domenica 6 novembre 2011

Storia della Sardegna - Guerra di successione Spagnola e cessione della Sardegna ai Savoia

LA GUERRA DI SUCCESSIONE DI SPAGNA 

Con la morte di Filippo II, nel 1665, l’impero spagnolo comincia lentamente la disgregazione interna.
I discendenti di Carlo V e di Filippo II, inetti e dissoluti, non si dimostrarono all’altezza del loro compito. Infatti, alla morte di Carlo II, senza lasciare eredi, i parenti prossimi e lontani, appartenenti alle due più grandi potenze d’Europa (la Spagna e la Francia), diventano tutti candidati.
“La guerra di successione di Spagna (la guerra dei trent’anni) ebbe inizio con la designazione al trono del nipote di Luigi XIV, Filippo duca d’Angiò; e fu soprattutto la Francia a sopportarla, contro la quale si formò la coalizione anglo-imperiale cui si unirono l’Olanda e i principi tedeschi. Tra sconfitte e voltafaccia, vi si era aggregato anche il duca di Savoia, lo scaltro e ambizioso Vittorio Amedeo”.

Vittorio Amedeo di Savoia

Con vittorie e sconfitte da una parte e dall’altra negli schieramenti, la stanchezza generale e gli enormi sacrifici in denaro e in vite umane “convinsero finalmente i belligeranti” a un accordo, che “si ottenne dopo una serie di trattati” (Utrecht, Rastad, Baden e Londra, dal 1710 al 1720). 
Con il Trattato di Londra la Sardegna fu assegnata al Duca Vittorio Amedeo di Savoia, “che l’accettò a malincuore, facendone prendere possesso da un viceré, …, senza neppure degnare di mostrarsi… ai sudditi. 
Forse fu alterigia e insieme disprezzo verso i Sardi e la loro isola, nonostante fossero dono della divina provvidenza… Per grazia di Dio, si autoproclamò, infatti, Vittorio Amedeo II re di Sardegna, non già per volontà della Quadruplice Alleanza”.
Il trattato di Londra imponeva a Vittorio Amedeo lo status quo del regno, cioè “conservare infatti i benefici non già alla Sardegna e ai Sardi, bensì ai feudatari filo-spagnoli e al clero”. 


I PRIMI DIECI ANNI DEL DOMINIO SABAUDO

“Poco dopo il suo arrivo a Cagliari, il viceré di Saint Remy aveva fatto al re un primo quadro scoraggiante sullo stato in cui si trovava la Sardegna”. Egli praticamente aveva fatto un elenco “di tutti i mali e le miserie che si erano accumulati e stratificati nei secoli del dominio spagnolo”.

Barone di San Remy

Prima di tutto aveva evidenziato come “piaga cancrenosa” il feudalesimo, ormai decaduto “che prosperava sulla miseria delle popolazioni… paralizzava, infestante parassita, il naturale sviluppo e il progresso, soprattutto dell’agricoltura".
“Anche il clero, numeroso, ricco e privilegiato, gravava passivamente sull’economia del regno, accrescendo le ristrettezze delle popolazioni e intralciando l’opera del governo.”.
Il Parlamento, cioè i famosi tre bracci rappresentanti tutta la Sardegna, non era stato più convocato, ma continuava ad avere notevole peso. Scriveva un altro viceré al sovrano che in Sardegna “le leggi ed i privilegi sembrano fatti apposta per distruggere il povero: tale è la legge che dà ai feudatari la proprietà dei territori ed il diritto dei comandi personali; tal è l’uso che si paghi la decima dei frutti interi alla Chiesa, …, tale è il privilegio o costume che i nobili ed ecclesiastici siano esenti dai diritti di dogana… Nessuna meraviglia perciò, se il banditismo era tanto diffuso, … specie se riuniti in bande anche numerose… Il banditismo era alimentato per buona parte dai ribelli ai soprusi feudali e alla giustizia vessatoria e corrotta”.

cattura di banditi in Sardegna (illustrazione)

Famosa l’azione energica del viceré, Marchese di Rivarolo, che “con numerosa truppa e metodi drastici nella repressione e contro i favoreggiatori, diffuse il terrore con esecuzioni capitali, riempiendo le prigioni”. Con questi metodi il Rivarolo riuscì, per alcuni anni, a porre un po’ d’ordine; era tanto severo che arrivò a proibire ai Sardi di portare la barba e “con un pregone ordinò che si radessero”.
Comunque si possono rimproverare gli eccessi ma va riconosciuto al Rivarolo il merito di “aver stremato il banditismo, sì che per alcuni anni parve quasi estirpato; ma per le deplorevoli condizioni in cui rimaneva la Sardegna, il banditismo riprese come prima e continuo a imperversare” fino a tutto il 1800.
“I mezzi di viabilità erano pressoché inesistenti: c’erano due sole strade principali, quella verticale da nord a sud e quella litoranea che collegava le antiche città marittime che più non esistevano. Le due strade furono trascurate durante il periodo giudicale. Ma, senza più manutenzione nei quattro secoli di dominio spagnolo, ne era rimasta poco più che il tracciato. E mancavano anche i ponti”.

IL PERIODO DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

“Fino al 1799, anno in cui, cacciati dal Piemonte, i Savoia si esiliarono in Sardegna (ospiti del Marchese di Suni, dei Manca di Villaermosa, proprietari di una lussuosa villa lungo la costa cagliaritana: Villa d’Orri), nessuno di loro aveva mai posto piede nell’isola; cingevano la corona di un regno che non avevano mai visto. E’ forse, un esempio unico nella storia.”.
Un ministro della reale casa, il Bogino, fece qualcosa in più dei suoi predecessori, “tuttavia neppure lui si discostò dall’indirizzo politico nei riguardi della Sardegna, che fu essenzialmente burocratico e superficiale, senza mai affrontare i gravi problemi dell’isola, ch’erano soprattutto nella sua povera e arretrata economia, lasciandoli anzi insoluti di proposito, per fini politici”.
Di Bogino, i Sardi ricordano solo la sua severità e, un tempo non molto lontano, come malaugurio ai nemici usavano dire “chi ti cùrrada su Bugiu”.
Questo ministro “era del principio che non si dovesse far acquistare alla Sardegna lo stesso grado di civiltà e di prosperità delle altre province di terra ferma” e, secondo alcuni, “di lasciarla nello stato miserabile in cui era stata ereditata dalla Spagna. Certo, fu questa la politica cui si uniformò il Bogino (è sua in proposito l’esortazione al re di non abbellire soverchiamente la sposa perché altri non se ne invaghisse).
Molti decenni più tardi fu lo stesso re, Carlo Alberto, a prendere atto di questa stolta ed ingiusta condotta e a modificare l’atteggiamento della casa Savoia nei confronti dell’isola.
Si dice che quando, prima di salire al trono, aveva visitato la Sardegna “istruito dal Pes di Villamarina, avrebbe esclamato: “Come si può abbandonare questo popolo in tal stato di barbarie, di sconforto, di miseria? Tutti i principi religiosi, morali e di giustizia vi si oppongono”.
Comunque tutti i sovrani che regnarono la Sardegna, da Vittorio Amedeo a Vittorio Emanuele I, tentarono di disfarsi dell’isola “in cambio di qualunque altro pezzo di territorio o di beneficio”.
Con l’evolversi dei principi rivoluzionari francesi in tutta Europa, solo la Sardegna ne rimase immune. La Francia, dopo “aver occupato, quasi senza colpo ferire, Nizza e la Savoia, nel 1792, tentò di impossessarsi della Sardegna che si sapeva sguarnita, con poca artiglieria, nell’impossibilità di organizzare una valida difesa”.


Non solo, ma “nessuno ignorava inoltre come i sardi fossero malcontenti del dominio sabaudo, ciò che avrebbe contribuito a ridurre ulteriormente la possibilità di resistenza.”. Come vedremo il tentativo fallì per l’impreparazione delle truppe francesi, un’accozzaglia raccogliticcia di volontari indisciplinati, male inquadrati e peggio comandati. A Cagliari il viceré Balbiano invocò, invano, il governo di Torino per ottenere rinforzi, “ma dovette infine subire la volontà degli Stamenti… per concertare i mezzi per la difesa. I loro membri, feudatari ed ecclesiastici, erano i più direttamente interessati a difendere l’isola, non già per patriottismo o per attaccamento al sovrano, bensì per i propri interessi, in quanto la vittoria dei francesi avrebbe significato per loro la perdita dei feudi, dei privilegi e fors’anche della libertà”. Nonostante le esitazioni del viceré, i componenti gli Stamenti dimostrarono “uno slancio, mai rivelato in precedenza e neppure in seguito, di propositi guerreschi e di generosi contributi finanziari… l’arcivescovo di Cagliari offrì 12.000 scudi e tutta l’argenteria della cattedrale e personale”.

Testi a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati.

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