mercoledì 2 marzo 2011

Mistero a Riola: “SA NURACHESA” novella di Benedetto Sulas

Una notte, mentre facevo la mia solita passeggiata nelle vie di Riola, fui testimone di un fatto che mi lasciò un po' perplesso.
Stavo scendendo da via Cairoli a s’arrugh ‘e Sant’Rabara, in quella piazzetta dove c’è quel santo di cui non ricordo il nome. Ero tutto assorto nei miei pensieri e il silenzio della notte era rotto solo dal rumore dei miei passi. Mi sentivo immerso nella calma notturna e provavo un senso di benessere. Guardai l’orologio. Erano quasi le due, dovevo rientrare.
Stavo per girare in via Carlo Alberto, quando vidi, qualche decina di metri più avanti, la sagoma di una donna, vestita a gunnedda, cioè in costume sardo, che velocemente, quasi di corsa, attraversava la strada.
Proveniva dalla parte in cui si trova la palestra e proseguiva in via Trieste. Ero sicuro di aver visto bene. Ormai a Riola, di notte, non c’è un angolo buio. Tutte le vie sono illuminate.


Pur non essendo persona molto curiosa, tuttavia accelerai il passo, con l’intento di vedere chi fosse la persona che avevo intravisto. Quando arrivai all’incrocio, svoltai a sinistra, in via Trieste, ma non vidi nessuno; probabilmente non ero stato abbastanza veloce.
A Riola le donne che ancora usano il costume hanno una certa età e non camminano così svelte.
Rientrai a casa e mi coricai. Non mi addormentai subito, pensando a ciò che avevo visto. Giunsi alla conclusione che questa donna poteva anche essere una ragazza che non voleva essere riconosciuta e quindi si era vestita in quel modo.
Passarono alcuni giorni e non ci pensai più. Ma qualche frase sentita per caso nel bar dove di frequente vado a fare colazione mi colpì e il mio pensiero tornò a quella donna dal passo veloce.
Un ragazzo di Riola, parlando con un suo amico, raccontava che in due diverse occasioni, mentre rientrava di notte, si era fermato con la macchina vicino a una sconosciuta vestita in modo strano, che correva, come se fosse inseguita da qualcuno. Il giovane voleva offrirle un passaggio, ma la donna non aveva risposto ed aveva proseguito per la sua strada.
Mi intromisi e chiesi a quel ragazzo in quale zona di Riola avesse visto la donna.
- “In via Puccio Carta” mi disse.
La curiosità, in me, divenne più forte.
Quella notte stessa, verso l’una, camminavo in via Regina Elena, vicino alla casa del carrozziere. Arrivato all’incrocio di via Puccio Carta, girai a sinistra, e raggiunsi la strada per Baratili, l’attraversai e dopo averne percorso un piccolo tratto, venendo verso Riola, imboccai via Oristano.
Mi fermai nei pressi della palestra e aspettai. Speravo che anche quella notte la sconosciuta passasse da quella parte.
Aspettai più di un’ora,  ma invano. Così per diverse notti di fila. Ormai stavo perdendo la speranza di rivedere la donna.
Una notte mi appostai all’uscita di via Depretis, dove si innesta con la via S.Anna. Se sentivo avvicinarsi qualche macchina facevo finta di camminare.


Aspettai più di un’ora e mezza. L’attesa mi stava stancando.
Improvvisamente, come in una visione, la vidi: sembrava che non toccasse terra ed era scalza. L'osservai bene per quanto potei. Aveva sa gunnedda de setĩu indorau ed una camicia bianca sotto s’imbustu. Uno scialle chiaro le girava intorno alle spalle.
Proveniva dalla mia destra, da via Trieste. Aveva percorso la stessa strada della prima volta che l’avevo vista. Vidi che girava a destra, nella via che porta alla scuola materna.
Stavo per seguirla, ma si era già accorta della mia presenza. Si girò verso di me e mi mandò uno sguardo che mi fece rabbrividire. Aveva gli occhi rossi e mi guardò con cipiglio minaccioso.
Rientrai a casa, mi coricai ma non riuscii a prendere sonno. Come avrei potuto? Nessuna ragazza vestiva più cosi o camminava scalza. Mi era rimasto impresso il suo viso: era pallidissimo e i suoi occhi facevano paura.
Mi alzai prestissimo. Non bevvi neanche il caffè. Uscii fuori. Presi la bicicletta e feci il giro delle vie dove pensavo che fosse passata la donna prima di arrivare in via Sant'Anna, poi andai verso la Scuola materna. Qui mi fermai. Non sapevo più da che parte andare.
Il cantiere di lavoro per il recupero della chiesa di Santa Corona era ancora chiuso. Mi avvicinai per  vedere come procedevano i lavori. Poggiai la bicicletta. Entrai dentro la chiesa.
Non era più un rischio entrarci perché alti puntelli in legno reggevano la volta della navata centrale un tempo pericolante. Feci un giro.
Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo. Mi immaginavo cori di monaci che cantavano il Kyrie eleison.


Quando uscii fuori, il sole era già sorto. Feci il giro perimetrale della chiesa, i muri ricominciavano a dare un’idea di solidità. Stavano facendo un buon lavoro.
Stavo per risalire in bicicletta. Fu allora che vidi qualcosa che attirò la mia attenzione: un fagotto quasi nascosto in mezzo all’erba.
Mi avvicinai. Incuriosito lo aprii. Girai e rigirai il contenuto: una gunnedda di setĩu indorau ed altri indumenti femminili di antica fattura.
Rabbrividii, erano gli abiti che indossava la donna. Vicino, una piccola croce di legno, quasi coperta di terra. A stento si poteva leggere un nome. Per un attimo restai immobile quasi impietrito.
Quando mi ripresi salii sulla bici. Non so se incontrai qualcuno lungo la strada; la mia mente era lontana con i suoi pensieri.
Andai al bar e presi un caffè. Tentai di leggere il giornale. Poi mi recai al municipio, all’ufficio anagrafe. Nei registri erano segnate solo le nascite e le morti degli ultimi ottanta anni e quel nome non era nella lista.
Non mi arresi. Aspettai il pullman e andai a Oristano, all’archivio diocesano. Il responsabile, gentilmente, mi mise a disposizione i registri delle nascite e delle morti degli ultimi centocinquant’anni.
Dopo quasi un’ora di ricerca, finalmente trovai il nome e la causa della morte della poveretta.
Questa ragazza, di venticinque anni, incinta, colpita da morte apparente, era stata chiusa nella bara quando era ancora viva.
Allora mi ricordai tutto. La storia mi era stata raccontata, tantissimi anni fa, da una donna anziana che veniva spesso a casa. Anche lei aveva partecipato al funerale.
Mi aveva detto che durante il trasporto della salma in cimitero, erano stati sentiti dei colpi provenienti da dentro la bara, ma nessuno ci aveva fatto caso, oppure non aveva avuto il coraggio di aprire la cassa da morto.
Solo il giorno dopo, il guardiano assieme ad altri due amici, aveva dissotterrato la bara e l’aveva aperta. La scena che si era presentata ai tre era stata raccapricciante: la donna era morta per disperazione.
Aveva i capelli strappati e i polsi insanguinati. Furono chiamati i parenti della donna, che era di Nurachi e il marito che, invece, era di Riola. Qui, dove aveva abitato, era conosciuta come “Sa nurachesa”.
Si seppe poi che aveva partorito nella bara.

Note:
Il racconto rispecchia un fatto realmente accaduto a Riola.
1)      S’arrugh’e Sant’Rabara. La via Santa Barbara. Italiano ant. Ruga
2)      Gunnedda. Gonna lunga, tipica del costume sardo.
3)      Setĩu indorau. Raso dorato. Dal francesce “satin”.
4)      Imbustu. Busto, indumento femminile.
5)      S.Corona. Equivalente a S. Stefania (secondo quanto riporta la Bibliotheca Sanctorum)
6)      Sa nurachesa. La nurachese.

Novella di Benedetto Sulas -  © diritti riservati

11 commenti:

  1. Complimenti Benedetto, questa novella è ben scritta e ha anche una certa presa sul lettore. Non conoscevo niente circa ''sa nurachesa'' ed è sempre piacevole scoprire vecchie leggende circa il proprio paese. Poi insomma è una storia abbastanza raccapricciante quanto interessante, povera donna. Spero tanto di leggere qualche altro curioso aneddoto circa Riola e la sua storia passata. Da riolese ancora complimenti.

    Andrea Porta

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  2. bella storia devvero,non la conoscevo neppure io!! Federica

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  3. CONOSCO BENE LA STORIA DI " ANNA PROCHEDDA" MA RACCONTATA COME HAI FATTO TU LA DESCRIZIONE E'PERFETTA. COMPLIMENTI.
    ANNA MARIA

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  4. Veramente ben scritta.la storia non la conoscevo ma chiderò ai miei parenti.

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  5. Conosco bene questo aneddoto,lo racconto'a noi ,allora scolari ,Don Murtas...nell'ora di religione.Ancora oggi scatena in me la paura.....Complimenti Benedetto bravo il tuo narrare coinvolge il lettore ...alla prossima.....

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  6. Ciao Pietrina. Mi fa piacere che ti sia piaciuta. Mi dispiace che ti provochi paura.😁😚☺️😊

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  7. Morta di disperazione??? Partorito nella bara???? Sono molti i casi di morti apparenti,ma sono stati trovati poi soffocati

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  8. Non so che dire...mi e piaciuto molto questo racconto.... complimenti immaginavo che ci fosse qualcosa di tragico

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  9. Molto interessante..sto leggendo un libro di Pierluigi Serra "Fantasmi a Cagliari" che racconta storie simili..

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  10. Mi affascinano molto queste storie, ricordo che quando ero piccola si raccontavano storie simili e io non ci dormivo la notte, da nurachese mi interessa ancora di più, ma è una storia vera?

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