sabato 30 luglio 2011

Ricordi d'infanzia: "SA PRALLATA" (Il comizio) - di Giuseppe Mocci

Nel 1937, in piena era fascista, l'Italia era una monarchia costituzionale sotto il Regno di Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia.
Presidente del Consiglio dei Ministri era Benito Mussolini, che governerà l'Italia, da Dittatore (Dux-Duce), fino al 25 Luglio del 1943. Il Consiglio dei Ministri era formato da soli uomini del suo Partito, perché gli altri partiti erano stati sciolti d’autorità.
A Riola allora eravamo, apparentemente, tutti fascisti, fatta eccezione per un signore proveniente da Zeddiani, sarto, noto antifascista, che era stato un militante del Partito Sardo d’Azione.
Nel 1940 era arrivato in paese un altro antifascista mandato in esilio dal Governo.
Tutti eravamo inquadrati per categorie nel Partito Nazionale Fascista (P.N.F.), dai figli della lupa, i più piccoli, ai balilla, agli avanguardisti, ai giovani fascisti, alle donne rurali, ecc. ecc.
Durante il ventennio fascista, come in tutti i Comuni d'Italia, anche in paese c'era il segretario del Fascio, onnipotente e molto severo con chi non si adeguava alle direttive del Partito.
E' rimasta famosa la purga di olio di ricino imposta con la forza (manganellate, calci e pugni) al sarto zeddianese, perchè non si era voluto iscrivere al Partito e, forse, perché contrastava il Segretario del Fascio.
Il sarto poi, subito dopo la guerra (nel 1946 o '47), si vendicherà facendo processare e condannare il manganellatore e dispensatore dell’olio di ricino, sulla base delle leggi per l'epurazione (subiranno una condanna penale tutti gli ex fascisti colpevoli di malefatte durante il regime).
Su direttiva del Partito, il sabato, detto "sabato Fascista", era dedicato all’addestramento militare obbligatorio dei giovani fascisti, cioè quelli in età prossima al richiamo.
L’addestramento consisteva nella marcia, corsa e uso delle armi da fuoco. Il responsabile dell’addestramento era un fascista di Baratili (allora frazione di Riola), sempre perfettamente vestito in divisa, con la camicia nera e dall’aspetto marziale.
L’esercitazione con le armi (generalmente con un moschetto) avveniva sempre dietro il lavatoio comunale, dove si sparava sul bersaglio sistemato sul muro del medesimo lavatoio.

raduno giovani fascisti a Riola - anni '30

Noi scolari, generalmente, venivamo inquadrati assieme a tutte le altre categorie, in divisa, per le sfilate con bandiera tricolore e gagliardetti.
Ricordo un episodio capitato durante una di queste sfilate, nel 1939 o nel 1940. Sfilavamo sulla via Roma cantando inni pattriottici, diretti verso il Municipio, quando un signore, in sella alla sua bicicletta e col berretto in testa, passò sulla nostra sinistra diretto verso Baratili. Non si fermò e, indifferente nei nostri confronti, tentò di proseguire.
Il Segretario del Partito, che ricopriva una carica pubblica molto importante in Municipio, di fresca nomina e molto severo, raggiunse il malcapitato, lo fece scendere dalla bicicletta, gli tolse dalla testa il berretto e lo prese a schiaffi.
Gli schiaffi erano una prerogativa del nostro Segretario; anche io ne presi da lui una bella serie a scuola.
Era successo che io ed un mio compagno, figlio del nostro Segretario, eravamo venuti alle mani durante la ricreazione e ci eravamo procurati qualche graffio, ma niente di grave.
Il compagno rientrato a casa, interrogato dal padre, rivelò il mio nome come l’autore del suo graffio. Il giorno seguente il Segretario venne in classe, vestito in divisa, chiese di me alla maestra e si precipitò, come un falco sulla preda, sul mio banco e mi diede un paio di ceffoni, minacciandomi un'altra dose più numerosa se io avessi nuovamente picchiato suo figlio.

 
scuole elementari 

Fra le varie manifestazioni che si tenevano, periodicamente, c’era quella importantissima, per il Partito, del Comizio (in riolese “Sa Prallata”), sempre di Sabato sera e in Piazza di chiesa.
Non ricordo per quale occasione il nostro Segretario avesse organizzato il Comizio, rimasto famoso per quello che accadde.
Ricordo, però, che quel Sabato sera, all’ora e nella piazza prestabilite, eravamo in pochi, perché tanti erano andati in chiesa per una novena.
Il Comiziante era un gerarca molto noto, proveniente da Cagliari, che controllava spesso l’orologio e chiedeva agli organizzatori di poter cominciare il suo discorso o sospenderlo; perché, aggiungeva, non voleva perdere l’ultimo treno in partenza da Oristano.
Non sia mai detto... il Segretario del Partito con i suoi collaboratori si recarono subito in chiesa e dopo dieci-quindici minuti rientrarono con numerose persone.
Non ho mai capito come avesse proceduto il nostro Segretario. Alcuni dicevano che i fedeli sarebbero stati cacciati dalla chiesa con calci e minacce da alcuni fanatici, forse gli stessi che l’anno precedente avevano abbattuto i crocefissi della Via Crucis del paese, in odio al Parroco; altri, che il Sacerdote officiante avesse accettato l’invito a concludere subito la funzione religiosa.
Finalmente il Comizio ebbe inizio e durò parecchio; tanto che il gerarca, logorroico, non si accorse del lungo tempo impiegato e non si ricordò nemmeno dell’orario di partenza del suo treno. Non solo, dopo il Comizio, come d’uso, venne offerto un piccolo rinfresco con vernaccia e amaretti.
Il Comiziante improvvisamente si alzò di scatto ed esclamò:
“E ora come faccio a rientrare a Cagliari? Domani mattina ho un impegno di Partito molto importante!”
Gli rispose, tranquillizzandolo, qualcuno della Sezione:
“Eccellenza non si preoccupi, perché Lei rientrerà a Cagliari questa notte!”
Il Segretario, meravigliato, chiese spiegazioni. Gli rispose pronto e determinato l’interlocutore:
“Se il nostro camerata sa guidare la motocicletta, il problema è risolto!”.
Di rimando il Segretario :
“Ma tu non possiedi una motocicletta!”.
Qualche altro, che aveva capito la proposta della motocicletta, esclamò:
“Lo facciamo partire con la motocicletta del camerata Ilario Mocci, fervente fascista e mio compare”.
Allora, il Segretario e i suoi collaboratori si recarono col comiziante a casa del proprietario della motocicletta, contenti di aver risolto il problema.

Gilera 500 - anni '30

Io e il mio carissimo amico Salvatore Bellu, presenti al comizio, avendo sentito la proposta della motocicletta, precedemmo l’arrivo del Segretario e dei suoi collaboratori, per informare mia madre di quanto stava per accadere.
Mia madre, preso atto di quanto noi avevamo riferito, chiuse il portone.
Aveva appena spento le luci quando incominciò un continuo rintocco del battente della porta e l’invito ad aprire da parte del gruppo. Dopo qualche minuto, mia madre, avendo riconosciuto la voce del compare, grande amico di mio padre, aprì.
Alla proposta di utilizzare la motocicletta mia madre oppose un netto rifiuto, specificando i motivi:
“Prima di tutto mio marito non c’è, e voi lo sapete bene perché siete stati voi a convincerlo a partire per l’Africa orientale, per fabbricare case per gli abissini; in secondo luogo non ho la chiave”.
Alle pressanti richieste, che stavano diventando anche minacciose, una delle mie sorelle, forse preoccupata per la piega che stava assumendo la conversazione, porse a mamma la chiave della moto, dicendo di averla trovata in un cassetto del comodino della camera da letto dei nostri genitori.
A questo punto mia madre chiese garanzie sulla restituzione della moto al Segretario e, in modo particolare, al compare. Avuta l’assicurazione della restituzione, a breve, da parte di tutti, mia madre concesse, di mala voglia, l’uso della motocicletta.
Il giorno dopo, mia madre si recò in Municipio a raccontare l’accaduto al Podestà, grande amico e compare dei miei. Il Podestà era di Nurachi (altra frazione di Riola), il Cav. Pili, sottufficiale dell’Esercito in pensione, persona molto influente nel P.N.F. perché durante la prima guerra mondiale era stato il superiore diretto di Benito Mussolini (semplice caporale).
Era notorio che il Cav. Pili era stato nominato Podestà dal Prefetto di Cagliari su richiesta del Duce.
L’intervento del Podestà era stato fruttuoso, infatti, due giorni dopo la motocicletta si trovava nuovamente a casa, sistemata nel solito posto, al centro del corridoio. Non solo, ma i militi (componenti della Milizia-Polizia-fascista) portarono anche dolci e una lettera di ringraziamento firmata dal famoso comiziante e dal Federale (il più elevato di grado dei fascisti in ogni provincia) di Cagliari.
Io e l’amico Salvatore, che abitava a fianco di casa nostra, riprendemmo le corse simulate in motocicletta.

Racconto di Giuseppe Mocci 



venerdì 29 luglio 2011

RIOLA EVENTI D'ESTATE: UN EMOZIONANTE LUIS BACALOV AL PARCO DEI SUONI


Luis Bacalov sul palco del Parco dei Suoni

Giovedì 28 luglio 2011: Serata indimenticabile al Parco dei Suoni con le musiche di uno straordinario maestro, Luis Bacalov, capace di trasmettere emozioni e suggestioni uniche, che richiamano le atmosfere del Sudamerica: Buenos Aires e l’Argentina; il tango e le sue atmosfere; le vaste distese oceaniche. 
Luis Bacalov, accompagnato dall’Orchestra da camera della Sardegna diretta da Simone Pittau, ha proposto parte del suo repertorio offrendo musiche eccezionali, appassionanti e coinvolgenti: il tango e i ritmi della musica popolare influenzata dai grandi della musica classica e del jazz; le colonne sonore di film importantissimi (“A ciascuno il suo”; “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”), tra cui anche le musiche del film “Il postino” che gli hanno fruttato un meritato oscar.



Il concerto, inserito nel programma di “Culture Festival”, si è svolto in una serata piuttosto “fresca”, riscaldata però dalla musica del Maestro. 
Unica nota stonata, considerata la portata ed il valore dell’evento, è stata la scarsa presenza di pubblico (alcune centinaia di spettatori), dovuta, presumibilmente, ad un’inadeguata o insufficiente promozione. 
Il pubblico presente, peraltro, ha dimostrato il suo apprezzamento, applaudendo numerose volte Luis Bacalov e richiedendo calorosamente il   bis finale. 
La serata si è poi conclusa in bellezza con lo spettacolo pirotecnico.


Luis Bacalov al parco dei suoni esegue le musiche del film "Il Postino"


(g.l.)

giovedì 28 luglio 2011

STORIA MEDIOEVALE DELLA SARDEGNA (sintesi - 11ª parte)

IL GIUDICATO DI GALLURA 

 
stemma del Giudicato di Gallura

“Era chiamato così perchè delimitava lo stretto delle Bocche di Bonifacio, fra la Sardegna e la Corsica, detto nell'Alto Medievo “fretum gallicum”, cioè stretto gallico (la Corsica era, allora, Franca, ovverosia gallica).”
Anche questo Giudicato “era uno stato sovrano e perfetto anche se poverissimo”.
Il suo territorio, quasi tutto montuoso e sterile, confinava a Ovest col Giudicato di Torres, a Sud con Calari. Data la natura del suo territorio aveva anche pochissimi abitanti “forse non più di cinquantamila abitanti”. Però, il medesimo era strategicamente importantissimo perché controllava tutte le rotte marittime del Tirreno superiore ed era facilmente raggiungibile dalla Toscana.  Visse di fatto 388 anni, dal 900 d.c. al 1288, quando, per ragioni politiche note, fu abbandonato dall’ultimo sovrano, Nino Visconti, e invaso dalla Repubblica comunale di Pisa che lo trasformò in una sua colonia oltremarina fino al 1334. Non si sa quale sia stata la prima capitale del Regno. Alcuni parlano di Suraga o Surache, una villa scomparsa, altri indicano Luogosanto; “certamente non Olbia, già chiamata Fausania, perché era completamente evacuata al tempo delle incursioni musulmane… Fu rifondata , col nome sintomatico di Terranova.”.
Il Giudicato fu amministrato “almeno, da una decina di generazioni di sovrani noti; i primi, dell’XI secolo, furono forse della casata pisana dei Gherardesca, poi, a seguire, delle casate indigene degli Zori, dei Gunale, degli Spanu, dei Lacon e, infine dei Visconti originari di Pisa.”. Il suo stemma era il Gallo.

Uno dei castelli del Giudicato di Gallura - Castello di Pontes, Galtellì

“Nel 1258 i confini del Regno furono ampliati per conquista, inglobando un terzo dei territori dello sconfitto e smembrato Regno di Calari.”.  In quel periodo il Giudicato era composto da undici Curatorie e da due Diocesi”: quella di Civita o Fausania, con sede a Tempio… e quella di Galtellì.”. Le due Diocesi, allora, passarono sotto il controllo dell’Archidiocesi di Pisa.
“Non si sa niente, purtroppo, del codice di leggi statale chiamato, in sardo, Carta de Logu (de Gallura)”; così come negli altri Giudicati.
Non si conoscono poi i nomi dei Giudici che governarono nel 900 e nemmeno durante l’invasione del capo arabo Mugiahid (Mogheto) nel 1015/16.
Dallo storico del 1500 Giovanni Fara (De Rebus Sardois) apprendiamo che, nel 1050, resse la Gallura un certo Manfredi, pisano. Pare che, dopo Costantino della Gherardesca (Pisano), salirono sul trono Giudici indigeni, forse a causa di una rivolta contro i pisani.
“Si ha, poco prima del 1113, Torchitoro de Zori… poi si ha un Saltaro de Lacon- Gunale-Zori, ed un tirannico Ittocorre de Gunale.”
Di questi ultimi due si sa che erano “sostenitori del Comune toscano”. Seguirono Costantino III de Lacon–Gunale e Barisone, “che venne spodestato” forse dalla CORONA de LOGU di Gallura. Allora sarebbe stato nominato - Giudice di fatto – Costantino Spanu, il quale avrebbe sottoscritto “un’alleanza con Pisa, mai più ricusata.”.
E’ noto che Barisone si rifugiò “con la moglie presso i parenti sovrani d’Arborea, dove… gli nacque una figlia, chiamata Elena.”.

Antico disegno dove sono raffigurati tre castelli del Giudicato di Gallura

Alla morte di Barisone, regnando Costantino Spanu e avendo Elena raggiunta l’età da marito, “si svegliarono gli appetiti matrimoniali di molti signori Sardi e Italiani.”.
Salì sul trono di Gallura la figlia di Barisone, Elena, che “sposò, nell’estate del 1207, Lamberto Visconti, figlio del console di Pisa.”.
“Con Lamberto al governo… la Storia di Gallura si fece più attiva.”. Egli avrebbe fondato “la capitale Terranova (oggi Olbia)”. Il medesimo influenzò al massimo la politica filo pisana del Giudicato di Callari; non solo, ma essendo rimasto vedovo di Elena, sposò Benedetta, sua cugina, vedova del Giudice di Callari Pietro-Torchitorio III.
 Dal 1219 al 1224 Lamberto Visconti divenne anche “Judike de fattu”, cioè reggente del Giudicato di Callari, essendo il figliastro Ubaldo ancora minorenne.
Alla morte di Lamberto Visconti (1224) salì sul trono di Gallura suo figlio Ubaldo, che si ingerì “nelle questioni degli altri regni giudicali, per via degli stretti legami di parentela coi sovrani sardi”. Egli, avendo sposato nel 1219 Adelasia di Torres, nel “1235 divenne anche Giudice Di Torres a causa dell’uccisione del giovane cognato Barisone III; ma non per molto, perché morì due anni dopo per malattia.”.
Ubaldo Visconti, per testamento, “indicò come suo possibile erede… il cugino Giovanni Visconti…, che venne incoronato re di Gallura nel 1238.”. Il medesimo, “nato e cresciuto in Toscana, era stato allevato in un ambiente familiare interessato a tutte le questioni politiche sarde. Quindi visse fra la nascente Terranova (Olbia) - ultima capitale del Regno povero e marginale ma strategicamente importante - e l’opulenta Pisa, che alla metà del Duecento era in forte espansione economica, sullo sfondo dell’eterna lotta tra Guelfi e Ghibellini, fra il Papato e l’Impero (Federico II Hohenstaufen di Svevia).”.
Giovanni Visconti, con “la formidabile coalizione filo-pisana degli Stati di Torres, Arborea e Gallura” partecipò, vittorioso, alla guerra contro il Giudicato filo ligure di Callari e “divenne Signore della terza parte orientale del Calaritano.”.

Torre Pisana di epoca Giudicale - Orosei

Alla morte di Giovanni Visconti il Giudicato di Gallura passò al figlio Nino nel 1275, ma nel 1284 “i Pisani vennero duramente sconfitti dai Bolognesi nella battaglia navale della Meloria, dando inizio all’inarrestabile declino della Repubblica” di Pisa. Tra gli anni 1284 e 1288 nella Repubblica di Pisa avvennero cambiamenti importanti (lotta fra i Gherardesca e i Visconti), che portarono i Visconti a rovina.
“Il Regno di Gallura, col terzo orientale del Calaritano, fu subito invaso dalle truppe comunali: e lo Stato finì di fatto.”

Testo a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

martedì 26 luglio 2011

LA COMPAGNIA TEATRALE "ARRIORA" CHIUDE LA 1ª RASSEGNA TEATRALE RIOLESE

Si è chiusa, così com’era iniziata, all’insegna del divertimento e delle risate, la "1ª Rassegna Teatrale Riolese".
Ieri sera (25 luglio, vigilia di Sant’Anna), l’ultimo appuntamento della Rassegna ha visto la Compagnia Teatrale “Arriora” portare in scena per la prima volta “Is campanas de Santu Sadurru”, commedia in tre atti del commediografo oristanese Antonio Garau.
La piazzetta di via La Marmora (pratza de su mercau) era gremita di persone di ogni età che hanno seguito con attenzione la rappresentazione, applaudendo a più riprese le scene divertenti e le battute folgoranti.
Tutti bravissimi gli interpreti della commedia: Matteo Mele (l’attore più giovane), Silvano Atzeni (uno straordinario Triagus), Adele DianaGervasio Corrias (Arraspiosu), Ignazio CorriasAlba Corrias, Mena MariniSalvatore ZichiMario ZoncuVincenzo Cadoni, Luca Cadoni. Dietro le quinte, i  suggeritori: Maddalena CadoniPeppa CarrusDina Rindinella, Amelia Piras.
Nel corso della serata gli organizzatori del Comitato Permanente, con la collaborazione della Proloco, hanno distribuito al pubblico presente zippole, vernaccia ed altre bevande.
Al termine della commedia, Don Antioco Ledda ha consegnato una targa ricordo ai rappresentanti della Compagnia, ringraziando inoltre gli organizzatori, i collaboratori, i tecnici, ma soprattutto il pubblico che ha dimostrato di gradire particolarmente gli eventi di “E... state a Riola 2011 – Sa Festa de is arrugasa e rassegna dialettale”, partecipando numeroso a tutte le serate.
Una Rassegna senz’altro da ricordare, sperando sia la prima di una lunga serie.


Adele Diana e Matteo Mele, nella prima scena


pubblico della serata




la Compagnia teatrale "Arriora" raccoglie gli applausi del pubblico



video-galleria fotografica


(g.l.)

(*)  “IS CAMPANAS DE SANTU SADURRU” ANTONIO GARAU Commedia in tre atti. 1934. 
L'azione di questa commedia in sardo-campidanese, scritta da Garau nel 1934, si svolge in un piccolo paese del Campidano di Oristano: al centro della vicenda il barbiere-tabaccaio Triagus che mette in piedi una rappresentazione teatrale per poter ricomperare le campane di cui il villaggio è privo.



sabato 23 luglio 2011

31 luglio 2011: GIOVANNI ALLEVI "SOLO PIANO TOUR" AL PARCO DEI SUONI DI RIOLA


Dopo aver emozionato enormi platee in giro per il mondo (dalla California al Giappone e poi in Italia) con il suo "World Alien Tour", Giovanni Allevi fa tappa al Parco dei Suoni e della Musica, dove, in uno scenario suggestivo ed affascinante, tra le pareti incise dell’ex cava di arenaria, si esibirà al pianoforte. 
Il 31 luglio il pianista marchigiano, oltre ai suoi più grandi successi, eseguirà i brani di "Alien", l’ultimo disco di inediti per pianoforte solo, che ha riscosso un grande successo di vendite fin dalla sua pubblicazione nel settembre scorso. 

foto Giovanni Allevi - tratta dalla pagina ufficiale facebook

Il concerto di Giovanni Allevi è il pezzo forte dell’ampio programma di mostre e concerti, “Riola Eventi d’Estate”, predisposto dall’Amministrazione Comunale Riolese, che ha avuto inizio il 2 luglio e proseguirà al Parco dei Suoni, in località Su Cuccuru Mannu, per tutto il mese di agosto. 
Già il 28 luglio, alcuni giorni prima del concerto di Giovanni Allevi, è prevista l’esibizione di un altro mostro sacro della musica internazionale, Luis Bacalov, autore di importanti colonne sonore e vincitore del premio oscar per le musiche del film “Il postino” con Massimo Troisi. Nella stessa serata, subito dopo il concerto, si potrà assistere ad uno spettacolo pirotecnico.

Parco dei Suoni - loc. Su Cuccuru Mannu

Per prendere visione dell’intero programma di “Riola Eventi d’Estate”, si può accedere al post già pubblicato in questo blog:
http://is-arrioresus.blogspot.com/2011/07/ricco-calendario-estivo-di-concerti-e.html
(g.l.)



venerdì 22 luglio 2011

CÒNTUSU: "COMUNICATO CADORNA!"

Franziscu, figlio di un ricco possidente, fece il militare di leva (Su Permanenti) a Torino, nel Reggimento Savoia Cavalleria.
Dopo appena un mese di addestramento presso la Scuola di Cavalleria a Pinerolo, egli venne assegnato al predetto Reggimento, come attendente di un tenente; incarico che lo esonerava da tutti i servizi di Caserma, dal servizio di ramazza alla guardia.
Come attendente, egli doveva servire il suo tenente, dalla pulizia dell'alloggio al mantenimento del cavallo, fino al disbrigo di commissioni varie.
Spesso, il nostro cavalleggero veniva mandato a comprare giornali, i quali, dopo letti, non venivano buttati. L'attendente doveva tagliarli a misura di tovagliolo e metterli nel gabinetto del tenente che li usava come carta igienica.
La sera, Franziscu, in divisa con lucidi stivali e speroni (allora alla truppa e ai sottufficiali non era consentito uscire in abiti civili), andava in giro per la città; spesso faceva una puntata in qualche “casa chiusa”.
Prima di far rientro in caserma, soprattutto d'inverno, egli andava in piazza San Carlo, al famoso “Bar Torino”, a bere una cioccolata calda.

Piazza San Carlo a Torino, in una foto d'epoca

Franziscu era stato veramente fortunato per l'incarico ricevuto, essendo analfabeta; incarico che gli permetteva di fare la bella vita, disponendo anche di denaro che il padre gli inviava spesso con vaglia postale.
Rientrato in paese, Franziscu riprese la sua vita normale: lavoro duro nei campi dalla mattina alla sera. Spesso, la sera raccontava agli amici o alla numerosa servitù (allora non c’era la televisione) della bella vita militare a Torino; si ricordava soprattutto della cioccolata calda, della passeggiata sotto i portici di piazza San Carlo, quando nevicava.
Però, a chi gli chiedeva chi fosse questo Santo, egli non seppe dare una risposta perché, secondo lui, non lo sapevano con esattezza nemmeno i torinesi.
Infatti egli raccontava che un caporale torinese, suo compagno d'Arma, da lui interrogato in merito a San Carlo, aveva dato tre versioni diverse: San Carlo Magno; San Carlo V; San Carlo Borromeo.
Franziscu, però, non aveva perso la bella abitudine del periodo militare di usare i giornali come carta igienica; infatti, periodicamente, mandava uno dei suoi servi a Oristano ad acquistarli, perché i giornali, allora, non arrivavano in paese.
Dopo tanti anni, nel 1915, all’entrata in guerra dell’Italia, il nostro eroe ricorse all’aiuto del compare Zuanni, che sapeva leggere e scrivere, per leggergli L’Unione Sarda, che faceva acquistare ora tutti i giorni.
I primi giorni della guerra Tziu Franziscu, al rientro dal lavoro nei campi, mandò a chiamare ‘ompari Zuanni che, arrivato, si mise a sfogliare il giornale. 
Il compare, spazientito, gli urlò:
’Ompai Zuanni, cumìnzidi a lezzi de sa gherra!(1)
Il compare lesse con enfasi il titolo, a caratteri cubitali, dell’articolo di fondo dell’Unione: COMUNICATO CADORNA.
Franziscu sbiancò subito in viso, colpito dalla notizia che riteneva catastrofica, ed esclamò:
"Tzessu, sa gherra è pèdria!” (2)
Egli, infatti, nella sua ignoranza, interpretò la parola "Comunicatocome estrema unzione - in sardo "comunigau-, credendo che il generale Cadorna fosse in punto di morte.
Il solo pensiero che potesse morire il Comandante dell’Esercito Italiano aveva determinato in lui la convinzione che la guerra fosse ormai perduta.
Itta stoccada adi cumprendiu ‘ompari(3) gli rispose sicuro Zuanni, e gli spiegò subito il vero significato della parola “Comunicato”
Ripresosi dallo spavento, Franziscu ci pensò un po su’ ed esclamò:
Custu zenerali dèppid’essi su tenenti miu de Torinu, puitta issu puru si tzerriada Cadorna(4), ed invitò tutti a bere per lo scampato pericolo del suo tenente.


NOTE:

(1) “’Ompai Zuanni, cumìnzidi a lezzi de sa gherra”  compare Giovanni, cominci a leggere della guerra.
(2) "Tzessu, sa gherra è pèdria!” Che disgrazia, la guerra è perduta!
(3) “Itta stoccada adi cumprendiu ‘ompari” Che diavolo ha capito, compare ?
(4) “Custu zenerali dèppid’essi su tenenti miu de Torinu, puitta issu puru si tzerriada Cadorna” Questo generale dev'essere il mio tenente di Torino, perché anche lui si chiamava Cadorna.

Testo di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati.



mercoledì 20 luglio 2011

STORIA MEDIOEVALE DELLA SARDEGNA (sintesi - 10ª parte)

IL GIUDICATO DI TORRES
A cura di Giuseppe Mocci


Come gli altri Giudicati, anche quello di Torres sorse dopo l'abbandono della Sardegna da parte dei Bizantini. “Si hanno notizie della sua esistenza, a Nord dell'isola, intorno all'anno 855.
Il Regno o Giudicato di Torres, chiamato in volgare anche Logudoro (contrazione di Logu de Torres = Logu de Tore - Logu de Dore – Logudore - Logudoro), ebbe per capitale Ardara nel Meilogu (= Mediu Logu), al centro del reame, e per stemma araldico una torre. Era abitato da meno di centomila persone, di cui un terzo liberi e due terzi servi… visse in pratica oltre quattrocento anni, dall'855/64 al 1259.”. (Prof. F.C. Casula)

Ardara - Chiesa Nostra Signora del Regno

Il Giudicato fu amministrato da una decina “di sovrani noti, quasi tutti della casata Lacon/Gunale, tranne gli ultimi due”: Ubaldo Visconti (Giudice della Gallura) ed Enzo di Svevia.
Esso comprendeva diciannove Curatorie; ecclesiasticamente aveva un’Archidiocesi con sede a Torres e sette Diocesi: Ampurias (Castelsardo); Bosa; Bisarcio (Ozieri); Castra (Monteacuto); Ottana; Plovaca (Plaghe); Sorres. Dal 1138 le Diocesi furono poste dal Papa sotto la giurisdizione dell’Arcivescovo di Pisa.
Il Giudicato confinava a Sud con Arborea (il confine era determinato dal rio Pischinappiu nel Comune di Cuglieri, sfiorava Narbolia, risaliva il Monteferru fino a San Leonardo), a Sud Est e a Est con la Gallura.
Dei primi Giudici non si ha notizia alcuna. Il primo Giudice noto (Liber Judicum Turritanorum) potrebbe essere stato Costantino de Martis o Andrea Tanca (1040), a seguire: Comita; Gonario di Lacon; Dorgotori de Kerki o Torchitoro; Barisone; Mariano (1082); Pietro de Serra; Costantino de Sogostos; Pietro de Gunale; Costantino II di Lacon (1120); Gonario II di Lacon (1127); Bariosone II di Lacon (1150/60); Costantino III di Lacon; Comita II di Lacon (1210); Mariano II di Lacon (1225); Adelasia/Ubaldo Visconti; Adelasia/Enzo di Svevia. (R: Carta Raspi)

Ritratti dei Giudici di Torres: Dorgodorio, Costantino III, Pietro I

“Ci sono ignoti gli avvenimenti dei primi secoli di vita del Regno giudicale… Bisogna arrivare al 1015/16 per registrare un fatto… l’unico vero tentativo d’invasione dell’isola da parte di un’armata araba di Spagna”. (Prof. F.C. Casula)
Gli arabi al comando del loro capo, il famoso Mugiahid, (Museto/Mugeto per i sardi), partiti “da Denìa, in Spagna, con centoventi navi invasero la Sardegna e conquistarono parte del Giudicato di Torres e alcune zone dei Giudicati di Arborea e Gallura”.
Uno storico arabo del tempo riferisce che: gli arabi uccisero tantissimi soldati e civili giudicali, compreso lo stesso Giudice di Torres, (Malut per gli arabi; forse Pietro de Gunale); trassero in schiavitù le donne e i bambini.
Come noto, questa disastrosa invasione, che minacciava di espandersi nel continente italiano, provocò una forte reazione dei regnanti italiani, soprattutto da parte della Chiesa.
Fu, infatti, il Papa Benedetto (successivamente, Bonifacio VIII), “sensibilizzato dall’arcivescovo di Calari, primate della Chiesa sarda, “che invocò l’intervento delle Repubbliche Marinare Genova e Pisa.”.
Nel 1015-16 le flotte e le truppe delle due repubbliche sconfissero gli Arabi, liberando la Sardegna e allontanando il pericolo di invasioni musulmane sulle coste tirreniche italiane. Da quel momento i Giudicati sardi “si aprirono al continente italiano per rivitalizzare la propria economia e la propria società.”.
I Giudici di Torres, dopo l’intervento delle due repubbliche marinare, a partire da Mariano I, adottarono una politica liberale, forse con una “eccessiva apertura alle partecipazioni esterne, laiche e religiose”. Strinsero rapporti straordinari con Genova e Pisa; ai pisani (i marchesi Malaspina) concessero l’autorizzazione della costruzione del Castello di Serravalle e del borgo di Bosa, del Castello di Osilo e del borgo di Osilo; ai Genovesi concessero di fondare la città di Alghero e di costruire Castelgenovese (Castelsardo).
Questa eccessiva liberalità, creò seri problemi di sopravvivenza all’autonomia del Giudicato e, forse, è stata la causa della sua rovina.
Essi edificarono “chiese e monasteri a beneficio dei Cassinesi, Camaldolesi e Vallombrosani; tra le più importanti Chiese, ricordiamo: Nostra Signora del Regno di Ardara; San Pietro di Torres di Borutta, con annesso monastero; S.S. Trinità di Saccargia; San Gavino di Portotorres, con annesso monastero; San Nicola di Ottana; San Leonardo di Sette Fonti di Santulussurgiu.

Chiesa S.S. Trinità di Saccargia

I Giudici turritani, imparentati con gli altri Giudici sardi, spesso entrarono in conflitto tra loro per ragioni successorie, con tremende guerre fratricide, cui spesso parteciparono, come alleati, i Pisani e/o i Genovesi.
Dei Giudici sassaresi meritano di essere citati: COMITA, MARIANO II e ADELASIA.
Comita aveva sposato…Sinispella d’Arborea, vedova di Ugo Poncio, Giudice di Arborea"… dalla quale ebbe il figlio Mariano,  che fece sposare con la figlia del Giudice di Calari Salusio IV, Agnese . Questa parentela… lo portò ad allearsi col terribile consuocero (Salusio IV) e ad infierire con lui sull’Arborea, indebolita da lotte successorie interne, imprigionando nel 1199 l’arcivescovo di Oristano, Giusto”.  E’ noto che in quella guerra fu distrutta la cattedrale di Oristano.
Comita viene ricordato oltre che per le sue imprese sulla terra e sul mare contro gli altri regni giudicali o contro i Musulmani, per gli allacci matrimoniali che dimostrano come Torres fosse nota ed apprezzata nel mondo d’allora, e come molti grandi potentati europei aspirassero ad imparentarsi comunque con i regnanti logudoresi.

Ritratto del Giudice di Torres Comita

Comita fece sposare la figlia Maria, detta la Sarda, col figlio primogenito del Marchese di Saluzzo, erede del più importante Marchesato d’Italia.“Divorziato da Sinispella, sposò egli stesso una figlia del Marchese.”.
Comita passa alla Storia come un buon Giudice, che “regnò bene per ventun’anni e morì in pace, nel 1218.”.
Gli successe, per volontà popolare, il figlio Mariano II, forse il miglior sovrano della storia del Logudoro. Egli venne “incoronato ad Ardara, secondo l’uso” e sposò Agnese la figlia del Giudice di Calari Guglielmo-Salusio IV.
Mariano II mantenne il Giudicato “in una condizione di relativa floridezza, approfittando dell’amicizia genovese che gli apriva gli scali marittimi dell’Europa mediterranea… Poté accordarsi anche con gli altri regni sardi: nella primavera del 1219 diede in sposa la dodicenne figlia Adelasia al coetaneo Ubaldo Visconti, d’origine pisana, erede di Gallura…. Rinunciò alle pretese su Calari derivategli dalla moglie Agnese. Conservò invece i suoi diritti materni sull’Arborea, governando in condomino quel Regno col cugino Pietro II de Bas Serra dal 1228 al 1229. Ed è lui che ricostruì la cattedrale di Oristano, distrutta dalle truppe di Guglielmo-Salusio IV di Calari e da Comita suo padre.”.

Ritratto del Giudice di Torres Mariano II

Alla sua morte, nel 1232, “le strutture dello Stato cominciarono a vacillare. Troppe forze disgreganti operavano all’interno e all’esterno del Regno, mentre al governo c’era un inesperto ragazzo di dodici anni (Barisone III), assistito dal giudice di fatto Orzocco de Serra
I genovesi (i Doria) e i pisani (i Malaspina) erano diventati potentissimi e si ingerivano negli affari del Giudicato. “Vasti territori erano in mano a monasteri… E costituivano zone franche indipendenti.  A Thathari o Sassari, un eterogeneo ceto mercantile aveva trasformato l’oscura villa in un centro urbano con fermenti libertari comunali in contrasto coi modi curatoriali.”.
Sorse quindi il Comune autonomo di Thathari- Sassari con un suo Statuto particolare, scritto in sardo”, i così detti Statuti Sassaresi, oggi quasi tutti scomparsi.
Morto Barisone III, assassinato a Sorso nel 1235, gli successe di diritto la sorella Adelasia, che trasmise al marito le prerogative sovrane che le competevano.
Ubaldo Visconti, che era diventato Giudice della Gallura, divenne, ora, anche Giudice di Torres, “il quale ovviamente, diede una svolta filopisana al Regno”.
Dopo solo tre anni Adelasia, rimasta vedova, si ritrovò, nuovamente, Giudice; ma i notabili turritani, filo pisani, le fecero sposare Enzo, giovanissimo figlio naturale dell’Imperatore Federico II di Svevia.
Salì quindi al potere Enzo, che credete, erroneamente, di aver ricevuto l’investitura di Re della Sardegna.
Dopo appena nove mesi di matrimonio, egli, abbandonato il tetto coniugale, partì per il continente, con la scusa di aiutare il padre nella guerra contro i Guelfi di Bologna.
Essendo stato sconfitto l’Imperatore dai bolognesi, Enzo fu fatto prigioniero, ma preferì rimanere, in una prigionia dorata, in un bel palazzo del centro di Bologna, dove poi morì; palazzo chiamato ancora oggi il Palazzo di Re Enzo.
Adelasia, abbandonata dal marito, si ritirò nel castello di Burgos nel Goceano. 

Castello di Burgos

Nel 1246 chiese ed ottenne dal Papa il divorzio da Enzo e, secondo la leggenda, si sarebbe risposata  con Michele Zanche (personaggio di Dantesca memoria), il quale avrebbe svolto le sue veci, come vicario, nel Giudicato di Torres.
Pare che Adelasia sia morta “nel 1259 senza eredi, confermando una donazione del suo Stato in favore della Chiesa.".
In quello stesso anno, praticamente, scomparve dalla scena politica il Giudicato di Torres, che aveva già perso molti territori a seguito di varie guerre con gli altri Giudicati.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati.



martedì 19 luglio 2011

CÒNTUSU: “SU BESTIRI NÕU PO SA FESTA”

Nei nostri paesi la tradizione vuole che, per la festa del Santo Patrono, si indossi un abito nuovo. Fino agli anni ’60 del secolo scorso, gli abiti venivano confezionati dal sarto (su maist‘e pànnusu).
Nei primi anni del ‘900, Tziu Franziscu decise di andare a Oristano per vedere la Festa di Sant’Efisio, che si teneva di domenica.
Ne parlò con la moglie Zuannica, desideroso di portarla con sé. Lei, invece, espresse il desiderio di voler andare al Santuario del Rimedio, per confessarsi e fare la Comunione.
Essi, pertanto, dopo un po’ di discussioni, si accordarono. Tziu Franziscu, col suo servo preferito Zuseppi, sarebbe andato a Oristano, mentre Zuannica, con la serva Filomena, sarebbe scesa al Rimedio. E così fecero.
Franziscu, il nostro anziano ricco possidente, bestiu a festa” (vestito a festa), fece salire sulla sua carretta la comitiva e tutti insieme partirono.
I festeggiamenti per S. Efisio furono, come al solito, molto belli e ricchi e anche la processione fu molto interessante.
Franziscu, prima di ripartire, comprò mostaccioli, noccioline e pistacchi, tanti da riempire, quasi, la bisaccia di Zuseppi.
Al rientro, al Rimedio, quando salirono Zuannica e Filomena, Franziscu raccontò di alcuni episodi della festa e in modo particolare evidenziò l’eleganza dei notabili Oristanesi (is conca' mànnasa de Aristãisi).
Disse che questi indossavano bellissimi abiti, resi ancora più belli da un meraviglioso corpetto, con la catenina in argento dell’orologio, che pendeva dal taschino sinistro, in basso, e, nel taschino di destra, faceva bella figura un astuccio in argento porta tabacco. Non solo, ma essi camminavano baldanzosi e fieri, con i pollici conficcati nei taschini e petto in fuori.
Appena la comitiva rientrò a casa, Tziu Franziscu inviò Filomena a chiamare il compare preferito Zuanni, su Maist‘e pànnusu.
La domestica, furbastra, era in combutta con il sarto, infatti lo informava sempre in anticipo delle intenzioni de su meri (il padrone).
Zuanni, presentandosi al compare, chiese:
“E itta chèridi oi 'ompari ?" (1)
Tziu Franziscu, tutto giulivo, rispose:
Aah…. ollu ũ bellu bestiri nõu po Sant’Anna… nd’appu biu unu ĩ Aristãisi… 
Càstia, mi ddu dèppisi fai cũ i bussottèddasa ananti, innoi! (2)
e, già vedendosi con i pollici conficcati nei taschini del suo corpetto e petto in fuori, continuò a descrivere l’abito indossato dai notabili oristanesi.
Il sarto, già pensando allo scherzo che avrebbe fatto al compare, con un giunco gli prese le misure.

 Processione di Sant'Anna 

Il ventisei Luglio, il giorno della festa, alle nove del mattino, Tziu Franziscu, molto preoccupato perché il sarto non gli aveva ancora portato l’abito nuovo, fece chiamare sa tzaracca (la domestica):
"Tocca... bai currendi de 'ompai Zuanni a ddu tzerriai, ca no m'adi bettiu ancora su bestiri nõu!" (3)
 E proprio in quel momento, apparve il sarto con l’abito tanto desiderato.
Porca miseria, séusu  ĩ arritardu!  esclamò Tziu Franziscu,
Ajò… andàusu, andàusu!(4) e, indossato l’abito, uscì di casa avviandosi con i familiari, frettolosamente, in chiesa.
Durante la processione, per le vie del paese, il sarto burlone e i suoi amici, che erano a conoscenza dello scherzo preparato a danno di “Tziu Franziscu s’arriccu”, camminavano chi di fianco e chi dietro di lui, per godersi la scena.
A un certo punto, Tziu Franziscu, volendo imitare i ricchi oristanesi, a petto in fuori, tentò, a più riprese, d’infilare i pollici nel taschino del corpetto senza riuscirci. Si rivolse irritato al compare:
E itta tiau adi fattu, ‘ompari? 
No ìntranta is pòddighi' mànnusu innoga!(5)
Tutti gli amici del sarto e quelli che erano vicini fecero una grande risata, divertiti per la scena, mentre Zuanni, sforzandosi di apparire serio, gli chiese:
“’Ompari, itt’esti sutzédiu? Ddi domandu 'scusa...(6)
Controllato il corpetto, dopo aver tolto la semplice imbastitura dai taschini, esclamò:
Maradittu siada… 
Deppid’essi stèttiu su ssienti, chi si nd'esti scaréssiu. 
Candu tòrrada, ddi zau ũa surra!(7)

NOTE:
“SU BESTIRI NÕU  PO SA FESTA”  IL VESTITO NUOVO PER LA FESTA

(1)   e itta chèridi, oi, 'ompari ?   Cosa vuole, oggi, compare ? 
(2)   “Aah…. ollu ũ bellu bestiri nõu po Sant’Anna… nd’appu biu unu ĩ Aristãisi… càstia, mi ddu dèppisi fai cũ i bussottèddasa ananti, innoi!” Aah... voglio un bel vestito nuovo per Sant'Anna... ne ho visto uno ad Oristano... guarda, me lo devi fare con i taschini davanti, proprio qui!
(3)   Tocca... bai currendi de 'ompai Zuanni a ddu tzerriai, ca no m'adi bettiu ancora su bestiri nõu! Sbrigati...vai di corsa da compare Giovanni a chiamarlo, visto che non mi ha portato ancora il vestito nuovo! 
(4) “Porca miseria, séusu ĩ arritardu!” “Ajò… andàusu, andàusu!” Porca miseria, siamo in ritardo per la messa! Dai... svelti... andiamo, andiamo!
(5) “E itta tiau adi fattu, ‘ompari? No ìntranta is pòddighi' mànnusu innoga!" Che diavolo ha fatto, compare? Non entrano i pollici qui (nei taschini)!
(6) “’Ompari, itt’esti sutzédiu? Ddi domandu 'scusa...” Compare, cosa è successo? Le chiedo scusa.
(7)  “Maradittu siada… deppid’essi stèttiu su ssienti, chi si nd'esti scaréssiu. Candu tòrrada, ddi zau ũa surra!” Che sia maledetto... dev'essere stato l'apprendista che si è dimenticato. Quando torna gli do una sussa!


Testo di Giuseppe Mocci  - Tutti i diritti riservati

Editing G.Linzas
Revisione dialetto riolese B.Sulas


domenica 17 luglio 2011

RICOSTITUITA A RIOLA LA COMPAGNIA BARRACELLARE


Recentemente è stata ricostituita a Riola, dopo anni di assenza, la Compagnia BarracellareSi tratta di un organismo particolarmente importante, una milizia territoriale avente funzioni di vigilanza, di controllo delle campagne e tutela ambientale. 
Il Regolamento che ne disciplina il funzionamento è stato approvato dal Consiglio Comunale con deliberazione del settembre 2010, mentre lo scorso mese di febbraio è stato approvato l’elenco dei componenti e nominato il Capitano della Compagnia: Fabrizio Lochi
Pochi giorni fa (12 luglio), i seguenti Barracelli hanno prestato giuramento davanti al Sindaco di Riola, presso la sede Comunale: Fabrizio Lochi (Capitano), Nicola Bellu, Adelmo Dessì, Giuseppe Lochi, Efisio Madau, Mauro Manis, Franco Lino Mele, Antonio Mulas, Pietro Mulas, Gianluca Sardu, Ivo Scalas, Silvestro Scanu, Salvatore Angelo Zichi

La Compagnia Barracellare, come già accennato, è un organo di polizia locale, esclusivo della Sardegna, che ha una lunga storia e tradizione risalente all'epoca medioevale (si vedano le note storiche).
Un'associazione di cittadini costituita su base volontaria ed in ambito comunale, per la formazione di squadre di Barracelli da impiegare in servizi di vigilanza della proprietà privata rurale.
Caratteristica principale - ma non esclusiva - del servizio è l'aspetto "assicurativo", per il quale la compagnia rifonde i suoi “clienti”, tipicamente proprietari di terreni agricoli non recintati, dei danni eventualmente patiti a causa di furti o altri crimini.
In base alla vigente normativa regionale, i Barracelli devono collaborare con le forze di polizia, nell’ambito delle proprie attribuzioni, su richiesta del Sindaco. 

Foto d'epoca - antica Compagnia Barracellare 

In passato la vita delle Compagnie Barracellari a Riola, come in molti altri comuni della Sardegna, non è stata facile (la Sardegna, fino agli anni '50 del secolo scorso, era ancora una società con una cultura ed un’economia agro-pastorale)
Dal libro di memorie del Comm.re. Virginio Sias (Memorie di Riola Baratili e Nurachi), apprendiamo che:
“a Riola e paesi limitrofi si stentava a costituire le compagnie poiché si era riluttanti a farne parte; sia i barracelli sia il Sindaco, da cui essi in pratica dipendevano, erano oggetto di rappresaglia da parte ovviamente di coloro che mal sopportavano una assidua vigilanza nelle campagne, specie da parte di pastori o maleintenzionati in genere”.
Nel 1956 “superate resistenze e diffidenze” il Commendator Sias, allora sindaco di Riola, riuscì a ricostituire un’efficiente Compagnia Barracellare.
Ne fu capitano un tale Francesco Marongiu, noto come "Abbaconca" (*) , coraggioso ed intelligente, che affiancato da altri giovani intrepidi, noncurante dei rischi a cui ovviamente si esponevano, riuscirono a riportare l’ordine nel caos che si era instaurato da qualche tempo…. Fioccarono multe per i danneggiamenti accertati, molti pastori colti in flagrante pagarono le multe loro inflitte e gli agricoltori ne trassero sollievo”.
Molti Barracelli, compreso il Sindaco, subirono delle rappresaglie. 
Successivamente la Compagnia venne di nuovo costituita con altri elementi aventi per capitano un mutilato di guerra, Sig Daniele Piras, al quale sempre per vendetta da ignoti vennero danneggiati ben 29 alberi di olivo”. 
(g.l.)


(*) Un coetaneo del capitano dei Barracelli Francesco Marongiu ci fa sapere che il soprannome  (Abbaconca) non sarebbe esatto. Il Marongiu, infatti, secondo quanto affermato, era noto come "Baconchi".



NOTA STORICA SULLE COMPAGNIE BARRACELLARI:

Una Compagnia Barracellare è un'associazione di cittadini costituita in Sardegna su base volontaria ed in ambito comunale. Istituite dal Re d'Italia Umberto I con il Regio Decreto n°403 del 14.7.1898 e regolamentate con la Legge Regionale n°25 del 1988, hanno il compito di vigilare sulle proprietà loro affidate. 
I barracelli sono inoltre inquadrati come agenti di pubblica sicurezza e coadiuvano le forze di polizia e le amministrazioni comunali quando esse ne facciano richiesta. 
I Barracelli derivano da una forma spontanea di scolca (la scolca sarebbe il singolo guardiano campestre, mentre secondo altri autori il termine designerebbe le compagnie o le loro precedenti forme aggregative), risalente a molto prima dell'arrivo degli Aragonesi nell'Isola: al periodo dei Giudicati (terminato nel XV secolo) erano infatti chiamati juratos (o jurados de logu), ed erano coordinati da un maiore de scolca che ne rispondeva direttamente all'antesignano del sindaco odierno, il maiore de villa; il "livello di attenzione" della vigilanza era garantito dal rischio patrimoniale che assumevano personalmente, infatti sin da allora sarebbe stato a loro carico il risarcimento dei danni eventualmente patiti dai proprietari dei terreni da essi vigilati ove fossero stati derubati o altrimenti lesi. 
La criminalità, secondo alcuni studi, doveva essere al tempo caratteristicamente individuale, poiché la Carta de Logu, che pure annoverava fattispecie di crimini con grande dettaglio giungendo a trattare del furto commesso da amanti in camera da letto, non menzionava fenomeni associativi come la bardana né il brigantaggio, che pure imperversavano in Continente; inoltre, a differenza che nel resto d'Italia, ai  Templari non fu consentito l'esercizio di attività di polizia, almeno nella misura in cui lo si era concesso dall'altra parte del mare, segnale forse di una situazione generale di soddisfacente tranquillità tale da non costringere a delegare il controllo del territorio a ordini militari e cavallereschi esterni. 
In seguito, nel 1570 gli iberici, che si erano impadroniti dell'Isola giudicale, diedero loro il nome di Barrachellos, dal quale deriva l'attuale. In questa fase i Barrachellos ebbero vaste competenze in materia di ordine pubblico e pubblica sicurezza ed il loro reclutamento avveniva per coscrizione, sempre quindi su base obbligatoria, ora in analogia con altre prestazioni obbligatorie gravanti sul mondo rurale come in primo luogo la roadia. 

Passata intanto l'Isola ai Savoia, l'Ottocento fu un secolo cruciale per le sue campagne. Oltre infatti a seri disagi...  si ebbero gravi problemi di ordine pubblico connessi alla forzosa trasformazione del mondo rurale sardo nel quadro di un'azione riformistica di più vasta portata: dalla secolare tradizione agricola cristallizzata negli ademprivi, si andava infatti verso una diffusione della proprietà privata dei suoli al fine di incrementarne la produttività, e lo stravolgimento non fu indolore. 
Nel 1819 le Compagnie furono soppresse ed inglobate nei Cacciatori di Sardegna. Nel 1820 fu emanato il noto editto delle chiudende, con il quale (dopo la sua pubblicazione nel 1823) crebbero esponenzialmente i disordini legati alla sua applicazione, che prevedeva il riconoscimento della proprietà terriera - popolarmente avvertita come comune, collettiva - a chi in pratica fosse meramente riuscito a recingerla, avendosene per effetto innumerevoli abusi e conseguenti violenze di aggressione o ritorsione. Le campagne di buona parte dell'isola erano in rivolta. Le Compagnie Barracellari furono perciò riammesse nel 1827, finché fu con il R.D. 22 maggio 1853, n.1533, che si intese porre ordine più sistematicamente nella materia. 
Con questo decreto si mutava dopo secoli la base di reclutamento dei Barracelli, convertendola al solo volontariato. Li si assimilava inoltre alla figura della Guardia Campestre e li si muniva di attribuzioni giudiziarie per le quali avrebbero potuto eseguire arresti in flagranza di reati punibili con la reclusione oppure in caso di incontro con persone in possesso di frutti della terra di cui non potessero giustificare la provenienza. 
Dopo quasi mezzo secolo seguì un altro decreto, il Regio Decreto 14 luglio 1898, n. 403, tuttora la base normativa su cui si innestano le norme recenti che regolamentano le Compagnie Barracellari. 
I Barracelli sono oggi regolati dalla Legge Regionale della Sardegna 15 luglio 1988, n. 25, che ne stabilisce le seguenti funzioni: 
- salvaguardare le proprietà affidate loro in custodia dai proprietari assicurati, verso un corrispettivo determinato secondo le modalità previste dalla medesima legge regionale; 
- collaborare, su eventuale richiesta di queste, con le autorità istituzionalmente preposte al servizio di: protezione civile; prevenzione e repressione dell’abigeato; prevenzione e repressione delle infrazioni previste in materia di controllo degli scarichi di rifiuti civili ed industriali; 
- collaborare, con gli organi statali e regionali, istituzionalmente preposti alle attività di vigilanza e tutela nell’ambito delle seguenti materie: salvaguardia del patrimonio boschivo, forestale, silvopastorale, compresi i pascoli montani e le aree coltivate in genere;- salvaguardia del patrimonio idrico, con particolare riguardo alla prevenzione dell’inquinamento; tutela di parchi, aree vincolate e protette, flora, vegetazione e patrimonio naturale in genere; caccia e pesca; prevenzione e repressione degli incendi; 
- salvaguardia del patrimonio e dei beni dell’ente comune di appartenenza, siti fuori dalla cinta urbana, nonché amministrazione dei beni di uso civico e di demanio armentizio, secondo le modalità da stabilirsi con apposita convenzione. 
Debbono inoltre collaborare, nell’ambito delle proprie attribuzioni e nel rispetto delle norme vigenti, con le forze di polizia dello Stato quando ne sia stata fatta richiesta al sindaco, per specifiche operazioni. 
Viene ribadita la limitazione territoriale di servizio al solo territorio del comune di appartenenza, salvo che occorra di inseguire autori di crimine colti in flagranza.
(Fonte Wikipedia)