venerdì 26 agosto 2011

Contighèddusu Arriorèsusu - a cura di Giuseppe Mocci



FANATISMO RELIGIOSO (Mi dd'ia a crei crasi...)

Negli anni cinquanta del secolo scorso, a Riola fu inaugurato il cinematografo, nei locali attigui al Bar Sport, in via Umberto I
Il giorno dell’inaugurazione venne proiettato un film a carattere religioso, dove appariva spesso Gesù Cristo. Alcuni anziani signori, tutti facenti parte di una Confraternita, andarono a vedere il film, sedendosi in prima fila.
Ogni qualvolta nello schermo appariva Gesù, si sentiva, proveniente dalla prima fila, un’esclamazione di meraviglia e un leggero pianto di gioia. 
Uno della Confraternita, rientrato a casa, ancora con gli occhi rossi, raccontò alla moglie alcuni particolari del film e concluse, piangendo:
Mi dd’ia a crei crasi ca prima de morri bidiu a Zesu Cristu!(1).
 La moglie, allora, prontamente gli rispose:
Za sesi pagu tontu! Tui no asi biu a Zesu Cristu, ma ũ attori de tzìnema(2)
Di rimando il marito concluse:
Deu seu meda cuntentu e creu in Déusu, ma tui no crèisi in Déusu e as a andai a s’Inferru !(3)

NOTE:
1) Non avrei ma immaginato di vedere Gesù Cristo prima di morire;
2) Tu sei veramente fesso! Tu non hai visto Gesù Cristo, ma un attore cinematografico;
3) Io sono molto contento e credo in Dio, ma tu non credi in Dio e andrai all’Inferno.





IL NUOVO POSTINO 

Tanti anni fa, a Riola, prestava servizio una postina, una signora riolese “doc”, la quale conosceva tutti gli indirizzi dei paesani, a memoria; non sbagliava mai. 
Andata in pensione la signora, venne in paese un nuovo postino, proveniente dal Campidano di Cagliari. 
Durante i primi giorni di servizio egli si era recato in via Roma n.9, per consegnare una lettera indirizzata al signor Giovanni Fancello. 
Al rintocco del battente, aprì la porta una donna, alla quale il postino disse: C’è una lettera per il signor Giovanni Fancello, tenga!
Rispose la donna: In custa domu no ch’esti nissũ Fancello e rientrò in casa un po’ scocciata. 
Il postino, al rientro in ufficio, compilò la nota di servizio e annotò: Si restituisce al mittente la lettera indirizzata al sig. Fancello Giovanni perché risulta sconosciuto
L’Ufficiale postale, vista l’annotazione, chiamò il postino e lo informò dell’usanza riolese di chiamare le persone non solo per nome ma, spesso, anche per soprannome; poi lo invitò a consegnare la lettera allo stesso indirizzo ma di dire alla donna che la lettera era indirizzata a Giovanni Fancello, noto Corracutzu
Il postino, ligio al proprio dovere, si recò nuovamente in via Roma n. 9 e alla signora disse: La lettera è per il signor Giovanni Fancello, noto Corracutzu". 
La signora, prendendo in mano la lettera, rispose: Cussu, tiau, esti pobiddu miu! (Quello, diavolo, è mio marito!) e rientrò in casa tutta contenta. 


I DUE FRATELLI 

Negli anni sessanta del secolo scorso, in Sardegna si verificarono molti furti di bestiame (abigeato); quasi sempre gli autori erano i servi pastori barbaricini, che pascolavano le greggi nel Sinis
Questi giovani, quando dovevano raggiungere il loro paese d’origine per godersi le giornate di riposo, usavano rubare uno o più cavalli. Raramente li riportavano, liberandoli nella zona; la maggior parte delle volte, li tenevano per uso proprio o per venderli. 
In quell’anno ai due fratelli Pietro e Paolo, agricoltori, rubarono un bellissimo puledro. Uno dei due fratelli, Pietro, si recò subito con la sua motocicletta in Barbagia, dove, anni prima, aveva prestato servizio da carabiniere; vi rimase un paio di giorni per assumere le informazioni necessarie per il ricupero del cavallo. Avute le informazioni, che lui ritenne veritiere, rientrò in paese. 
Il giorno seguente, dopo molte insistenze, convinse il fratello a partire con lui per riportare il loro cavallo a casa. Il puledro si trovava, secondo le informazioni da lui assunte, nel Supramonte di Orgosolo. 
I due partirono in motocicletta, con un po’ di provviste; arrivarono a Orgosolo un’ora prima del tramonto e Pietro volle fermarsi ad un Bar, per bere qualcosa e per salutare il barista, suo vecchio conoscente. 
Dopo i convenevoli d’uso il barista chiese all’amico: Ita 'osa naki? E ita ses ‘eniu a fàchere? (Come mai da queste parti, cosa sei venuto a fare?). Pietro, ingenuamente, raccontò il motivo della sua venuta. 
I due fratelli ripresero il cammino per la montagna, in una località, dove l’ex carabiniere riteneva si trovasse il suo cavallo e lì si fermarono.
Trascorsero la notte all’addiaccio, sotto un enorme macchione di cisto. All’alba del giorno seguente, Paolo si alzò per primo, uscendo dal macchione un po’ indolenzito; fece qualche passo e si fermò per fumare una sigaretta, ma, non appena mise in bocca la sigaretta, gli arrivò, da dietro, un sonoro schiaffo sulla guancia destra e sentì una voce imperiosa, in dialetto, che gli ordinò: Atte a pipare, naki!” (Dammi da fumare!)
Paolo, atterrito, si trovò di fronte un uomo, un brutto ceffo, armato di mitra, che gli intimò di svegliare il fratello e di andar subito via. 
Pietro dormiva profondamente, tanto che lo sgradito ospite lo prese a calci, gli sequestrò una pistola che teneva sotto la cinta e, con voce determinata e minacciosa, raccomandò loro di non tornare mai più a Orgosolo. 
I due fratelli, tristi e umiliati, rientrarono in paese, con le pive nel sacco. 
L’accaduto è stato raccontato dallo stesso Paolo a vari amici, maledicendo il progetto del fratello e giurando che non si risarebbe, mai più, recato in Barbagia.

Testi a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati


Editing G. Linzas
Revisione testi in dialetto B.Sulas

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