lunedì 15 agosto 2011

Ricordi di guerra: "I TEDESCHI E GLI ANGLO-AMERICANI" di Giuseppe Mocci

I TEDESCHI 

Nella primavera del 1943, quando la guerra stava travolgendo l’Italia, gli alleati tedeschi arrivarono in nostro soccorso.
Essi giunsero anche a Riola (un reggimento di Fanteria motorizzato) e si accamparono negli oliveti di "Su Barroccu" e dintorni. A loro fu affidato il compito di minare la costa del Sinis fino a Is Arenas, perché si temeva un probabile sbarco anglo-americano.
La popolazione accolse favorevolmente gli alleati, ben armati e dotati di mezzi di trasporto moderni: autocarri, vetture, motociclette e carri cingolati. Erano dotati, inoltre, di un ottimo vettovagliamento; le razioni alimentari erano di ottima qualità e, spesso, venivano loro distribuiti anche dolciumi (caramelle e cioccolati) di marca italiana. Solo il loro pane - nero e impacchettato con carta stagna - non era gradevole.
I Riolesi strinsero subito rapporti di amicizia con questi stranieri, con i quali ci fu un interessante e gradevole scambio continuo di doni. Generalmente, da parte nostra, si offriva pane bianco di semola, vino e frutta, mentre loro ricambiavano con dolciumi, zucchero, sigarette e medicine; cose, queste, scomparse da noi fin dallo scoppio della guerra.
Si crearono dei veri rapporti di amicizia. Al riguardo ricordo l’amicizia stretta da mio padre con un capitano medico, conosciuto al rientro da una battuta di caccia alle pernici nelle colline vicine di Narbolia.
Passavamo in carretta sulla campestre che fiancheggia gli oliveti dove erano accampati i tedeschi, con le numerose pernici esposte, ben visibili come si usava allora, quando ci fermò gentilmente questo capitano, che volle ammirare le nostre prede, perché, disse, era un appassionato cacciatore anche lui. Questi parlava molto bene l’italiano poiché si era laureato in Italia, a Bologna.

Oliveti di "Su Barroccu"

Ho detto che passavamo, si passavamo, perché c’ero anch’io, aiutante cacciatore dodicenne che, durante la caccia, portavo le pernici appese al collo come una collana (detta in riolese “sa cannaca”).
Le frequentazioni col tedesco durarono fino al nove settembre, giorno della sua partenza per la Germania (quando inziò l'evacuazione dell'esercito tedesco), ma in quei mesi la frequentazione reciproca fu intensa.
Dottor Franz - così si chiamava l’amico tedesco - era spesso nostro gradito ospite, a pranzo o a cena. Egli ci portava zucchero, dolci e qualche medicina; gradiva mangiare il pane bianco di semola e bere il vino nero, soprattutto gradiva il piatto forte estivo riolese: le lumache al sugo di pomodoro, "sa sinzella a bànnia".
Il nostro amico non parlava mai della guerra, si capiva che era contrario; parlava spesso della sua famiglia e degli ottimi cibi italiani.
I militari tedeschi, quando erano in libera uscita, la sera, frequentavano l’Osteria di Tzia Maria in via Umberto I (in prossimità dell’attuale Bar Sa Barritta) -  l'unica a Riola -  dove mangiavano grosse cipolle con pane e formaggio stagionato e bevevano tanto vino; quasi sempre rientravano nel loro accampamento un po’ brilli e cantando.

 l'osteria di Tzia Maria era situata in via Umberto I  

Dopo la guerra, nel 1954, il Dr. Franz, l’amico di Ilario, mio padre, tornò in Sardegna da turista.
Venne a Riola con la moglie e chiese a mio padre “un grande favore”, così disse lui, cioè di far conoscere a sua moglie le lumache al sugo di pomodoro. Naturalmente venne accontentato. Egli chiese anche di me, assente, perché allora frequentavo l’Università a Cagliari.
Poiché il Dr. Franz si trattenne in Sardegna qualche settimana per farla conoscere alla moglie, anche io ebbi il piacere di rivedere e salutare con affetto l’amico tedesco, che rientrò in Germania con il portabagagli pieno di formaggio, vino e una buona dose di lumache vive. Ricordo anche che mi chiese, tra le altre cose, se fossi diventato anche io un cacciatore.

Negli oliveti di "Su Barroccu" e dintorni erano accampati anche i nostri soldati. Essi -  appartenenti alla Divisione Bari, di stanza a San Leonardo - erano arrivati il 25 luglio del 1943, proprio il giorno della caduta del Fascismo, perché c’era stato un allarme aeronavale di probabile sbarco degli anglo-americani lungo le coste del Sinis.
Ricordo che provai una grande meraviglia, mista a stupore e dispiacere, nel vedere i nostri soldati, mal vestiti e poco armati, marciare con grossi zaini sulle spalle; non disponevano di automezzi, ma solo di qualche carro tirato da ronzini o da muli. I vettovagliamenti erano alquanto scarsi; scarse erano anche le razioni dei viveri.
I  nostri soldati mangiavano un rancio scadente e quasi sempre a base di riso. Quando erano in libera uscita (il che avveniva di rado) ci chiedevano pane e formaggio, oppure ago e filo per riparare la vecchia e logora divisa. Era una pena, una vergogna, una delusione per chi, come me, aveva creduto nella potenza dell’Italia fascista.
In quella occasione mi venne spontaneo fare confronti con i soldati tedeschi, ben vestiti e armati, dotati di mezzi moderni di trasporto e che, addirittura, mangiavano prodotti italiani.
I nostri soldati provenivano da tutte le regioni italiane; alcuni avevano partecipato alle guerre d’Abissinia, della Spagna, della Grecia, dell’Africa settentrionale; erano, giustamente, stufi di fare i guerrieri. 
Uno di loro, un certo Carmelo, calabrese, l’attendente di un sottotenente, sposò una ragazza riolese; essi vissero a Riola felici e contenti.


GLI ANGLO-AMERICANI 

Partiti i Tedeschi, dopo qualche giorno, arrivarono in Sardegna gli Americani e, subito dopo, gli Inglesi.
Tutti sbarcarono a Cagliari e, d’accordo col Generale Basso, Comandante militare della Sardegna, si stabilirono in varie e distinte località.
Gli americani si stabilirono con la Marina nei porti di Cagliari e Olbia, con l’Aeronautica nei campi di aviazione di Elmas, Monserrato e Gonnosfanadiga.
I porti e gli aeroporti della Sardegna erano stati totalmente distrutti da loro stessi.  Gli americani provvidero subito alla loro riparazione e li utilizzarono:  gli aeroporti per bombardare le città italiane ancora in mano ai tedeschi,  i porti per i rifornimenti ai loro soldati, ai nostri e alla popolazione sarda.
Essi portarono ogni ben di Dio, dai viveri ai medicinali, con nostra grande meraviglia, perché fino al giorno prima erano stati i nostri nemici e stavano vincendo la guerra.
Una compagnia di soldati americani, addetti ai servizi vari, si era accampata nella nostra zona, mi pare a Is Arenas.
In paese non sono mai venuti, almeno io non li ho mai visti. Per quanto mi risulta, non ci fu nessun contatto con la popolazione, senz’altro per una logica diffidenza reciproca. Noi non avevamo ancora dimenticato i loro bombardamenti e mitragliamenti.

Americani in Italia - celebre fotografia di Robert Capa

Nella nostra zona, a Santa Caterina, arrivarono anche gli inglesi; una compagnia di fanteria, di cui non abbiamo mai saputo cosa facessero. Questi, invece, al contrario degli americani, venivano in paese, soprattutto la domenica per assistere alla messa delle undici, e qualcuno allacciò anche rapporti di amicizia con una famiglia.
Ricordo in particolare un ufficiale anziano, persona distinta e fervente cattolico, che faceva la comunione tutte le domeniche. Spesso era ospite del suo amico riolese, accanito fumatore, al quale portava le sigarette, allora completamente sparite dal commercio.
Praticamente, anche gli inglesi si comportarono da amici, con nostra grande meraviglia e sorpresa, perché essi erano stati considerati, per tutti gli anni trenta, come i nemici acerrimi degli italiani.

Testo di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

editing G.Linzas

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