Efisio Zoncu (1893-1959)
Efisio Zoncu, nacque a Riola il 21 Marzo del 1893, ed ivi morì il 26 Novembre del 1959 a soli 66 anni.
La sua fu un’esistenza vissuta accanto alla sua adorata moglie (Maria Manca, sa maista) che tanto amò.
Fu marinaio, poeta, agricoltore. Dopo gli studi ginnasiali, a diciassette anni, si arruolò in Marina.
La prima poesia la compose nel 1914, d’ispirazione patriottica, dal titolo: “Ai lontani fratelli irredenti”, invitandoli ad attendere ma anche a prepararsi “fedeli e possenti” alla guerra di liberazione dal giogo straniero.
Per tutto il periodo della Grande Guerra egli compose alcune bellissime poesie sui nobilissimi sentimenti dell’amor patrio e della famiglia.
Egli scrisse con tanto affetto e rimpianto dei suoi familiari, ai quali dedicò molti dei suoi componimenti.
Non si dimenticò del suo paese natìo, del quale scrisse: “Ai piè d’un silenzioso fiumicello dell’ubertosa valle di Oristano in Campidano giace ridente, pittoresco e bello il mio paesello”.
Con la fine della guerra, nel 1918, il nostro diede inizio ad una nuova serie di componimenti, ispirati tutti e solo dal grande amore per la sua donna.
Maria Manca (sa Maista)
Per la sua adorata Maria infatti egli scorderà i suoi primi amori: la Marina e la poesia. Ricambiato dal profondo amore della sua amata, si congedò e si sposò.
Pago di tutto, butterà alle ortiche la penna e si dedicherà con grande passione ai lavori dei campi, assistito sempre dall’affetto e dalla più profonda stima e comprensione della moglie.
Recensione di Giuseppe Mocci, già pubblicata nel quotidiano La Nuova Sardegna del 10/10/2000 e nel libro "Zenti Arrioresa" di Nello Zoncu
IL MIO VILLAGGIO
Ai miei fratelli e sorelle care
Ai pie' d’un silenzioso fiumicello
dell’ubertosa valle d’Oristano
- in Campidano -
giace ridente, pittoresco e bello
il mio paesello.
Di mandorli fioriti e melograno,
di pampini e d’ulivo è ricoperto;
e, in verde serto,
cinge il villaggio un rigoglioso piano
d’orzo e di grano.
Sono piccole case a pianterreno,
deposito di vino e di sementi;
e al sol splendenti,
nel bel libero ciel chiaro e sereno,
campi di fieno.
Un palazzetto non ancor costrutto,
una chiesetta di remoto stile,
un campanile,
un ponticello, un nuraghe distrutto,
ed ecco tutto.
Per i sentier scoscesi e malandati,
sciami di passerotti svolazzanti,
e cinguettanti;
un tramestìo di villici abbronzati,
affaccendati.
Un calpestìo di pecore e d’armenti,
d’indomiti cavalli ed asinelli
focosi e belli;
un tintinnìo d’agricoli strumenti
ferrei e lucenti.
Sorride in cielo eterna primavera
sulla campagna tutta sfavillante;
e il sol costante
brilla gioconda sulla terra austera
di stirpe fiera.
E dal placido mar che lungi tace
spira una fresca serotina brezza
come carezza;
regna sul borgo che solenne giace
amore e pace.
Gallipoli – Aprile 1915
CAVALLONI…..
Cavalloni impetuosi e spumeggianti
che v’avventate contro le scogliere,
come mandre fameliche di fiere,
io non vi temo.
L’ira dei giganti marosi,
nelle oceaniche tempeste,
L’ira dei giganti marosi,
nelle oceaniche tempeste,
ben altre volte impavido ho sfidato;
ed in quell’ore tragiche e funeste
il mio cuor non ha pianto, né tremato.
Di voi in balìa, e con eguale sorte,
pel mondo navigai senza speranze;
spesso ballai con voi macabre danze:
le danze del terrore e della morte.
Or non più marinaio ardimentoso,
Or non più marinaio ardimentoso,
da questi lidi ancor vi guardo fisso,
ed un pensier m’assale tormentoso
non di lottar, con voi, ma nell’abisso
scomparire, e per sempre riposare
sull’alghe molli dell’ignote valli,
fra serti di gorgonie e di coralli,
lasciandomi dall’onde dondolare.
Riola 4/11/1919
Freme, sussulta, palpita,
dall’alto dell’antenna.
E libera, solenne,
al sole invitta spiegasi.
Fiera ed ardita sventola,
sacra alla nuova aurora,
è giunta, è giunta l’ora
sul mar silente mormora.
Canta le geste italiche,
dei martiri la Gloria,
e tutti alla Vittoria
lancia i suoi figli indomiti.
Schiocca, sussurra ed agita
al vento il Tricolore,
e accende in ogni cuore,
fiamma d’amor patriottico.
Splende, si snoda, sfolgora,
arcane note vibra,
e infonde in ogni fibra,
novella forza ai giovani.
L’ENIGMA
All’ignota “Birichina”
Non la conosco, nò, ma sento in me
qualcosa che m’attira e mi conquide;
non la conosco, ma non sò perché,
quando l’effigie guardo mi sorride.
E quando più la miro, Ella ancor più
le sue pupille fissa nelle mie.
E mi ridesta in cuor la gioventù,
m’addita dell’amor le ignote vie.
Le labbra par dischiuda, e in sua favella
tacitamente all’anima sussurra:
“vuoi tu meco goder vita novella?...”.
Ma tosto penso: “l’ironìa mi sferza!...”.
E’ un sogno questo, una chimera azzurra,
o il folletto Cupido che mi scherza??..
PENSIERI NOSTALGICI
Mentre la nave mia calma e silente,
scompare lentamente
nell’ampia solitudine dei mari,
i giorni lieti e cari,
alla mente chiamo, del passato,
ed a Colei ch’ho amato
corre insistente e lesto il mio pensiero
- per tacito sentiero -
e in Lei si posa. Della giovinezza
mia prima, ancor l’ebbrezza
e le gioie rimembro nella pupilla
e la viva scintilla
della passione, in cor forte m’ardèa.
Felice trascorrèa
la vita tra i fiori e la verzura,
e tutta la natura
mi sorridèa d’intorno. Ero giocondo
allor, perché del mondo
né spine io conoscèa, né disinganni,
or che passàro gli anni
felicità passò, passò l’amore;
non più freme d’ardore
l’animo mio. Tal come fugge l’onda
- che intorno mi circonda
e si dilegua – i sogni miei fuggìro,
così, così svanìro,
le mie speranze care. Oh! Come passa,
come presto trapassa
ogni mortal vaghezza! Non ritorna
giammai, giammai ritorna
felicitade alcuna, non più, non più,
la speme, la gioventù,
mia bella ……..
Napoli – Novembre 1914
Si ringrazia Giuseppe Mocci per la preziosa collaborazione.
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