sabato 10 settembre 2011

STORIELLE E FREDDURE - a cura di Giuseppe Mocci

IL FRUTTIVENDOLO CAGLIARITANO 

Nel secolo scorso, fino agli anni ‘60, a Cagliari c’era un bellissimo mercato civico all’aperto, una vera opera d’arte. Famoso il lungo colonnato di marmo della facciata. Erano rinomati i box del pesce e quelli della frutta e verdura, molto ricercati per la bontà della merce. 

cartolina d'epoca: sulla destra il vecchio mercato civico di  Largo Carlo Felice 

I pescivendoli e i fruttivendoli facevano a gara a decantare, ad alta voce, la loro merce e a invitare, nella stessa maniera, gli avventori a comprarla.
Un fruttivendolo di nome Chichinu usava richiamare l’attenzione degli eventuali clienti gridando:
Toccai picciocus, toccai sa ravanella bella, sa figu, sa pira e su préssiu, toccai picciocus!(1)
Con questa frase egli riteneva di invitare gli avventori a comprare la sua frutta.
Una mattina passò davanti a Chichinu “unu picciocu de crobi” di nome Efisinu, alquanto burlone, che all’invito di Chichinu si fermò e con le mani toccò, sfiorandola appena, la bella frutta e proseguì per la sua strada.
Chichinu, meravigliato, inseguì “su picciocu”, lo fermò e gli chiese perché non avesse comprato. Efisinu rispose con la massima calma: 
Oh Chichinu, deu appu toccau sa ravanella bella e sa frutta, comenti tui as bòffiu, itta bollis de mei? (2).
Nel frattempo, i suoi colleghi, che erano rimasti un po’ più dietro, avevano già svuotato la cesta dei fichi.

Note: 
1)  "Toccate ragazzi, toccate le ravanelle, i fichi, le pere e le pesche, toccate pure ragazzi!"
2)  "Oh Chichinu, io ho toccato le ravanelle, i fichi, le pere e le pesche come tu volevi, adesso cosa pretendi da me?"


IL VECCHIO E L’ASINELLO 

A Cagliari, nell’immediato dopoguerra, negli ultimi anni ‘40, in mancanza di mezzi di trasporto meccanizzati, si ricorreva ai carretti tirati da asinelli per trasportare le diverse merci nei vari quartieri della città.
Un vecchietto di nome Buicu, proprietario di un carretto e di un asino, faceva il trasporto quotidiano delle merci per i commercianti del quartiere Castello.
Un giorno si ammalò e, non potendo effettuare i viaggi programmati, chiese al nipotino dodicenne Checo di sostituirlo nel trasporto delle merci almeno per un viaggio, il più importante, quello del commerciante Rossi nel quartiere Castello.
Checo si sentì lusingato e accettò subito l’invito, con la speranza anche di guadagnare qualche soldo. Entrambi abitavano nel quartiere Marina. 
Il nonno Buicu indicò al nipote l’itinerario: prima prelevare la merce in via Roma, vicina alla Marina (su strada tutta pianeggiante), poi, da via Roma, girare per viale Margherita, in salita, fino a piazza del Bastione; qui giunto, girare a sinistra per Piazza Martiri e salire a destra per Castello fino ad arrivare in via La Marmora al numero civico 47, dove scaricare la merce.
Checo, tutto contento per l’incarico ricevuto, con l’aiuto del nonno preparò il carretto e partì a briglia sciolta per via Roma. Caricata la merce, il giovane carrettiere partì, tranquillamente, ripercorrendo la via Roma fino al viale Regina Margherita, poi, non appena iniziarono la salita, l’asino, ansimando, si fermò all’altezza dell’Albergo Scala di Ferro e si rifiutò di continuare il cammino. 

foto d'epoca: Viale Regina Margherita e l'Albergo Scala di Ferro

Il povero Checo si trovò in grande difficoltà e, per non deludere il nonno, slegò l’asino, lo legò a un albero e tirò lui, con un grandissimo sforzo, il carretto fino a via La Marmora al civico n. 47.
Di ritorno, arrivato in viale Regina Margherita, trovò due vigili urbani che stavano per portar via l’asino. Checo, avvilito più che mai, reclamò dai vigili il suo asinello e dovette pagare la multa di lire 10,10 per riaverlo.
Legato l’asino al carretto, il giovane carrettiere rientrò a casa a spron battuto, dopo aver a più riprese frustato a dovere l’asinello.
Raccontò l’accaduto al nonno, con suo grande dispiacere, anche perché aveva portato a casa solo 9,90 lire, delle 20 incassate dal viaggio. Nonno Buicu, amorevolmente, ringraziò subito Checo per il grande coraggio e la determinazione dimostrati e, poi, si scusò col nipote dicendogli: Caro Checo, quello che ti è successo è per colpa mia…
Deu seu bécciu e non mi seu arregordau de nudda. 
Deu ti deppia nai chi candu su burriccu si fìrmada, ci ddi deppis ficchiri unu piberoni in paneri. Iissandus as a biri comenti cùrridi che dimòniu!(1) .
Alla fine, lo ringraziò ancora e gli diede 5 lire.
Il giorno dopo Checo volle rifare il viaggio per Castello. Partì dalla Marina presto, in via Roma dal grossista caricò la merce e ripartì, ansioso di vedere l’effetto “piberoni”.
Arrivato tranquillamente in viale Regina Margherita, Checo effettuò l’operazione “piberoni”. Mai l’avesse fatto. L’asinello partì come un razzo, si dimenò, diede calci da tutte le parti, ma corse, corse tanto che il povero carrettiere dovette fare uno sforzo sovrumano per seguirlo.
Per fortuna in via La Marmara, proprio di fronte al nostro cliente, c’era un vigile urbano, un uomo alto e robusto, un gigante, che visto il pericolo pubblico costituito dall’asino impazzito, si mise al centro della strada e con un balzo riuscì a fermare la bestia, afferrandola per le orecchie e il collo. Naturalmente i presenti all’atto eroico del vigile applaudirono.
Checo fu proprio fortunato perché il vigile non gli elevò una contravvenzione.
Rientrato a casa, il giovane carrettiere, stanco e tutto bagnato dal sudore, dopo aver sistemato l’asino nella stalla, si sedette su una comoda sedia in via Sant'Eulalia per riposarsi, al fresco ponentino che arrivava dal vicino porto.
Egli si era appena seduto, quando arrivò nonno Buicu, che, vedendolo in quelle condizioni, meravigliato e preoccupato, gli chiese:
E issandus Checo, oi ita t’è succédiu? (2)
Gli rispose il nipote:
Candu femu a s’artària de s’albergu in via Regina Margherita, appu firmau su burricu e ci dd’appu stìcchiu dus piberonis. 
Mai d’appessi fattu, su burriccu cumminciada a curri, a curri comente unu lampu chi deu non ddu poria sighiri. 
Po fortuna ca ci viàra unu vigili comunali in via La Marmora chi d'adi firmau, chi nou cussa bestia ci viàra calara fintzas a Pirri”. (3)
Nonno Buicu, constatato che il nipote aveva portato a termine il viaggio e per il quale aveva riscosso il compenso pattuito, lo accarezzò con affetto e gli disse:
Bravu, bravissimu Checo; però cras a su burriccu ddi onas unu piberoni scetis!(4)

Note:
1)  "Io sono vecchio e non mi sono ricordato di niente. Ti dovevo dire che quando l'asino ogni tanto si ferma, gli devi ficcare un perperoncino nel di dietro. Allora vedrai che corre come un demonio!" 
2)  "E allora Checo, cos'è successo oggi?"
3) "Quando ero all'altezza dell'albergo di via Regina Margherita, ho fermato l'asino e gli ho ficcato due peperoncini. Mai l'avessi fatto, l'asino ha iniziato a correre come un lampo e io non riuscivo quasi a seguirlo. Per fortuna c'era un vigile comunale in via La Marmora che l'ha fermato, altrimenti quella bestia sarebbe scesa fino a Pirri".
4) "Bravo, bravissimo Checo; però domani all'asinello gli metti un solo peperoncino!"


IL PITTORE BURLONE 

All’inizio del novecento Cagliari ebbe un grande sviluppo economico e sociale. Furono costruiti bellissimi palazzi, sistemate le strade e costruiti i marciapiedi.
Lungo il viale alberato del Largo Carlo Felice sorsero molti negozi, eleganti e alla moda, da parte di commercianti napoletani, che prima avevano operato in piccoli negozietti sparsi nei vari quartieri della città.
In quello stesso periodo, un ricco possidente cagliaritano costruì un gran palazzo sul Largo Carlo Felice, con un bellissimo ed elegantissimo locale a piano terra. 

foto d'epoca: Largo Carlo Felice

Egli, avendo constatato i grandi progressi dei commercianti napoletani, decise di aprire un grande negozio di tessuti nel suo nuovo locale.
Per rendere il suo negozio più bello ed elegante degli altri, pensò di fare dipingere da un noto pittore le pareti ed il soffitto dell’ingresso. Convocato il pittore, il novello commerciante gli propose il tema:
Càstidi su pittori, vosteti dèppiri trattai allegoricamente su mestieri de su buttegheri; fàtzada vosteti. 
Deu seu dispostu a pagai cincuxentus francus. Mi raccumandu, su triballu dèppiri finì a intru de tres mesis”. (1)
Il Pittore accettò la proposta del committente, ma propose un’aggiunta:
Deu, fintzas a candu s’òpera non esti finida non bollu èssiri disturbau de nisciunu e bollu èssiri pagau metadi oi e s’àtera metadi candu ddi torru is crais. Anda beni? (2)
Allo scadere dei tre mesi il nostro committente si recò nello studio del Pittore, il quale, come d’accordo, gli restituì le chiavi del negozio e ricevete, a saldo, le rimanenti duecentocinquanta lire.
Il novello commerciante, contento e ansioso di far vedere le pitture del suo negozio, invitò subito i più grossi colleghi di Cagliari e dintorni, che erano stati già avvisati prima. Appena ebbe aperto il grande portone d’ingresso, egli e tutti gli invitati videro se stessi dipinti sulle pareti con una scritta a caratteri d’oro: "L’orgoglio e la ricchezza di Cagliari e della Sardegna.”
Fin qui, tutto andava bene; ci fu anche un lungo applauso. Poi, rivolto lo sguardo di tutti verso il soffitto, si sentì un rumoroso e sdegnato dissenso.
Al centro del soffitto, dentro un grande cerchio, adorno di alloro, c’era il padrone del negozio che pugnalava alle spalle il più grande commerciante di Cagliari; tutt’intorno, altri cerchi, uno per ogni commerciante noto di Cagliari, che pugnalava alle spalle un suo collega. La cerimonia, naturalmente, finì male.
Il nostro commerciante, offeso, alquanto inferocito e deciso a dirne quattro o a darne altrettanti, si recò immediatamente dal Pittore.
Dopo una lunga e snervante attesa, finalmente venne ricevuto con grande gentilezza dall’artista, al quale chiese:
Deu bolemu sciri su motivu poita m’adi offèndiu cun cussa cagada de pittura. Vosteti m'adi fattu fai una bruttissima figura cun is collegas mius.” (3)
Al che il pittore prese in mano il contratto e lesse:
Sa pittura dèppiri trattai, allegoricamente, de su mestieri de su buttegheri, fàtzada vosteti(4) e aggiunse:  “Io ho fatto secondo i suoi desideri !”

Note:
1) “Guardi, signor pittore, Lei deve trattare allegoricamente il mestiere del commerciante; faccia Lei. Io sono disposto a pagare cinquecento lire. Mi raccomando, il lavoro deve essere finito entro tre mesi".
2) “Io finchè l'opera non è finita non voglio essere disturbato da nessuno e voglio essere pagato per metà oggi e per l'altra metà quando Le restituisco le chiavi. Va bene?".
3) “Io volevo sapere il motivo perchè mi ha offeso con quella cagata di pittura. Lei mi ha fatto fare una bruttissima figura con i miei colleghi".
4) “La pittura deve trattare, allegoricamente, del mestiere del commerciante, faccia Lei".


GIOVANNI SPOSO GIOVANE E PERMALOSO 

Come di consueto il giorno delle nozze nei nostri paesi si faceva, una volta, un ricco pranzo o cena, con tanti invitati. Si cominciava con un piatto di minestra di polli novelli, non si serviva l’antipasto, a seguire spaghetti con salsa di pomodori e tenera carne di pollo novello (caboiscu), agnello e maialetto cotti nel forno a legna, pesce alla griglia (pisch‘e Pontis), salsiccia, formaggi vari, frutta, caffè, dolci sardi, naturalmente grandi libagioni di vino, bianco e nero, acquavite e altri digestivi.
Giovanni si sposò in chiesa di sabato sera e quindi si offrì ai numerosi invitati una ricca cena del tipo tradizionale.
Conclusa la cena, seguirono fino al mattino seguente balli e canti. Terminati i festeggiamenti, distribuite le bomboniere e salutati parenti e amici, gli sposi si ritirarono in camera da letto.
La sposa andò in bagno per spogliarsi e indossò una bellissima camicia da notte. Si guardò allo specchio pavoneggiandosi e, dopo una spruzzatina di profumo, quello molto gradito a Giovanni, tornò in camera da letto.
Giovanni invece rimase, immobile, seduto sul bordo del letto e alquanto imbronciato.
La sposa, meravigliata e delusa, chiese a Giovanni spiegazioni sul suo strano comportamento. Egli non rispose subito e, alle insistenze affettuose della sposa a spiegarsi, si girò dall’altra parte e piagnucolando disse: “Uuh… uuh… A tottus tres arrogus de petza, a mei scettisi dus!(1)

Note:
1) “Uuh... uuh... A tutti sono spettati tre pezzi di carne, a me soltanto due!".


Testi di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

Editing  G.Linzas
Revisione dialetto B.Sulas

Nessun commento:

Posta un commento