domenica 27 febbraio 2011

Lo sport - Formazioni calcistiche Riolesi, galleria fotografica



LANDINI RIOLA  (STAGIONE 1955/56)
In piedi: Serra, Enna, Perra, Guerrini, Bonetti, Viani
Accosciati:  Raspi, Zonca, Orrù, Castello, Giglio, Palla.




“AURORA” RIOLA SARDO - CAMPIONATO PROVINCIALE DILETTANTI (ANNI ’50)
In piedi da sinistra: Virgilio Sias, Vincenzo Bellu, Dario Mocci, Mario Brundu, Salvatore Sulas, Maurizio Ponti, Peppeddu Mocci.   
Accosciati da sinistra: Giuseppe Sanna, Celio Giglio, Giovanni Vargiu, Pietro Sanna, Nevio Ferrari



U.S. RIOLESE – TERZA CATEGORIA  (STAGIONE 1973-74 ?)

In piedi da sinistra: Franco Fanari, Natalino Tratzi, Ignazio Chergia, Gianni Daga, Pietro Corda, Ovidio Putzolu, Edoardo Tolu.  
Accosciati da sinistra: Onorato Fanari, Quinto Corona, Evaristo Sardu, Sestilio Corona, Elia Spanu, Renzo Foddis


U.S. RIOLESE – TERZA CATEGORIA  (STAGIONE 1974-75 ?)
In piedi da sinistra: Benito Giglio, Quinto Corona, Francesco Mocci, Gabriele Pinna, Giovanni Trogu, Ignazio Chergia, Ovidio Putzolu.  
Accosciati da sinistra: Elia Spanu, Natalino Tratzi, Alfio Corona, Angelo Carboni, Franco Fanari



SAN MARTINO – GIOVANISSIMI (STAGIONE 1979-80)

In piedi da sinistra: Roberto Demontis, Daniele Zoncu, Alessandro Trogu, Luca Mocci, Piero Marongiu, Martino Piras.
Accosciati da sinistra: Giuseppe Atzori, Fabio Sulas, Sandro Carta, Tore Marongiu, Gilberto Linzas



SQUADRA RIOLA -  PRIMI ANNI ‘80
In piedi da sinistra: Franco Fanari, Piero Mannu, Ercole Daga, Peppino Lochi, Giovanni Fanari, Rolando Suella. 
Accosciati da sinistra: Salvatore Corona, Ignazio Corrias, Salvatore Sanna, Giancarlo Daga, Benito Giglio



SAN MARTINO -  CADETTI (STAGIONE 1982-83)  
La squadra giovanile di calcio A.S. San Martino nella stagione 1982-1983 vinse  il campionato provinciale categoria Cadetti CSI  (Centro Sportivo Italiano).

In piedi da sinistra: Giovanni Trogu (allenatore), Efisio Mura, Fabrizio Sechi, Sandro Loddo, Alessandro Trogu, Daniele Zoncu, Valerio Serra. 
Accosciati da sinistra: Fausto Piras, Mauro Fanari, Marcello Carta, Costantino Murru, Antonio Fadda



G.S.F. RIOLA (STAGIONE 1987/88)

In alto da sinistra: Sergio De Faveri, Anselmo Orrù, Antonietta Daga, Sandra Corrias, Carla Sanna, Camilla Zoncu, Marina Marini, Maria Rosa Sardu, Luigi Soddu, Paoletto Marongiu.   
In basso da sinistra: Isabella Corrias, Fiffi Sanna, Caterina Cabula, Rita Contini, Anna Maria Mocci, Giovanna Cabula, Tamara Sanna, Graziella Carta, Anna Mocci.



RIOLESE CALCIO (STAGIONE 1988-89)
In piedi da Sinistra: Luigi Soddu, Giorgio Uda, Antonello Madori, ?...., Vincenzo Cadoni, Tonietto Dessì, Massimo Enna, Marco Sanna.  
Accosciati da Sinistra: ?...., Costantino Murru, Gianni Ponti, ?...., Martino Piras, Gianni Cocco



G.S.F. RIOLA  (STAGIONE 1989-90)
In piedi da sinistra: Antonietta Daga, Rita Contini, Marina Marini, Anna Mocci, Anna Rosa Ponti, Felicita Bellu, Francesca Lapadula, Giovanni Trogu (allenatore).  
In basso da sinistra: Sandra Corrias, Caterina Cabula, Ilenia Albano, Licia Bellu, Romina Albano, Giovanna Cabula, Carla Sanna, Stefania Mocci



SAN MARTINO RIOLA – AMATORI  (PRIMI ANNI ‘90)
In piedi da sinistra: Sandro Medda, Enzo Loche, Pinoluigi Madori, Gianfranco Mocci, Sergio De Faveri, Giovanni Trogu, Marcello Carta, Domenico Orrù (allenatore). 
In basso da sinistra: Gavino Chessa, Piero Marongiu, Abramo Corona, Gilberto Linzas, Roberto Sechi, Gianni Ponti, Sandro Sechi, Fabrizio Sechi



SAN MARTINO CALCIO – AMATORI  (FINE ANNI 90)
La società sportiva  “SAN MARTINO CALCIO -  AMATORI” , nata nel 1986  ha disputato tutti i campionati fino al 2001 in diverse federazioni  provinciali e interprovinciali (UISCO, UISP, FIGC)

In piedi da sinistra: Sergio De Faveri, Domenico Orrù, Francesco Atzeni, Fulvio Maiorca, Pino Luigi Madori, Efisio Mura, Roberto Demontis, Enzo Loche, Sandro Medda, Stefano Pilloni, Silvano Atzeni. 
In basso da sinistra: Efisio Medde, Roberto Sechi, Roberto Saba, Martino Piras, Gianni Ponti, Giancarlo Giglio, Sandro Sechi, Gianni Cocco



ARRIORA – TERZA CATEGORIA (STAGIONE 2009-2010)
In questa foto tra gli altri:  Efisio Sasso,  Willy Vacca,  Marco Corrias, Luca Daga, Paolo Sechi, Matteo Fanari , Danilo Pilloni, Gian Nicola Corda, Vincenzo Atzori, Roberto Lutzu, Fabrizio Piras, Gianni Murgia (allenatore), Davide Vacca, Gianluca Bellu con suo figlio.



ARRIORA – TERZA CATEGORIA (2010-2011)
In piedi da sinistra:  Alberto Corona (Allenatore), Sandro Caria, Luca Daga, Gianfranco Murru, Matteo Fanari, Martino Bellu, ?...., Gianluca Bellu (con figlio), ?....
In basso da sinistra: Andrea Dessì, Nicolò Loche (bambino), Matteo Sardu, Paolino Sechi, Marco Corrias, ?...., Sandro Bellu, ?...., ?...., Filippo Manca



ARRIORA – GIOVANISSIMI (2011)
In piedi: Daniele Zoncu (allenatore), Nicola Piras, Lorenzo Sardu, Raffaele Medde, Matteo Marongiu,  Matteo Murru, Federico Corda, Davide Atzori, Gabriele Pinna,  Paolo Daga;
Accosciati: Davide Mocci, Umberto Del Gaudio, Cristian ?...., Alessandro Cadeddu, Andrea Policastro, Luca Zoncu, Emanuele Loche, Nicolò Loche




Per inserire i nominativi mancanti in alcune formazioni, si prega di inviare una mail, fornendo indicazioni sulla squadra e sulla posizione dei giocatori. 
mail:  blog.isarrioresus@gmail.com 

g.l. 

venerdì 25 febbraio 2011

"Su 'inãi est asutta de ũa tzìccara" - novella di Benedetto Sulas


C’era il sole quella mattina di primavera. E dopo un inverno freddo e piovoso ci voleva proprio un po’ di sole.
Zuannica era andata in campagna, a Is croviàzzusu” (1), a raccogliere asparagi. Era tutta assorta nei suoi pensieri: l’annata precedente non era stata buona e, sebbene lei e suo marito fossero rimasti soli, le scorte cominciavano a scarseggiare. Inoltre, il matrimonio della loro unica figlia aveva esaurito tutti i loro risparmi.
Anche la raccolta delle olive era stata scarsa. Bisognava quindi arrangiarsi in qualche modo per poter superare la crisi.
E gli asparagi erano un aiuto. Fritti con delle uova erano un piatto gustoso e nutriente.
Probabilmente, quelli che aveva già raccolto sarebbero bastati per il pranzo. Il sole era già alto e forse suo marito era rientrato dal campo dove lavorava.




Mentre si accingeva a riprendere il cammino di casa, tutta assorta in questi pensieri, sentì una voce, un bisbiglio. Tese le orecchie.
Era proprio una voce:
- ‘Omãi Zuannica! ‘Omãi Zuannica! (2)
Invano la donna cercava di scorgere qualcuno in mezzo agli alberi di olivo o oltre la siepe di fichidindia.
La voce riprese: - ‘Omãi Zuannica! ‘Omãi Zuannica! ‘Omãi Zuannica! Sembrava vicinissima, ma non si vedeva nessuno. Zuannica scosse la testa, forse non aveva sentito niente, forse era stata una sua impressione. Ma non era così, perché la voce continuò.  Omãi Zuannica, seu Tzitza Muntõi. No mi cricchèasa, tanti no m’éisi a podi bì mai!.  (3)
Sant’Anna mia bella! (4)  disse tra sé e sé Zuannica. Tzitza Muntõi era morta quasi un mese prima. Si fece il segno della croce.
Strinse il mazzetto di asparagi e ne sentì l’umidità. Non dormiva, era sveglia più che mai! E non era neanche uno scherzo; era proprio la voce di Tzitza Muntõi, la conosceva bene.
Zuannica voleva fuggire ma non riusciva a muoversi.
Omãi Zuannica! Omãi Zuannica! continuava la voce, vicinissima, Omãi Zuannica! No timèasa. Ascuttaimì. Si deppu domandai ũ pragheri. (5)
Zuannica ascoltava, spaventata e meravigliata allo stesso tempo. Bazzai de pobiddu miu e naraideddi ca su ‘inãi chi deppiàusu zai a su maist’e linna, no chi dd’iu spéndiu, ma dd’iu arragottu asusu de sa coronissa, asutta de ũa tzìccara in càmbara bella. Bazzai ‘omari mia, fadeimì custu pragheri, no timèasa". (6)
Zuannica promise che ci sarebbe andata appena arrivata in paese, poi, sempre spaventatissima, con voce insicura, si azzardò a chiedere: Omari, chi esti beru ca séisi ‘osu, naraimì mẽ innui s’agattàisi, chi séisi ĩ logu bellu o ĩ logu mau”. (7)
Rispose la morta: No si potzu nai nudda, séttisi ca Déusu esti zustu e bõu pagatori. A immi m’adi domandau contu de ũ croppu de péttia chi ‘iu zau a ũ pegu de moa. (8)
Dopo queste parole vi fu di nuovo il silenzio della campagna.
Zuannica era fuori di sé. Mise in fretta e furia gli asparagi dentro su scatteddu (9) e si avviò, quasi di corsa verso il paese. Dentro la testa le risuonavano ancora le parole della morta: coronissa… tzìccara…càmbara bella…. Lei non aveva mai creduto che un morto potesse parlare. Tutte le storie che aveva sentito sui morti, che apparivano o che parlavano, aveva sempre pensato che fossero delle fantasie. Ma quello che era successo non era una fantasia. Era realtà. Però voleva esserne certissima.
Appena arrivò in paese non andò a casa sua, ma si diresse di gran fretta a casa della morta. Bussò nervosamente alla porta.
Quando il povero vedovo aprì, se la trovò davanti ansante e sudata. La fece entrare.
Zuannica gli raccontò il fatto. Il pover’uomo si segnò e i suoi occhi s’inumidirono.
Assieme entrarono in sa càmbara bella. Sopra sa coronissa c’era un servizio di tziccarasa, regalo di nozze. Trepidante l’uomo girò prima una tazzina, poi un'altra. Sotto la terza vi erano due monete d’argento.
La storia si diffuse in tutta Riola e nei paesi vicini. Furono fatte fare delle messe in suffragio della morta.
Di questo fatto se ne parlò a lungo. Zuannica era persona onesta e sincera e quasi tutto il paese le aveva creduto.





Note:                           


I SOLDI SONO SOTTO UNA TAZZINA DA CAFFE’

(1)   Is croviàzzusu è il nome di una zona della campagna di Riola.
(2)   ‘Omãi Zuannica. Comare Giovannica. ‘Omai si usa quando è accompagnato dal nome, altrimenti si usa ‘omari.
(3)   Seu Tzitza Muntõi. Sono Tziza (Francesca) Muntõi (Muntoni). Non mi cricchèasa, tanti non m’éisi a podi bì mai!  Non cercatemi, tanto non potrete mai vedermi!
(4)   Sant’Anna mia bella! (Invocazione a S.Anna, cara ai Riolesi)
(5)   No timèasa. Ascuttaimì. Si deppu domandai ũ pragheri. Non abbiate paura. Asoltatemi. Vi devo chiedere un piacere.
(6)   Bazzai de pobiddu miu e naraideddi ca su ‘inãi chi deppiàusu zai a su maist’e linna, no chi dd’iu spéndiu, ma dd’iu arragottu asusu de sa coronissa, asutta de ũa tzìccara, in càmbara bella. Bazzai ‘omari mia, fadeimì custu pragheri, no timèasa. Andate da mio marito e ditegli che i soldi che dovevamo dare al falegname, non li avevo spesi, ma li avevo raccolti sopra la cornice, sotto una tazzina da caffè, nella stanza degli ospiti. Andate comare, fatemi questo piacere, non abbiate paura.
(7)   Omari, chi esti beru ca séisi ‘osu, naraimì mẽ innui s’agattàisi, chi séisi ĩ logu bellu o ĩ logu mau.  Comare, se è vero che siete voi, ditemi dove vi trovate, se siete in un posto bello o in un posto brutto.
(8)   No si potzu nai nudda, séttisi ca Déusu esti zustu e bõu  pagadori. A immi m’adi domandau contu de ũ croppu de péttia chi ‘iu zau a ũ pegu de moa. Non posso dirvi niente, solo che Dio è giusto e paga bene. Per quanto mi riguarda, ha tenuto conto di un colpo di pertica che avevo dato a un asino.
(9)   Scatteddu. Cestello di vimini.

Novella di Benedetto Sulas - tutti i diritti riservati

giovedì 24 febbraio 2011

Annotazioni e curiosità sul dialetto riolese – “IL DIALETTO DI RIOLA E GLI EFRAIMITI” - di Benedetto Sulas




Forse non tutti ricordano chi erano gli EFRAIMITI. Erano i discendenti di Efraim. Questi era un figlio che Giuseppe, figlio di Giacobbe, aveva avuto in Egitto.
Ci si chiederà quale relazione ci sia tra Riola e queste genti bibliche.
Aprendo la bibbia al Libro dei Giudici, cap. 12 vv. 5-6, si legge:
“I Galaaditi intercettarono agli Efraimiti i guadi del Giordano; quando uno dei fuggiaschi di Efraim diceva: “Lasciatemi passare”, gli uomini di Galaad gli chiedevano: “Sei Efraimita?”.
Se quegli rispondeva: “No”, i Galaaditi gli dicevano: “Ebbene, di' “Scibbolet”, e quegli diceva: “Sibbolet”, non sapendo pronunciare bene.
Allora lo afferravano e lo uccidevano presso i guadi del Giordano. In quella occasione perirono quarantaduemila uomini di Efraim."
La relazione è solo fonetica. Nel dialetto riolese non esiste il suono /š/ fricativa prepalatale sorda, cioè, per intenderci, il suono SC iniziale di Scibbolet; al suo posto viene usata la /s/ fricativa sibilante dento-alveolare sorda.
In teoria anche i riolesi avrebbero pronunciato “Sibbolet” e sarebbero andati incontro a morte sicura.

Note:
La parola “Scibbolet” significa “Rio” o “spiga di grano”

Testo a cura di Benedetto Sulas

giovedì 17 febbraio 2011

Personaggi: “PREI SÈCHI”, UN INSEGNANTE D’ALTRI TEMPI

Prei Sèchi (1869-1946)

Prei Sèchi”, all’anagrafe Giovanni Antonio Sechi, è stato una figura di primo piano della prima metà del ‘900.
Sacerdote e insegnante elementare, è rimasto nella memoria collettiva per le sue battute e per i metodi didattici. A tutt’oggi è ricordato dagli anziani per la severità, il carattere rude e schietto.
Prei Sèchi è stato anche letterato. Riveste una certa importanza, poiché autore di un’ottima raccolta di “gosos” (in riolese “còzusu”), edita in Oristano nel 1934 dalla tipografia Pascuttini.
Secondo le notizie riportate nel libro di Nello Zoncu, “Zenti Arrioresa”, “Prei Sèchi” nasce a Riola il 6 marzo 1869 da Basilio Sechi e Filomena Manis.
Fu ordinato diacono il 26/03/1898 e sacerdote il 14 giugno dello stesso anno. Nominato vice-parroco a Riola nel 1900, fu trasferito poco tempo dopo a Milis ove ricoprì il medesimo incarico (dal luglio 1901). Negli anni seguenti divenne maestro elementare.
Dopo un periodo di sospensione dalle cariche ecclesiastiche, fu messo fuori servizio a causa dei dissidi e delle denunce reciproche con il parroco di Riola dell’epoca, Don Salvatore Caria, originario di Nurachi.
Non ebbe un rapporto idilliaco nemmeno con il parroco successivo, Don Raimondo Scalas, anch’egli Nurachese.             
Prei Sèchi morì il 17 gennaio 1946; fu sepolto nel nuovo cimitero, all’ingresso della cappella sul lato destro. A pochi passi, sul lato sinistro, fu sepolto nel 1948 Don Scalas.




                                                             
L’aneddoto: “Animasa de Prugatóriu”

La vicenda si svolge negli anni '20-'30 del secolo scorso.
Prei Sèchi, allora,  possedeva un terreno poco distante da casa sua (nell’area adiacente all’attuale cimitero) coltivato a vigneto e alberi da frutto, con una parte destinata alla coltivazione degli ortaggi.
Egli si dedicava alla cura dell'orto con grande passione nel tempo libero dall'insegnamento. La mattina, infatti, insegnava alle scuole elementari di  Riola, dov'era costantemente impegnato ad istruire e raddrizzare  gli alunni più turbolenti con i suoi metodi severi.
Quasi tutti i pomeriggi si recava a piedi nell'orticello, dove trascorreva diverse ore intento a zappare, inaffiare e curare le piante. Capitava di frequente, però, che vi fossero dei furti di frutta e ortaggi o danneggiamenti da parte di animali, e questo lo faceva imbestialire in modo particolare.
Una sera, dopo essersi accorto dell'ennesimo furto, decise di sorvegliare la sua proprietà armato di una sorta di forcone (ũa frucchetta), con l’intenzione di individuare l'autore. Ragionava tra se e se:“ddu deppu agàttai cussu dellincuenti!”
Rimase di guardia molte ore, dopodiché,  preso dalla stanchezza, si addormentò sotto un albero.
A un certo punto, nelle prime ore del mattino (a patt’a chitzi), fu svegliato dal nitrito di un cavallo (*). Ancora stordito dal sonno, fece per alzarsi quando si accorse della presenza di un uomo; era accovacciato, con i calzoni abbassati, e stava defecando proprio vicino ai suoi piedi.
Prei Sèchi, preso dall'ira, lanciò subito un urlo che terrorizzò il malintenzionato. Costui, non sapendo che fare, invocò soccorso al cielo:
“azzitóriu, azzitóriu, animasa de Prugatóriu!”;  
Prei Sèchi”, di rimando, inveì
Itta animasa de Prugatóriu….  ànima caghendi, bruttu fill’e ........!  Alla ca ti cravu commenti un caoru… chi non tòrristi prusu!
Il ladruncolo, terrorizzato a morte, non poté fare altro che scappare a gambe levate, scordandosi del cavallo che aveva legato lì vicino.

(*) All’epoca molti proprietari di cavallo, la sera, usavano portare l’animale nelle paludi vicine al fiume e lasciarlo  al pascolo, per poi riprenderlo all’alba  e andare al lavoro.

Testo a cura di Gilberto Linzas
Si ringraziano Giuseppe Mocci e Benedetto Sulas .

domenica 13 febbraio 2011

POESIE DI ALMINA MADAU CARTA - POETESSA PER PASSIONE E DILETTO




Il mio Paese

Tutto è immobile nel tempo, 
come la lucertola al sole
nei muri di paglia e fango.
Tutto è immutato nel vicolo,
come lo scampanare e il belare
dei polverosi animali.
Tutto è sempre reale
come lo strillo ammiccante
dell’ultimo anziano banditore.
Il mio Paese è profumato.
dal Vento,
che dalla costa arriva, 
sfacciato,
raccogliendo e cullando
ogni fatica d’uomo chinato.
Dai Forni accesi all’alba,
che pintaderas aspettano
pani da decorare.
Nel profondo cambiare, nulla è mutato. 
Il mio Paese è ancora di tutto.


Quando scende la notte

Quando scende la notte la mia terra si profuma.
E mille fate antiche e sorridenti, 
spargono petali di rosa sui sogni della gente.
L'autunno veste, 
la fertile tiepida campagna
di caldi colori, 
e la notte
d'argento lunare s'ammanta
cullando speranze ed amori.
Quando scende la notte la mia terra si racconta.
E senti le voci e le grida lontane, 
di terribili miti che impari ad amare.
L'autunno riprende, 
la solita via, 
cantando canzoni di malinconia, 
di feste
di piazze
di antichi misteri, 
di storia, barbarie, orgoglio e dolore.
Quando scende la notte la mia terra è un pò più mia.

Poesie di Almina Madau Carta -  tutti i diritti riservati.



sabato 12 febbraio 2011

Personaggi: "TZIA ARROSA 'OCHI", UN'EROINA STILE FAR-WEST



Una gonna lunga nera, consunta e sporca; un giubbotto grigio come usavano i  primi conducenti delle autolinee della Satas e scarponi da montanaro; in testa un gran fazzoletto, tipo spigolatrice. Era l’abbigliamento  tipico utilizzato, sia d’estate che d’inverno,  da Tzia Arrosa 'Ochi (Rosa Lochi 1880-1954), uno dei personaggi più stravaganti della Riola degli anni ‘30-40 del secolo scorso, titolare del servizio pubblico di trasporto con carrozza nella tratta Riola-Nurachi-Oristano (*).
Una sorta di eroina stile far-west, con i suoi modi bruschi e il linguaggio, diciamo, non propriamente oxfordiano. La sua diligenza, trainata da un vecchio cavallo malnutrito, “un autentico ronzino”,  con le ginocchia spesso fasciate di stracci per le frequenti cadute (*), era l’unico mezzo di trasporto pubblico per chi voleva recarsi a Oristano, utilizzato anche  per il trasporto e il recapito di pacchi e merci di ogni genere
Un racconto di Giuseppe Mocci -  già pubblicato sull’Unione Sarda del 2 novembre 1996 e nel libro di Nello Zoncu “Zenti Arrioresa" -   ricorda questa figura femminile.

(g.l.)


LA DILIGENZA DI TZIA ARROSA” 
di Giuseppe Mocci

L’altro giorno ho letto gli appunti di viaggio di Elio Vittorini, riportati in un libricino scritto nel 1932, “Sardegna come una infanzia”.
Il nostro non parla certo bene dei sardi; il passo sotto riportato mi ha colpito in particolare, offendendomi malamente. “Oristano, Città di Eleonora. Qui ci sono torri. Un pullulare di empori, di gente vestita del primo straccio che capita. Mangiatoia di Arcivescovi e di straccioni”.
Oggi ho quasi dimenticato tutto, quando mi sono trovato davanti alla torre nella piazza grande di Oristano, davanti a molti empori, al famoso bar Ibba e a molta bella gente, elegantemente vestita.
Ero seduto su una comoda poltroncina del famoso bar a sorbirmi il solito gelato, quando con la memoria sono tornato ai bei tempi della mia infanzia e mi sono ritrovato nello stesso bar;  dentro facevo la stessa cosa, ma non era un semplice gelato, era il famoso “pezzo duro” che stavo leccando per la prima volta, nel mese di giugno del 1939, mio primo impatto con la città di Eleonora.
Avevo allora nove anni ed ero andato a Oristano con mamma a prendere mio padre, che arrivava in treno, non ricordo se da Cagliari o da Olbia, proveniente dall’Africa Orientale Italiana, dove nel 1936 si era recato, quale piccolo imprenditore edile, fascista fervente, per dare il suo contributo alla inutile colonizzazione dell’Imperiale Etiopia.
Eravamo partiti dal paese con Tzia Arrosa 'Ochi – Rosa Lochi – titolare del servizio pubblico di trasporto passeggeri sulla tratta Riola-Nurachi-Oristano, con arrivo  a Oristano in via Tirso Osteria Ledda. Tzia Arrosa possedeva allora una sola diligenza, vecchia e sgangherata.
Di solito una diligenza veniva trainata da due o più cavalli, ma la nostra ne possedeva uno solo, un autentico ronzino. Ella partiva da Riola, la mattina presto e subito faceva conoscere il suo umore con una delle solite esclamazioni: Andàusu andéusu ĩ nòmini de Déusuoppure: Andéusu andàusu ĩ nòmini de is tiàusu; seguiva poi una frustata al povero ronzino, leggera o pesante, secondo l’esclamazione usata.
Quel giorno la partenza era iniziata sotto un buon auspicio:  ĩ nòmini de Déusu”. Arrivati ad Oristano, mamma mi accompagnò prima nei pressi della Torre, per ritirare delle medicine dalla farmacia di Romolo Nurra, poi in piazza San Sebastiano per prendere la carrozza del servizio pubblico, mi pare di un certo signor Turnu.
Precedentemente però Tzia Arrosa si era offerta di accompagnarci alla stazione ferroviaria; mamma non accettò perché durante il viaggio il cocchiere era stato apostrofato pesantemente, nei pressi di Nurachi, da un certo “Pedru Cannaca”. Il fatto, molto comune e quasi quotidiano, aveva fatto cambiare umore alla nostra eroina, che sprizzava rabbia da tutti i pori.
Tzia Arrosa veniva fatta oggetto di scherno per il suo modo strano di vestire: indossava, sempre e in tutte le stagioni, una gonna lunga nera e sporca, la testa era fasciata da uno strano fazzolettone del tipo estivo da spigolatrice, ai piedi calzava scarponi da montanaro; infine indossava un giubbotto grigio scuro del tipo autista della Satas.
Col signor Turnu ci avviammo quindi alla stazione, in tempo per l’arrivo del treno. Dopo un prolungato fischio della vaporiera, seguirono gli abbracci, i baci e le carezze da parte di babbo, che contento, orgoglioso e felice fece caricare i bagagli su una carrozza; su un’altra salimmo noi tre.
Rientrammo nell’Osteria per depositare i numerosi bagagli. L’orario della partenza della diligenza, era stabilito per le ore 14 e noi disponevamo di un’oretta di tempo per un piccolo giro in città. Dopo il gelato Ibba, gustai anche la mia prima pasta alla crema; ammirai gli alti palazzi di via Dritta, che stimai più alti del campanile del mio paese, e con grande meraviglia.
Poi entrammo in uno studio fotografico, con annesso negozio, dove mio padre aprì un pacchetto contenente il mio regalo, il più bello della mia vita: una macchina fotografica Kodak a soffietto, con autoscatto e il cavalletto. La macchina era stata acquistata a Suez; io conservai gelosamente il cartellino, che poi feci vedere ai miei amici e compagni di scuola con orgoglio.  Acquistai un paio di rullini e caricata la macchina da parte del fotografo, rientrammo in Osteria, per la partenza.
Anche Tzia Arrosa ebbe il suo dono africano e, forse, per questo motivo aveva dimenticato Pedru Cannaca, perché anche questa partenza avvenne nel nome del Signore. Arrivati al Rimedio, salirono in diligenza due anziani sacerdoti, i quali non fecero in tempo nemmeno a prendere posto che la nostra eroina frustò pesantemente il povero ronzino, esclamando rabbiosamente: Andàusu ĩ nòmini de is tiàusu e cũ du' sàccusu de crabõi. Il povero, vecchio cavallo assorbì con un grande spasimo l’ingrata frustata e tentò di partire di slancio, gli mancarono le forze e cadde di traverso sulla strada polverosa e dissestata; si ruppero le stanghe della vecchia diligenza, dall’asse schizzò via, come un proiettile, la ruota posteriore destra.
Sul cumulo della ghiaia, sul lato destro, apparve Tzia Arrosa, appollaiata con la frusta in mano; bestemmiava più di un carrettiere toscano e imprecava all’indirizzo dei due religiosi iettatori. Nessuno osò aprir bocca; mio padre, sottovoce ci suggerì di seguirlo in silenzio, arrivammo a Donigala, dove un amico di famiglia ci portò a Riola col suo carretto.
Tzia Arrosa continuò il servizio fino al 1947, quando morì il povero ronzino; sette anni dopo anche lei passò a miglior vita.


NOTE:

(*) L'abitazione di Tzia Arrosa  era situata di fianco all’attuale edificio del  Comune. Il cavallo che trainava la diligenza in  realtà era una cavalla di nome " Itàllia" - Italia.

La figura di Tzia Arrosa Ochi viene ricordata anche nel libro “Nurachi e la sua storia - Appunti di un viaggio nella memoria” (2004) di Pasqualino Manconi, il quale scrive:

"Altro singolare ricordo era “su brecchi di zia Rosa Loche” di Riola Sardo, che giornalmente si recava ad Oristano. Sul suo “Break” salivano studenti, contadini e massaie che dovevano sbrigare affari commerciali ed altro.
Personaggio, questa Rosa Loche, d’aspetto e comportamento mascolino ed atteggiamento burbero e brontolone, per sessant’anni titolare della linea Riola-Nurachi-Oristano, vestiva sempre con un’incerata nera ed un berretto a falda da cacciatore, non disdegnava di fumare il sigaro e bere qualche bicchierino di vernaccia ed acquavite. Arrivava ad Oristano e faceva capolinea all’osteria dei Ledda in via Tirso e dopo la discesa dei passeggeri dalla carrozza  e la sistemazione del cavallo, via a provvedere al disbrigo delle commissioni richieste da tanti clienti. 
All’ora di pranzo il rientro con clienti a Nurachi e Riola Sardo.
Cessò l’attivita’ negli anni ’50, quando ormai la vecchiaia sopraggiunse ed anche perché le automobili avevano occupato il posto della sua carrozza".