochi
Pochi giorni fa (12 luglio), i seguenti Barracelli hanno prestato giuramento davanti al Sindaco di Riola, presso la sede Comunale: Fabrizio Lochi (Capitano), Nicola Bellu, Adelmo Dessì, Giuseppe Lochi, Efisio Madau, Mauro Manis, Franco Lino Mele, Antonio Mulas, Pietro Mulas, Gianluca Sardu, Ivo Scalas, Silvestro Scanu, Salvatore Angelo Zichi

La Compagnia Barracellare, come già accennato, è un organo di polizia locale, esclusivo della Sardegna, che ha una lunga storia e tradizione risalente all'epoca medioevale (si vedano le note storiche).
Un'associazione di cittadini costituita su base volontaria ed in ambito comunale, per la formazione di squadre di Barracelli da impiegare in servizi di vigilanza della proprietà privata rurale.
Caratteristica principale - ma non esclusiva - del servizio è l'aspetto "assicurativo", per il quale la compagnia rifonde i suoi “clienti”, tipicamente proprietari di terreni agricoli non recintati, dei danni eventualmente patiti a causa di furti o altri crimini.
In base alla vigente normativa regionale, i Barracelli devono collaborare con le forze di polizia, nell’ambito delle proprie attribuzioni, su richiesta del Sindaco. 

Foto d'epoca - antica Compagnia Barracellare 

In passato la vita delle Compagnie Barracellari a Riola, come in molti altri comuni della Sardegna, non è stata facile (la Sardegna, fino agli anni '50 del secolo scorso, era ancora una società con una cultura ed un’economia agro-pastorale)
Dal libro di memorie del Comm.re. Virginio Sias (Memorie di Riola Baratili e Nurachi), apprendiamo che:
“a Riola e paesi limitrofi si stentava a costituire le compagnie poiché si era riluttanti a farne parte; sia i barracelli sia il Sindaco, da cui essi in pratica dipendevano, erano oggetto di rappresaglia da parte ovviamente di coloro che mal sopportavano una assidua vigilanza nelle campagne, specie da parte di pastori o maleintenzionati in genere”.
Nel 1956 “superate resistenze e diffidenze” il Commendator Sias, allora sindaco di Riola, riuscì a ricostituire un’efficiente Compagnia Barracellare.
Ne fu capitano un tale Francesco Marongiu, noto come "Abbaconca" (*) , coraggioso ed intelligente, che affiancato da altri giovani intrepidi, noncurante dei rischi a cui ovviamente si esponevano, riuscirono a riportare l’ordine nel caos che si era instaurato da qualche tempo…. Fioccarono multe per i danneggiamenti accertati, molti pastori colti in flagrante pagarono le multe loro inflitte e gli agricoltori ne trassero sollievo”.
Molti Barracelli, compreso il Sindaco, subirono delle rappresaglie. 
Successivamente la Compagnia venne di nuovo costituita con altri elementi aventi per capitano un mutilato di guerra, Sig Daniele Piras, al quale sempre per vendetta da ignoti vennero danneggiati ben 29 alberi di olivo”. 
(g.l.)


(*) Un coetaneo del capitano dei Barracelli Francesco Marongiu ci fa sapere che il soprannome  (Abbaconca) non sarebbe esatto. Il Marongiu, infatti, secondo quanto affermato, era noto come "Baconchi".



NOTA STORICA SULLE COMPAGNIE BARRACELLARI:

Una Compagnia Barracellare è un'associazione di cittadini costituita in Sardegna su base volontaria ed in ambito comunale. Istituite dal Re d'Italia Umberto I con il Regio Decreto n°403 del 14.7.1898 e regolamentate con la Legge Regionale n°25 del 1988, hanno il compito di vigilare sulle proprietà loro affidate. 
I barracelli sono inoltre inquadrati come agenti di pubblica sicurezza e coadiuvano le forze di polizia e le amministrazioni comunali quando esse ne facciano richiesta. 
I Barracelli derivano da una forma spontanea di scolca (la scolca sarebbe il singolo guardiano campestre, mentre secondo altri autori il termine designerebbe le compagnie o le loro precedenti forme aggregative), risalente a molto prima dell'arrivo degli Aragonesi nell'Isola: al periodo dei Giudicati (terminato nel XV secolo) erano infatti chiamati juratos (o jurados de logu), ed erano coordinati da un maiore de scolca che ne rispondeva direttamente all'antesignano del sindaco odierno, il maiore de villa; il "livello di attenzione" della vigilanza era garantito dal rischio patrimoniale che assumevano personalmente, infatti sin da allora sarebbe stato a loro carico il risarcimento dei danni eventualmente patiti dai proprietari dei terreni da essi vigilati ove fossero stati derubati o altrimenti lesi. 
La criminalità, secondo alcuni studi, doveva essere al tempo caratteristicamente individuale, poiché la Carta de Logu, che pure annoverava fattispecie di crimini con grande dettaglio giungendo a trattare del furto commesso da amanti in camera da letto, non menzionava fenomeni associativi come la bardana né il brigantaggio, che pure imperversavano in Continente; inoltre, a differenza che nel resto d'Italia, ai  Templari non fu consentito l'esercizio di attività di polizia, almeno nella misura in cui lo si era concesso dall'altra parte del mare, segnale forse di una situazione generale di soddisfacente tranquillità tale da non costringere a delegare il controllo del territorio a ordini militari e cavallereschi esterni. 
In seguito, nel 1570 gli iberici, che si erano impadroniti dell'Isola giudicale, diedero loro il nome di Barrachellos, dal quale deriva l'attuale. In questa fase i Barrachellos ebbero vaste competenze in materia di ordine pubblico e pubblica sicurezza ed il loro reclutamento avveniva per coscrizione, sempre quindi su base obbligatoria, ora in analogia con altre prestazioni obbligatorie gravanti sul mondo rurale come in primo luogo la roadia. 

Passata intanto l'Isola ai Savoia, l'Ottocento fu un secolo cruciale per le sue campagne. Oltre infatti a seri disagi...  si ebbero gravi problemi di ordine pubblico connessi alla forzosa trasformazione del mondo rurale sardo nel quadro di un'azione riformistica di più vasta portata: dalla secolare tradizione agricola cristallizzata negli ademprivi, si andava infatti verso una diffusione della proprietà privata dei suoli al fine di incrementarne la produttività, e lo stravolgimento non fu indolore. 
Nel 1819 le Compagnie furono soppresse ed inglobate nei Cacciatori di Sardegna. Nel 1820 fu emanato il noto editto delle chiudende, con il quale (dopo la sua pubblicazione nel 1823) crebbero esponenzialmente i disordini legati alla sua applicazione, che prevedeva il riconoscimento della proprietà terriera - popolarmente avvertita come comune, collettiva - a chi in pratica fosse meramente riuscito a recingerla, avendosene per effetto innumerevoli abusi e conseguenti violenze di aggressione o ritorsione. Le campagne di buona parte dell'isola erano in rivolta. Le Compagnie Barracellari furono perciò riammesse nel 1827, finché fu con il R.D. 22 maggio 1853, n.1533, che si intese porre ordine più sistematicamente nella materia. 
Con questo decreto si mutava dopo secoli la base di reclutamento dei Barracelli, convertendola al solo volontariato. Li si assimilava inoltre alla figura della Guardia Campestre e li si muniva di attribuzioni giudiziarie per le quali avrebbero potuto eseguire arresti in flagranza di reati punibili con la reclusione oppure in caso di incontro con persone in possesso di frutti della terra di cui non potessero giustificare la provenienza. 
Dopo quasi mezzo secolo seguì un altro decreto, il Regio Decreto 14 luglio 1898, n. 403, tuttora la base normativa su cui si innestano le norme recenti che regolamentano le Compagnie Barracellari. 
I Barracelli sono oggi regolati dalla Legge Regionale della Sardegna 15 luglio 1988, n. 25, che ne stabilisce le seguenti funzioni: 
- salvaguardare le proprietà affidate loro in custodia dai proprietari assicurati, verso un corrispettivo determinato secondo le modalità previste dalla medesima legge regionale; 
- collaborare, su eventuale richiesta di queste, con le autorità istituzionalmente preposte al servizio di: protezione civile; prevenzione e repressione dell’abigeato; prevenzione e repressione delle infrazioni previste in materia di controllo degli scarichi di rifiuti civili ed industriali; 
- collaborare, con gli organi statali e regionali, istituzionalmente preposti alle attività di vigilanza e tutela nell’ambito delle seguenti materie: salvaguardia del patrimonio boschivo, forestale, silvopastorale, compresi i pascoli montani e le aree coltivate in genere;- salvaguardia del patrimonio idrico, con particolare riguardo alla prevenzione dell’inquinamento; tutela di parchi, aree vincolate e protette, flora, vegetazione e patrimonio naturale in genere; caccia e pesca; prevenzione e repressione degli incendi; 
- salvaguardia del patrimonio e dei beni dell’ente comune di appartenenza, siti fuori dalla cinta urbana, nonché amministrazione dei beni di uso civico e di demanio armentizio, secondo le modalità da stabilirsi con apposita convenzione. 
Debbono inoltre collaborare, nell’ambito delle proprie attribuzioni e nel rispetto delle norme vigenti, con le forze di polizia dello Stato quando ne sia stata fatta richiesta al sindaco, per specifiche operazioni. 
Viene ribadita la limitazione territoriale di servizio al solo territorio del comune di appartenenza, salvo che occorra di inseguire autori di crimine colti in flagranza.
(Fonte Wikipedia)

martedì 8 marzo 2011

SU PALLOSU, spiaggia preferita dai Riolesi. Il villaggio di capanne.




La presenza delle capanne di falasco a Su Pallosu, come in molte altre spiagge e località del Sinis (Su Siccu, San Giovanni di Sinis, Mari Mottu, Is Aruttas, Su Portu e Suedda, Putzu Idu), ha certamente origine molto lontana nel tempo, ma la loro costruzione ebbe un notevole sviluppo nel secolo scorso a partire dagli anni ’50.
In particolare nel dopoguerra, con il miglioramento delle condizioni generali di vita, Su Pallosu -  già importante località per l'attività della pesca del tonno e delle aragoste - divenne sempre più meta di frequentazione a fini "turistici" da parte di molte famiglie che giungevano al mare con vari mezzi, diverse delle quali ancora “a carretta e cuaddu” così come nei primi decenni del ‘900 (1).

-  famiglia riolese  a Su Pallosu anni '30  (fam. Sechi) 
- gita al mare negli anni '30 

Alle "barracas" dei pescatori, utilizzate anche come ricovero di attrezzi, si aggiunsero nel corso degli anni numerose capanne (2), casotti di legno e piccole abitazioni in muratura, realizzate principalmente da Riolesi (3), Baratilesi e Oristanesi, allo scopo di trascorrere al mare una lunga villeggiatura durante il periodo estivo.
La massima concentrazione si raggiunse negli anni '70. Le capanne, costruite quasi tutte in area demaniale, erano circa duecento disposte su più file non sempre perfettamente allineate; partivano dalla vecchia Tonnara (la prima "barraca" apparteneva a Tziu Davìdi Atzori di Riola) fino alla spiaggia di “Sa Marigosa”, zona denominata anche “is palla' manìasa” per la presenza di enormi banchi di posidonia spiaggiata dalle mareggiate.

Le capanne tradizionali  (i barràcasa)  erano dei manufatti costruiti con grande maestria, frutto di una antica tradizione. La struttura portante era realizzata con pali di legno, rinforzata con altri piantoni di sostegno sui quali venivano fissati i reticoli di canne che servivano da supporto per il successivo rivestimento con il falasco (un'erba palustre conosciuta con il nome sardo di  “cruccuri” o, in dialetto riolese, “saura).
Lo spazio interno era suddiviso in una zona-giorno destinata alla cucina e alla vita in comune e una zona-notte, nel retro, con una o due camerette di pochi metri quadrati separate da pareti di legno (o di canne), con delle tendine all’ingresso.
Esternamente, la maggior parte delle capanne aveva una tettoia fatta di canne (s’umbragu); sul retro un cortiletto recintato dov'era realizzato il  bagno.
Non essendo fornite di energia elettrica, per l’illuminazione notturna venivano utilizzate  le lampade a carburo - “sa zentillena” - o, più recentemente, le lampade a gas.
All’interno delle capanne, pur con qualche problema di spazio per le famiglie più numerose (dai 35 ai 50 mq), ci si viveva abbastanza bene: queste erano molto fresche nelle giornate più calde e mantenevano una temperatura costante.

fotografie fine anni '50 primi anni '60: 
in alto  foto famiglia Pisu di Riola e compagnia; in basso  foto  tzia Grazia Salaris .

La vita del villaggio, nelle lunghe estati degli anni ‘60 e ’70, era festosa e gioiosa. Molte famiglie, già dal mese di giugno, alla chiusura delle scuole, si trasferivano al mare per trascorrervi anche due-tre mesi di vacanza. Si creava una nuova vita comunitaria, con la nascita di nuove amicizie e rapporti di vicinato.
Nelle lunghe giornate assolate e la sera, dopo cena, i momenti d’incontro e di svago erano numerosi. Seduti sotto le tettoie, “a su friscu”, ci si intratteneva in lunghe conversazioni oppure si giocava a carte; il vino, la vernaccia e i dolci non mancavano mai.
Si organizzavano serate musicali e di ballo con suonatori locali, sia tra le capanne sia nell’ampia distesa bianca della salina che d'estate era prosciugata (ricordo anche una serata di ferragosto con balli sardi  nel cortile interno dell’hotel Su Pallosu).
Il pane e alcuni viveri di prima necessità si acquistavano tutti i giorni nel piccolo negozio di Signora Irene, mentre per l’approvvigionamento dell'acqua ci si recava in paese due, tre volte la settimana.


  cartolina Su Pallosu - anni '70

Nel villaggio, tra le capanne e in spiaggia, vi erano sempre torme di ragazzini con la pelle bruciata dal sole che giocavano a “nascondino” o facevano il bagno.
Anch'io, che ho vissuto quelle stagioni, ricordo che si stava in acqua per delle ore, facendo un intervallo soltanto per asciugarsi e mangiare un panino, oppure per andare a prendere un gelato da Tziu Maureddu al bar dell’Hotel (tziu Maureddu, già in età avanzata, nei primi anni ‘70 stava sempre seduto fuori nella veranda dell’hotel, fumando il suo mezzo toscano).
Spesso andavamo a pescare nelle zone rocciose (is arròccasa) di Punta Tonnara. Nelle pozze d’acqua tra le rocce pescavamo i pesciolini  (ghiozzi (mazzoisi), bavose e roccaletti) utilizzando una piccola lenza legata all’estremità di un pezzo di fil di ferro grosso. Terminata la pesca non mancava mai il  bagno nelle "piscine", dove il maggior divertimento era costituito dal tuffarsi in acqua dalle rocce.
Tra gli altri divertimenti vi erano le discese a pancia in giù nei ripidi pendii sabbiosi di fronte alle ville Espis e Puddu, i giochi tra le cosiddette “palla' manìasa”, le interminabili partitelle di calcio in spiaggia oppure nella salina, le gare di corsa o di salto. Insomma, per i ragazzi, Su Pallosu era un paradiso, un luogo magico fuori dal tempo.

Le prime demolizioni delle abitazioni abusive di Su Pallosu (soprattutto di quelle in muratura e dei casotti) furono eseguite nel 73-74. Contestualmente, un certo numero di capanne in falasco fu posto sotto sequestro e i proprietari denunciati per gli abusi realizzati; il dissequestro, avvenne a seguito di ricorso, nell’agosto del 74, con l'affidamento dei manufatti in custodia giudiziaria ai proprietari.
Negli anni seguenti vi fu una ripresa in grande stile della costruzioni di capanne, che raggiunsero la massima concentrazione alla fine degli anni ’70.  
Nel 1980, dopo anni di lungaggini burocratiche, di ricorsi e incertezze amministrative, pur riconoscendo la valenza culturale dei manufatti e il perfetto inserimento nel paesaggio, fu emanata l’ordinanza di demolizione dal Comune di San Vero Milis, eseguita con grandi difficoltà per l’opposizione dei proprietari tra il 22 e il 24 settembre. 
Soltanto alcune capanne di falasco caratteristiche furono risparmiate, con l’intento - rimasto poi tale -dell’Amministrazione Comunale di utilizzarle per ospitare servizi pubblici (uffici turistici, servizi igienici, ecc.); buona parte di queste capanne, tuttavia, pochi giorni dopo furono rase al suolo dal fuoco; quasi certamente gli incendi furono di natura dolosa.

veduta aerea di Su Pallosu-Punta Tonnara

Si chiuse così, nel modo più drastico, un’epoca, quella del villaggio di Su Pallosu e delle caratteristiche “barràcasa”.
La bonifica integrale dei luoghi, peraltro, a più di trent'anni di distanza, non è stata mai completata; in alcuni tratti di spiaggia e nell’acqua (a seguito dell’avanzata del mare per l’erosione) sono tuttora presenti materiali residui delle demolizioni: blocchetti, tubi di cemento, ecc.
Le pochissime capanne risparmiate, rimasero in piedi fino a metà degli anni ’90, finché non furono abbattute in seguito all’emanazione di nuova ordinanza di demolizione.

Testo di Gilberto Linzas


NOTE:
1)  Il Commendatore Virginio Sias, nel libro “Memorie di Riola Baratili e Nurachi", ricorda che negli anni ’20:  “le famiglie più abbienti durante la stagione balneare vivevano in ampie baracche ben costruite con erbe palustri (biodo e falasco) che reggevano bene al caldo di giorno e all’umidità di notte; gli altri numerosi bagnanti si sistemavano alla meglio presso i carri con i quali erano giunti, attrezzandoli con coperte, lenzuola e stuoie, che offrivano un idoneo riparo”; 
“le strade che conducevano al mare erano impraticabili, mio padre in carrozzino per percorrere il tratto Riola-Su Pallosu (16 Km allora, a causa del cammino tortuoso) impiegava la bellezza di tre ore e mezzo”.

Giovanni Piras (classe 1913) nel suo libro di memorie "Fatti e Misfatti di Riola Sardo" ricorda che a Su Pallosu "gran parte dei riolesi andavano a trascorrere le vacanze estive, cercando un pochino di refrigerio e di riposo dopo l'estenuante e faticoso lavoro della mietitura e della trebbiatura, vacanze che passavano in buona armonia fra loro con canti e danze sulla sabbia, godendosi ogni tanto la frescura di un bel bagno, che all'epoca venifa fatto in due siti diversi: in uno le donne e nell'altro, a distanza di quasi un chilometro, gli uomini."

2)  Le  capanne realizzate a Su Pallosu – come ricorda Nello Zoncu nel suo libro “Zenti Arrioresa" - erano di due tipi:  una costruita  per durare nel tempo,   mentre l’altro tipo – meno impegnativa - veniva realizzata all’inizio della stagione estiva per poi essere disfatta a Settembre, recuperando gran parte del materiale utilizzato (legname e canne) e bruciando il falasco.

3) Su Pallosu tradizionalmente è riconosciuta dai Riolesi come la propria spiaggia.  Secondo i racconti tramandati di generazione in generazione  Su Pallosu avrebbe fatto parte del territorio di Riola e, a seguito di vicissitudini mai chiarite in modo definitivo,  sarebbe passato alla giurisdizione di  San Vero Milis (intorno alla fine del  1700).
La competenza amministrativa sulla marina Sanverese, peraltro, è  stata per lungo tempo oggetto di una forte rivalità tra i due comuni di Riola e San Vero. 


Altre notizie (storie, personaggi, avvenimenti) e iniziative riguardanti il piccolo borgo di Su Pallosu sono pubblicate nel  Blog Su Pallosu.