domenica 18 dicembre 2011

STORIA DELLA SARDEGNA: I SAVOIA/AOSTA/CARIGNANO E LA SARDEGNA


Da Vittorio Amedeo I, che, da semplice duca di Aosta divenne re di Sardegna nel 1720 per volere dei vincitori la guerra di successione spagnola e che regnò fino al 1730, a Carlo Emanuele I, a Vittorio Amedeo II, a Carlo Emanuele II, tutti tentarono di disfarsi della Sardegna, ritenuta un fardello inutile e gravoso per il Regno.
Essi trattarono con diverse altre monarchie per fare uno scambio di territorio o avere altri vantaggi.


VITTORIO AMEDEO I (o II dei Savoia/Aosta) - 1720/1732 


Come abbiamo visto precedentemente, Vittorio Amedeo I, da semplice duca di Savoia e Aosta e Principe del Piemonte, divenne re di Sardegna. La sua promozione avvenne per meriti di guerra, in quanto come un signore della guerra qual’era ( possedeva un esercito formidabile e seppe scegliere il momento opportuno e lo schieramento vincente), partecipò con successo alla lunga guerra di successione spagnola.
Egli non venne mai in Sardegna; ne prese possesso un suo luogotenente o viceré, Guglielmo Pallavicini, barone di San Remy, col compito precipuo di vedere, conoscere e riferire. Il Pallavicini, preso possesso del Regno, fece una relazione dettagliata della Sardegna al re, in cui elencava “tutti i mali e le miserie che si erano accumulati e stratificati nei secoli del dominio spagnolo”.
Il re, comunque, non si adoperò affatto per porre rimedio ai tanti mali, “né ad amministrare la Sardegna con lo stesso impegno profuso in favore del regno di terra ferma, come si chiamavano allora il ducato di Savoia e il Piemonte. Non convocò il Parlamentino sardo (i famosi tre bracci dello Stamento), nonostante il Trattato di Londra gli imponesse la conservazione dello status quo del Regno. Vittorio Amedeo,  praticamente, conservò in Sardegna i benefici ai feudatari filo spagnoli e al clero. Egli si adoperò invece per disfarsi dell’isola, che considerò un inutile fardello gravoso per il regno”.
La fine del primo re sardo della casata dei Savoia/Aosta fu alquanto infelice. Come già detto, il re non mise mai piede in Sardegna, vi inviò un suo luogotenente, un viceré. Questi, stando così le cose, poté fare ben poco, anche perché in Sardegna vigeva una legge diversa da quella in vigore nella terra ferma. In Sardegna infatti vigeva ancora l’anacronistica “Carta de Logu de Arborea”. Il barone di San Remy comunque riuscì a mettere un po’ d’ordine nella pubblica amministrazione e nella pubblica sicurezza, combatté l’ingerenza del clero nella politica e nell’amministrazione; soppresse l’abuso del diritto d’asilo accordato in modo estensivo dagli ecclesiastici, per cui le chiese erano diventate rifugio di bande intere di pericolosi banditi.
Nel 1730 Vittorio Amedeo I abdicò in favore del figlio Carlo Emanuele, ma l’anno dopo pretese di risalire sul trono. Imprigionato, fra moti d’ira e crisi depressive, morì nel 1732 nel castello di Moncalieri. Degno di nota il vizio dei Savoia/Aosta di ricorrere spesso all’abdicazione, caratteristica che denota insicurezza o mancanza di coraggio ad affrontare le gravi situazioni.


CARLO EMANUELE I (o III dei Savoia- Aosta), detto beffardamente CARLIN - 1730/1773


Egli si adoperò in modo particolare per ingrandire il suo regno di terra ferma, con opportune alleanze e trattative con le grandi potenze europee, sempre in lotta fra di loro. Ottenne infatti l’annessione di Novara, Tortona, Vigevano, Voghera e, per poco tempo, anche della Lombardia, che dovette subito restituire ottenendo in cambio la Liguria. In quel periodo molti altri sovrani e principi italiani effettuarono nei loro stati miglioramenti ed innovazioni. “Carlo Emanuele fece poco per il suo regno di terra ferma e nulla o quasi per la Sardegna. L’unica innovazione è stata l’ attivazione del Servizio Postale”.
Anche questo re non mise mai piede in Sardegna, non ostante, anche, l’invito formale del suo luogotenente marchese di Rivarolo a voler visitare l’isola. Il marchese, comunque, riuscì a realizzare qualche innovazione: fece ripartire equamente le imposte, combatté il banditismo con fermezza e provvedimenti draconiani (con un pregone si impose ai sardi l’obbligo del taglio della barba, allora sinonimo di bandito), rifondò le Università di Cagliari e Sassari, sollecitò l’uso dell’italiano quale lingua ufficiale del regno per consiglio del conte Giambattista Lorenzo Bogino, ministro per gli Affari di Sardegna.
Il famoso Bogino (noto a tutti per oltre due secoli e ancora il suo nome viene usato come malaugurio: “chi ti cùrrada su Bugiu”). Egli era praticamente il Ministro per le colonie, perché come colonia venne trattata la Sardegna dai Savoia. Sempre al marchese di Rivarolo si deve la fondazione della città di Carloforte, sorta ad opera di “alcuni profughi liguri-tabarchini”, da lui incoraggiati. Altra innovazione si ebbe con un editto del 1771, con il quale vennero emanate le norme per l'istituzione e il funzionamento nei paesi isolani dei Consigli Comunali e la nomina del Sindaco. Carlo Emanuele morì nel 1773 e gli successe il figlio Vittorio Amedeo II (o IV dei Savoia).


VITTORIO AMEDEDO II (o IV dei Savoia-Aosta) - 1773/1796 


Egli regnò nel periodo della grande rivoluzione francese (1789), e, naturalmente, si alleò con gli imperi europei contro la Francia. Questa alleanza gli procurò “la vendetta dei rivoluzionari che invasero Nizza e Savoia”. Seguirono poi vari tentativi della Francia di occupare la Sardegna; vedasi lo sbarco nel cagliaritano dell’ammiraglio Truguet del 1792, l’occupazione di Carloforte e di Sant’Antioco, il tentativo di occupazione di La Maddalena. Durante il suo regno si sviluppò in Sardegna un lungo periodo di giuste contestazioni, ad iniziare dalla vittoria dei sardi sulla Francia. Infatti subito dopo la cacciata dei francesi, grazie all’eroismo dei sardi che “speravano nella ricompensa del sovrano per la fedeltà al trono, una delegazione formata da sei rappresentanti degli Stamenti Sardi chiese inutilmente a Vittorio Amedeo II di riunire nuovamente i Parlamenti ogni dieci anni; di riconfermare tutti gli antichi privilegi; di riservare esclusivamente a persone indigene tutti gli impieghi civili e militari, tranne i più alti; di creare a Torino uno speciale ministero per le questioni dell’isola; di istituire a Cagliari un Consiglio di Stato per il controllo di legittimità anche nei confronti dei viceré”. Come abbiamo già visto “il rifiuto regio provocò un moto di ribellione fra i notabili e il popolino cagliaritano che, il 28 aprile 1794, catturò i 514 funzionari piemontesi, compreso il vicerè Vincenzo Balbiano. Ripristinata la legalità istituzionale con l’arrivo del nuovo viceré Filippo Vivalda, sorsero altre grandi ed estese contestazioni contro la nobiltà conservatrice sassarese e i feudatari del Logudoro, che tentarono di rendersi autonomi da Cagliari. “I cagliaritani, allora, sobillarono contro di essi i loro vassalli già in fermento. “Il vicerè Vivalda, “temendo che la protesta degenerasse in rivolta, inviò il Giudice della Reale Udienza, Giovanni Maria Angioy, con poteri di alternos (del vicerè stesso) a Sassari. Seguirono poi i fatti già narrati nel capitolo su Giovanni M. Angioy. Ristabilita nuovamente la legalità istituzionale nell’isola, anche a seguito dell’accettazione da parte del re delle famose cinque richieste degli stamenti sardi, nel 1796 Vittorio Amedeo II moriva a Moncalieri e gli successe il figlio Carlo Emanuele II (o V dei Savoia).


CARLO EMANUELE II (o V dei Savoia-Aosta) - 1796/1802 


Carlo Emanuele II successe a Vittorio Amedeo II nel periodo più triste del Regno di Sardegna e quando si erano appena concluse le insurrezioni e le rivolte dei sardi, con le conseguenti severe e crudeli condanne. Carlo Emanuele II venne, non di suo proposito, nell’isola, ma perché cacciato da Torino da Napoleone, che aveva invaso il Piemonte.
Egli arrivò a Cagliari nel 1799 con tutta la famiglia: la moglie e i due fratelli Vittorio Emanuele e Carlo Felice. Cessarono le attività viceregie del Vivalda, “ma l’attività di governo del re fu minima e agevolata dall’atteggiamento moderato degli stamenti, i quali accettarono passivamente l’imposizione di nuove imposte e di sussidi straordinari.”. Nominato viceré il fratello Carlo Felice, dopo appena sei mesi ripartì per la penisola, in attesa di riottenere il Piemonte che stava per essere riconquistato dalle truppe austro-russe. Non fece in tempo a rivedere la sua Torino, perché mentre si trovava a Roma in attesa della liberazione del Piemonte, gli morì la moglie nel 1802. Sconsolato abdicò in favore del fratello Vittorio Emanuele I e si fece gesuita; morirà poi nel 1819.


VITTORIO EMANUELE I ( o VI dei Savoia) - 1802/1821


Egli si trovò ben presto sovrano solo della Sardegna, perché il Piemonte fu assegnato al Primo Console Napoleone Bonaparte. Rilevato il fratello Carlo Felice dal governo dell’isola, la sua attività si ridusse a ben poca cosa. Del suo operato si ricorda la divisione dell’isola “in quindici prefetture con competenza anche in materia giudiziaria”, la concessione di titoli nobiliari a “chi impiantava quattromila ulivi, nel tentativo di incrementare l’agricoltura (a Cuglieri e a Sassari il tentativo ebbe successo). “Istituì un Monte di Riscatto, per l’ammortamento del debito pubblico. Anche durante il suo breve regno si verificò in Sardegna un tentativo di rivolta, organizzata da un gruppo di notabili cagliaritani antipiemontesi, rivolta ricordata come la "congiura di Palabanda", nei pressi del quartiere Stampace. La congiura venne sventata e i “più compromessi furono scoperti, catturati, processati e condannati.”.
Finalmente, dopo la sconfitta e l’esilio a Sant’Elena di Napoleone, “Vittorio Emanuele I, lasciava la moglie a rappresentarlo a Cagliari e partiva per Torino, dove entrava trionfante”.
“Nel 1815 anche la regina Maria Teresa raggiunse il marito a Torino, ed in Sardegna la carica viceregia fu di nuovo assunta dal Carlo Felice”.
Anche Carlo Felice, ultimo dei Savoia, lasciò l’anno seguente l’isola,“che amministrò con austerità e rigore, nominando suo reggente il generale tempiese Giacome Pes di Villamarina. Seguirono Ignazio Thaon de Revel e, infine, Ettore Veuillet di Yenne. Di quest’ultimo si evidenzia il grande fervore nell’applicare la famosa "legge delle chiudende", del 1820. Questa legge “stabiliva, per la parte agricola, che qualunque proprietario avrebbe potuto liberamente chiudere di siepe o di muro o vallar di fossa qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d’abbeveratoio. Legge che creò insanabili conflitti fra contadini e pastori, abituati quest’ultimi a pascolare liberamente.”.
Ci furono disordini e sollevazioni un po’ dappertutto, specie nel nuorese. Nel 1821 si verificarono i primi moti liberali di Santorre di Santarosa e le insurrezioni delle guarnigioni di Alessandria, di Pinerolo e di Vercelli “al grido di Viva la Costituzione”. In quei giorni si sollevarono anche altre guarnigioni. “Vittorio Emanuele I, piuttosto che concedere la Costituzione, abdicò in favore del fratello Carlo Felice che si trovava a Modena, 1821.


CARLO FELICE (VII dei Savoia-Aosta) - 1821-1831 


Questi affidò momentaneamente la reggenza al giovane nipote Carlo Alberto, il quale acconsentì alle richieste dei rivoltosi. “Carlo Felice, indignatissimo, dichiarò da Modena di non riconoscere la Costituzione e tolse la reggenza a Carlo Alberto”. Poi invocò l’aiuto della Santa Alleanza… “per salvaguardare i principi della religione cristiana e per mantenere nel continente europeo l’assetto politico espresso dal Congresso di Vienna”. Nel 1831 Carlo Felice, ammalato e stanco, si era ritirato nel castello di Moncalieri, dove morì nello stesso anno, dopo aver però indicato suo successore, il disprezzato ed avversato nipote Carlo Alberto, impostogli dall’Austria. Avrebbe detto “ai suoi ministri radunati attorno al suo letto : ‘Ecco il mio erede e successore, sono sicuro che farà il bene dei sudditi’”.
Durante il suo regno venne progettata la costruzione dell’unica strada che da Cagliari conduce a Porto Torres, chiamata da lui Carlo Felice, oggi strada statale 131. Viene ricordato dai sardi per alcuni provvedimenti sull’istruzione elementare e superiore, sulla organizzazione del settore sanitario e sulla riorganizzazione degli uffici di polizia per combattere la delinquenza ed il banditismo. Da evidenziare in modo particolare “la promulgazione nel 1826 del Codice di leggi civili e criminali del Regno di Sardegna, sostitutivo dell’anacronistica Carta de Logu de Arborea, che veniva applicata solo in Sardegna”. Subito dopo l’applicazione della nuova legge si procedette anche all’unificazione del regno di Sardegna al Regno di terra ferma, detta anche: “Unificazione perfetta con gli stati di terra ferma.”. Unificazione che era stata invocata a Cagliari e a Sassari da grandi manifestazioni pubbliche. Con l’unificazione perfetta venne finalmente a cessare l’istituto del Viceré.


CARLO ALBERTO (I dei SAVOIA CARIGNANO) - 1831/1848 


Con l’ascesa al potere di Carlo Alberto, nel 1831, la dinastia Savoia/Aosta passa ai Savoia/Carignano, perché gli zii, gli ultimi Savoia/Aosta, non avevano avuto eredi.
Egli, subentrato allo zio Carlo Felice, cambiò l’atteggiamento della casa Savoia nei confronti della Sardegna. Carlo Alberto venne in Sardegna di sua volontà e, in previsione della sua venuta, aveva dato incarico al Marchese sardo di Villamarina di preparargli una dettagliata relazione sulle condizioni della Sardegna e di suggerirgli un itinerario da percorrere. Venne quindi dopo essere stato informato delle pessime, incivili e insopportabili condizioni in cui la Sardegna era stata lasciata dalla Spagna e che ancora, dopo oltre un secolo di dominazione piemontese, vi permanevano. Visitata la Sardegna e preso atto della misera realtà sarda, Carlo Alberto condannò con parole molto severe la politica adottata da suoi predecessori. Durante il suo breve regno, si adottarono provvedimenti migliorativi più incisivi nei confronti dell’Isola. Si procedette, finalmente, all’abolizione tante volte promessa del feudalesimo sardo, che sarà attuato nel 1838 attraverso il riscatto dei diritti feudali, il cui pagamento sarà messo a carico dei Comuni isolani. Nell’Oristanese, l’odierna IV Provincia, i Comuni pagarono il riscatto del Feudo al marchese Flores D’Arcais. Purtroppo venne commesso allora un grave errore: vennero lasciati in possesso dei Flores D’Arcais le famose peschiere di Pontis, che pure facevano parte del feudo riscattato.
Carlo Alberto di Savoia/Carignano viene ricordato, soprattutto, per la concessione della Costituzione dopo i motti del 1821, quando era reggente dello zio Carlo Felice. Con lui hanno inizio le guerre del Risorgimento, perché orientò la sua politica contro l’Austria, contro la quale combatté varie battaglie; alcune vittoriose come Goito, Pastrengo e Pescara; altre, le determinanti, Custoza e Novara, si conclusero con sconfitte.
Carlo Aberto fu quindi costretto ad accettare l’armistizio e ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Egli si ritirò in esilio in Portogallo, dove morì nel 1849 a Oporto.
Sulle battaglie combattute dall’esercito di Carlo Alberto si diceva, allora, in Piemonte: “l’esercito piemontese entra vittorioso a Goito”. Ma quando lo stesso esercito veniva sconfitto la frase ricorrente in Piemonte era : “l’esercito sardo sconfitto a Custoza”.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

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