venerdì 5 agosto 2011

Ricordi di guerra: “IS AMERICÃUSU” di Giuseppe Mocci


RICORDI DI GUERRA (1940/45)

Il 10 Giugno del 1943, l'Italia fascista di Benito Mussolini e di Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d'Italia e d'Albania e Imperatore d'Etiopia (soprannominato "Sciaboletta", per la sua bassa statura), dichiarò guerra all'Inghilterra e alla Francia, alleandosi con il Giappone e la Germania del criminale Dittatore Adolf Hitler, che aveva già iniziato le ostilità in Europa con l'invasione barbarica della Polonia, nel 1939.
Nonostante il parere contrario dello Stato Maggiore della Guerra, motivato dalla ben nota situazione di arretratezza delle nostre forze armate e dall’insufficiente industria bellica, il nostro Dittatore (Dux/Duce) fece firmare a Vittorio Emanuele III la dichiarazione di guerra alle due potenti nazioni democratiche: l'Inghilterra e la Francia, quest'ultima molto amica dell'Italia (i francesi sono stati sempre considerati nostri "cugini").
Sciaboletta, notoriamente incapace, succube di Mussolini, tronfio per l’effimero successo raggiunto dall'Italia fascista con la ridicola annessione dell'Albania e per la barbara invasione dell'Etiopia, forse anche con la speranza di ingrandire il suo dominio, non ebbe nemmeno un attimo di riflessione quando il nostro Dittatore gli presentò la dichiarazione di guerra.

Il Duce Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III 

Vinceremo! era per l’Italia fascista la parola d'ordine. Anche in paese, a Riola, su molte facciate delle abitazioni, e soprattutto in quelle degli edifici pubblici, venne scritto a caratteri cubitali il motto: VINCEREMO.
Anch'io, come quasi tutti gli italiani, mi ero illuso sulla vittoria certa, garantita dal Duce e dai gerarchi suoi collaboratori. A niente mi erano servite le osservazioni e i discorsi che mi faceva spesso il signor Enrico Suella, mio vicino di casa.
Ricordo perfettamente che, quando veniva dai miei e mi vedeva intento a studiare, mi aiutava a fare i compiti oppure mi parlava della Storia del Risorgimento, soprattutto di Garibaldi e di Mazzini. Il suo discorso finiva sempre col denigrare Mussolini, affermando che l’Italia avrebbe perso la guerra. 
Io non capivo il pessimismo di quest’uomo e perché non adorasse il Duce, come tutti gli altri italiani; forse perché, allora, non conoscevo la sua storia.

Enrico Suella

Dal primo giorno di Guerra, il Partito aveva invitato la popolazione ad ascoltare il Comunicato di Guerra, diffuso a mezzo radio, presso la sede, chiamata Casa del Fascio.
Ricordo un episodio curioso capitato durante la diffusione del comunicato, la sera della dichiarazione di guerra dell’Italia agli Stati Uniti d'America, nel 1941. Successe che, alla fine della trasmissione, mentre molti applaudivano e gridavano “Vinceremo!”, un vecchietto, un certo signor Murtas, curvo e appoggiato a un bastone, esclamò:
Boh! Boh! ... Sa gherra e' pédria! (Boh! Boh! ... La guerra è persa!).
A chi gli chiedeva spiegazioni sul suo pessimismo, rispose:
Eh…! S’América esti s’América, ‘osàtrusu non sidéisi nudda de sa potèntzia de custa natziõi. Sa gherra de s’Europa d’éusu binta po is cannõisi e po i viverisi de is Americãusu” (L'America è America, voi non sapete niente della potenza di questa nazione; la guerra europea l'abbiamo vinta grazie ai cannoni e ai viveri degli americani) e se ne andò via. Da quel giorno, il vecchietto non andò mai più ad ascoltare il comunicato di Guerra.
Fino al 1941 la guerra andava benino, dopo incominciarono le sconfitte, una dopo l’altra. Avevamo già perso le Colonie: Somalia, Eritrea e Abissinia. 
Nel 1942 incominciarono i disastri: altre sconfitte, bombardamenti delle nostre città (Cagliari compresa); strade, ferrovie, porti e aeroporti distrutti; mancanza di viveri e di medicinali. Grave sconfitta anche in Africa Settentrionale, con la perdita della Libia e l’inizio dell’invasione Anglo-americana dell’Italia.
Già nella primavera del 1943 si stava avverando quanto previsto dai signori Suella e Murtas; la guerra stava andando male, molto male per noi italiani, soprattutto dopo l'entrata in guerra degli americani.
Ricordo, e a occhi chiusi rivedo, la scena durante il bombardamento americano del campo di aviazione di Milis: dalla direzione del Sinis, all’ora di pranzo, arrivarono centinaia di aeroplani che facevano un rumore assordante. Tanta gente, ancora fiduciosa nella vittoria, si riversò sulle strade e sulle piazze ad ammirare lo spettacolo, convinta che fossero aerei tedeschi nostri alleati.

aereo americano abbattuto nei pressi di Milis

Non appena gli aerei oltrepassarono la verticale di Riola, la contraerea, a difesa del campo di aviazione, cominciò il tiro al bersaglio, ma questa sparò troppo basso, perché la formazione aerea americana da bombardamento era scortata da centinaia di caccia che volavano rasentando i tetti.
Due fabbricati del paese furono colpiti dal fuoco amico: l'edificio del Montegranatico e una casa di abitazione nell’attuale via Manzoni. Per fortuna non ci furono vittime, ma grandissimo spavento.
Ma non finì lì, perché subito dopo arrivò un’altra ondata di bombardieri a completare l’opera di distruzione e morte nel campo e nel Comune di Milis.
Io e alcuni miei coetanei, non curanti del pericolo di rimanere colpiti dalle numerose schegge delle granate che cadevano dal cielo, andammo di corsa al ponte, da dove vedemmo il bombardamento del campo di aviazione di Milis, che venne completamente distrutto e reso inservibile per sempre.
 Non solo, ma assistemmo anche alla battaglia aerea dei caccia, terminata con la distruzione dei nostri pochi velivoli, che si erano levati in volo per difendere il campo.
I caccia americani erano invece centinaia; di questi uno solo fu abbattuto e cadde presso Is Arenas, dove in molti andammo di corsa a vedere i resti. Il pilota, un negro americano, si salvò col paracadute e fu fatto prigioniero dai tedeschi, che erano accampati in un oliveto vicino.
Da quel giorno le “fortezze volanti” degli alleati non tornarono a bombardare, ma per qualche mese imperversarono continuamente i loro "caccia a due code”, così li chiamavamo noi, per mitragliare tutto ciò che era in movimento. 

A Riola furono “vittime” dei mitragliamenti diverse persone, fra le quali anche mia madre e il padre del mio carissimo amico Salvatore Bellu.
Mia madre rientrava da Oristano in carretta (l’unico mezzo allora in uso) e quando questa fu nei pressi di Nurachi apparve un “caccia a due code” che subito esplose una lunga raffica di mitraglia, ma non centrò il bersaglio, anche perché il carrettiere, appena visto l’aereo, fece andare il mezzo in una profonda cunetta, procurando a entrambi piccole escoriazioni.
Al padre di Salvatore, Giovanni Bellu, noto e apprezzato fabbro, l’incontro con il famoso “caccia a due code” avvenne mentre percorreva una strada campestre in bicicletta. Questo aereo gli scaricò una raffica di mitraglia, ma non lo colpì, poiché anch’egli si era buttato in cunetta tra i rovi.
Dopo un minuto, raccontò signor Giovanni, l’aereo si ripresentò, mitragliando la strada; egli rimase ben nascosto, almeno una mezz’ora, fino a quando non sentì più rumore di aerei. Rientrato a casa, sano e salvo ma terrorizzato, il nostro fabbro si trovò con i pantaloni bruciacchiati da una pallottola americana.
In quella zona i caccia imperversavano, perché forse sapevano della presenza dei soldati della Divisione Bari e del Reggimento tedesco, accampati negli oliveti di Su Barroccu e dintorni.
Per nostra fortuna la guerra in Sardegna finì l’otto settembre del 1943 con l’Armistizio, e finirono anche le incursioni aeree. Accadde però che, proprio in quel giorno (o il giorno dopo), un bombardiere americano gravemente danneggiato fu costretto a un atterraggio di fortuna nello stagno di "Sale 'e Porcus".
Anche in quell’occasione andammo in molti a vedere la cosiddetta “fortezza volante”, con l’intenzione, eventualmente, di aggredire  gli americani.
Trovammo solo l’aereo, era enorme e ancora armato con tre mitragliatrici e un cannoncino; gli americani erano spariti. Sapemmo dopo che li avevano ospitati dei pastori di San Vero Milis, ai quali avevano offerto sigarette, dolci e i paracadute di seta. Informati dell’assenza in loco di soldati tedeschi, gli americani si fecero accompagnare dai carabinieri di San Vero.

formazione di aerei americani 

Per qualche settimana la “fortezza volante” divenne oggetto dei nostri giochi, poi fu distrutta dagli stessi americani, che nel frattempo erano sbarcati in Sardegna.
L’otto Settembre 1943 è stato, per alcuni - anche per me, Balilla illuso - un giorno molto triste (ricordo, infatti, di aver pianto), per altri invece un giorno di grande euforia; ricordo che alcuni, particolarmente euforici, abbatterono le sculture del Fascio che si trovavano sulle facciate del Municipio e delle Scuole. Molti, che si trovavano nello stesso mio stato d’animo, si spaventarono tanto e presagivano seri guai dai vincitori.
Ricordo mio nonno che soleva ripetere:
Cessu… itta s’ant a fai is americãusu?” (Chissà cosa ci faranno gli americani?).
Strano ma vero, gli alleati Anglo-americani arrivarono invece da amici e come tali si comportarono; infatti portarono in Sardegna viveri, medicinali e ogni ben di Dio.

Testo di Giuseppe Mocci


editing: G.Linzas - revisione dialetto Riolese: B. Sulas


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