sabato 28 gennaio 2012

Còntusu: "Sa sattera de 'Ompai Giuannantõi" - di Giuseppe Mocci

Nel secolo scorso a Nurachi c’era un signore, alto, grasso e ricco, considerato dai suoi compaesani saggio e insuperabile sotto tutti gli aspetti, soprattutto in agricoltura, nella cui attività i nurachesi sono stati sempre molto bravi.
Tutti i lavori agricoli venivano stabiliti da ‘Ompai Giuannantõi. Quando, per esempio, si doveva procedere alla semina del grano, i contadini attendevano che iniziasse i relativi lavori ‘Ompai Giunnantõi.
Al riguardo, questo era il dialogo doveroso tra due agricoltori, che chiamiamo Giuseppi e Franciscu:
Nara Franciscu…, chiedeva Giuseppi,
Asi cuminzau a arai?
Rispondeva Franciscu:
No appu cumintzau poita ‘Ompai Giuannantõi no adi ancora cumintzau!
Oppure, se era tempo di vendemmia, Giuseppi chiedeva a Franciscu:
Nara Franciscu, asi cumintzau a binnonai ?
Franciscu rispondeva:
Nou, poita... ‘Ompai Giuannantõi adi cumintzau?
Gli rispondeva Giuseppi:
Si, si, ‘Ompai Giuannantõi adi cumintzau!
Franciscu allora rispondeva:
Issàrasa crasi cumintzàusu nosu puru!
Giuannantõi era una autorità riconosciuta e rispettata da tutti; a nessuno negava un favore o una raccomandazione. Egli era sempre disponibile, anche perché godeva di amicizie altolocate. 
Si diceva che, fino agli anni '50, quando un compare di Giuannantõi desiderava mangiare pesci di "Mare 'e Pontis" si rivolgesse a Giuannantõi e la cosa era fatta.
Con un suo “billettu”, il compare si presentava in Peschiera (Pontis o Pischeredda) e otteneva i pesci desiderati.
“Su billettu” doveva essere una specie di buono di prelevamento, in bianco, concesso dai padroni dello Stagno a ‘Ompai Giuannantõi, il quale vi aggiungeva solo il nome. Non solo, ma tutti i nurachesi erano trattati con un certo riguardo. Ad essi veniva concessa o tollerata la pesca nello stagno con Sa sattera, nei mesi estivi.
“Sa sattera” era una specie di stuoia galleggiante, fatta da un intreccio di canne ed erbe palustri. Questa veniva stesa sullo stagno, in acqua bassa a circa un metro dal fondo. Tutt’intorno, quattro o cinque uomini agitavano il fondale e l’acqua intorno. I pesci, spaventati, schizzavano fuori dall’acqua e, alcuni, finivano sopra “sa sattera”.
Prova e riprova questi strani pescatori, dopo un lungo lavoro, riuscivano a portare a casa qualche chilo di muggini. 

Pischeredda

I nurachesi praticavano questa pesca nella zona di Mare ‘e Paui e Pischeredda, le località più vicine. Pare che il motivo di questo particolare trattamento loro riservato fosse dovuto anche al fatto che, in questo paese, non c’erano più pescatori di professione.
Gli stagni che circondavano il paese, infatti, vennero bonificati negli anni ‘20 e, con essi, sparirono anche i pochi pescatori.
I nurachesi, poi, sono stati sempre bravi agricoltori e, direi, anche filo governativi, cioè rispettosi delle leggi e dei regolamenti.
Al riguardo, si diceva anche che i guardiani dello stagno,is tzaracus de Pontis, a Nurachi erano ricevuti benevolmente e che spesso venissero invitati al Bar o nelle cantine.
Ciò, invece, non avveniva a Riola o a Baratili, dove i pescatori erano numerosi e tutti in lotta contro questi guardiani e i loro padroni.

Testo di Giuseppe Mocci - tutti i diritti riservati

Editing G.Linzas 
Revisione dialetto B.Sulas

mercoledì 25 gennaio 2012

Còntusu: "SU ZIBULLAU" - di Giuseppe Mocci

Finita la grande guerra del 1915/18, Michei, già sergente in servizio permanete, era stato inviato in Libia, con il suo Reggimento, per consolidare l’occupazione Italiana della colonia d’oltremare.
Il suo reparto era accampato in pieno deserto, e qui egli fu protagonista di un episodio che gli permise di fare una buona carriera militare.
Un giorno, infatti, egli venne mandato (come comandante di squadra) di scorta al servizio trasporto mensa ad un piccolo reparto schierato a qualche chilometro dall'accampamento. 
Questo servizio era composto da un cuciniere e dal conducente un mulo, per il trasporto di due grandi marmitte contenenti il rancio dei soldati.


Durante il breve tragitto, lungo una polverosa pista nel deserto, il mulo procedeva avanti con ai lati il conducente ed il cuoco; Michei e la sua squadra seguivano dietro, a poca distanza.
Improvvisamente, si udirono degli spari e delle urla tremende: due ribelli libici si erano lanciati all'assalto del piccolo convoglio, creando scompiglio ed una gran confusione. 
Fu allora che il mulo, spaventato a morte, con un gran salto in alto, mandò a gambe all’aria i due ribelli, poi si dimenò e rovesciò tutto intorno il contenuto bollente delle marmitte.
Michei, coi suoi soldati, sciabola in mano, giunse immediatamente sul posto; la scena che videro fu raccapricciante. Stesi sulla sabbia, gravemente ustionati (le urla di dolore erano strazianti), c’erano il cuciniere, il conducente e i due ribelli libici; il mulo lo trovarono più avanti, steso sulla sabbia, agonizzante per le gravissime ustioni.
Rientrato nell’accampamento con i feriti (compresi i ribelli catturati)Michei fece un rapporto dell’accaduto. Dopo qualche giorno gli fu conferito un encomio solenne e fu proposto per la promozione al grado di maresciallo.
Promosso maresciallo, il nostro eroe venne trasferito in Eritrea, altra colonia italiana. Qui ebbe il comando di un plotone di àscari (soldati coloniali indigeni) montanti cammelli e fu addetto alla Polizia Coloniale; disponeva, inoltre, di alloggio di servizio e di un attendente àscaro.
In Eritrea, Michei trascorse una decina di anni felice e contento, senza mai incorrere in pericolo alcuno. Nel 1930 venne trasferito in Somalia, la terza colonia italiana, dove trascorse gli ultimi anni della sua carriera, con lo stesso incarico e i medesimi benefici.
Finalmente, nel 1934 fu congedato, per limiti di età, e fece ritorno in paese. Egli non si sposò mai. In Africa, invece, ebbe molte “spose” cambiandole spesso, perché così usavano i militari coloniali.
Michei, rientrato a Riola, ebbe la fortuna di vivere a lungo, sano e tranquillo.
Ricordo che, quando si parlava di lui, tutti lo chiamavano SU ZIBULLAU
Io, allora, ragazzino, non conoscevo il significato di questa parola; però avevo sentito che Michei se la passava bene e quindi attribuì a "Su Zibullau" il significato di uomo ricco.
A scuola, in quarta elementare, dovevo svolgere a casa il tema: Arti e mestieri dei Riolesi. Io feci un elenco di persone, alcune note per la ricchezza, altre per la loro professione; tra le persone ricche inclusi "Su Zibullau".
Mia nonna lesse il tema e, sorridendo, mi disse: 
Chi è questo "Zibullau"? A Riola ci sono almeno dieci zibullàusu!
Le risposi che non conoscevo il nome del mio "Zibullau", ma le dissi dove egli abitava. Mia nonna, riconosciuta la persona, esclamò: 
Cussu è Michei, s’Africãu; no est arriccu, ma si dda pàssada bẽi sa vida! 
Cussu maradittu pìgada sa paga dònnia mesi, chenz’e triballai. Esti ũ zibullau de su guvernu! 
Ella proseguì la lettura, attribuendo ad ogni personaggio da me indicato nel tema un aggettivo, oppure ne faceva una dettagliata descrizione. 
Io venni a sapere, allora, che a Riola c’erano pochi ricchi, alcuni benestanti, tra i quali i "zibullàusu", e molti poveri; c’erano anche alcuni che vivevano di elemosina. Per questi ultimi si diceva: 
Cussu no tẽidi manc’abba in sa brocca!

Nota:
Con il termine "zibullau" fino agli anni '30/40 del secolo scorso veniva indicato colui che godeva di una pensione o di un vitalizio. I titolari di pensione, all'epoca, erano in numero ridotto; si trattava, generalmente, di ex appartenenti alle forze armate in congedo.

Testo di Giuseppe Mocci - tutti i diritti riservati

Editing G.Linzas 
Revisione riolese  B. Sulas



mercoledì 18 gennaio 2012

Storia di un Riolese: Benigno “Il Mecenate” - di Giuseppe Mocci (2a parte)

Elio e Benigno lasciarono il Belgio, partendo da Bruxelles in treno. Arrivati a Parigi decisero di fermarsi in città per qualche giorno; la loro permanenza in questa bellissima città durò invece quasi due anni.
Essi furono subito attratti dalla bella vita; sembravano due parigini allegri e spensierati, completamente soggiogati dalle bellezze artistiche della città e dalla sua vita animata, così come lo furono Ulisse e compagni, ospiti della famosa maga Circe. 
A Parigi i due trovarono subito lavoro in un mulino ed anche un alloggio in un locale adiacente.

Benigno a Parigi nell'immediato dopoguerra, con i colleghi di lavoro

Una domenica d’aprile del 1947, mentre Benigno attendeva un’amica nel quartiere del Trocadéro, venne fermato da una donna di mezza età, con in mano uno strano mazzo di carte. Questa lo invitò a prendere una carta, con un sorriso ambiguo. Egli, curioso, ne prese subito una dal mazzo, la guardò e vide in essa un grande sole con una nuvola al centro.
La maga” (così la chiamò dopo Benigno) prese in mano la carta e chiese del denaro per leggergli il destino. Incuriosito ancora di più, le diede dieci franchi, cosicché la maga, con uno strano rito delle mani, incominciò la lettura:
Rientrerai presto nel tuo paese, farai una grande fortuna, ti sposerai con una ragazza molto più giovane di te, ti uccideranno il primogenito”.
Benigno rimase sconvolto dalla profezia e non disse nulla; si girò da tutte le parti per vedere se arrivava l’amica, poi si volse nuovamente verso la “Maga”: era sparita. 
Il nostro esule pensò, per consolarsi, che la donna aveva fatto quelle previsioni, forse perché le aveva dato soltanto dieci franchi. Arrivata finalmente l’amica, entrarono in un locale ma Benigno non sembrava più lui; infatti, consumato in fretta e furia il pranzo, salutò l’amica, incredula per questo strano comportamento. 
Rientrato nel suo alloggio, non salutò nessuno e si mise a letto; non riuscì a prendere sonno, il suo pensiero era sempre rivolto alla famiglia, a Riola. In paese, prima di partire per la guerra, aveva anche una ragazza, sua coetanea, che non corrispondeva quindi a quella descritta dalla “Maga”. 
Dopo mille pensieri, progetti e varie considerazioni, si alzò: aveva deciso di rientrare in famiglia e sposare la fidanzata riolese. Egli non si presentò in mulino, comunicò la sua irrevocabile decisione al suo caro amico e al datore di lavoro, che ringraziò con affettuosa riconoscenza. Elio cercò di dissuaderlo; ma, come al solito, prevalse la scelta di Benigno, del quale era stato sempre succube.
Il giorno dopo i due amici erano in treno diretti in Italia. A Firenze Elio, con grande slancio d’affetto, abbracciò l’amico e scese dal treno in lacrime; avrebbe voluto far conoscere l’amico e suo salvatore ai suoi. Sì, suo salvatore, perché senza la determinazione di Benigno sarebbe finito in un forno di Dachau. I due si rivedranno poi, per tanti anni, a Riola; anche Elio, infatti, veniva d’estate assieme alla famiglia Scheldman
Arrivato in paese, si verificò la prima previsione della maga parigina; la ragazza, che aveva platonicamente amato, come si usava a quei tempi, si era sposata. 
Il suo impegno, da quel momento, fu dedicato esclusivamente al lavoro, che riprese con grande dedizione e determinazione. Lavorò tanto, prima come allevatore e agricoltore, poi cambiò mestiere; fece l’autotrasportatore e si diede al commercio.
Egli fece fortuna e sposò una bella ragazza, molto più giovane di lui. Si realizzarono, così, due previsioni della maga. 
Benigno incrementò ancora la sua azienda; aprì bottega a Cabras e a Oristano. In questa città costruì un grande palazzo, che gli oristanesi chiamano “il Colosseo di via Sardegna”, proprio per la sua forma e grandezza. Acquistò una casa al mare, a Santa Caterina, per l’amatissima sorella Beatrice, molto religiosa e devota a Santa Caterina; costruì inoltre una grande villa, sempre al mare, a Torre del pozzo, per la sua famiglia. 
Il nostro imprenditore, va detto, pur avendo avuto sempre l’obiettivo di incrementare il suo patrimonio, non è stato mai avido di denaro. Egli, grazie alle sue attività, diede lavoro a tante persone. 

Festa di Sant'Anna anni '50

Benigno amava moltissimo la compagnia ed i festeggiamenti; era un buongustaio, un uomo di mondo!
Già dal suo ritorno a Riola, egli fece il Presidente del Comitato per i festeggiamenti di Sant’Anna e San Martino, per oltre dieci anni consecutivi. 
Trasferitosi ad Oristano, venne nominato Presidente di vari Comitati per i festeggiamenti di molti santi, in città e frazioni. Benigno veniva nominato Presidente, oltre che per le sue doti di eccellente organizzatore, anche per la sua grande generosità: pagava quasi tutto lui. 
Nel 1974 si avverò, purtroppo, anche l’ultima e tristissima previsione della maga parigina; maledetta strega! Al nostro Benigno rapirono il primogenito Luigi, che non fece mai ritorno. A questo tristissimo avvenimento, come si può capire, Benigno e la sua famiglia ebbero a soffrire della più grande sciagura che possa capitare ad un essere umano. 
Data la sua tempra, superò anche questa tristissima sciagura e continuò la sua vita col solito vigore, anche se (come poteva notare chi l’aveva frequentato e ben conosciuto) con un leggero e sofferto affievolimento, sotto tutti gli aspetti. 
Oggi mi piace ricordare l’amico Benigno, il vero Benigno dei tempi felici, Benigno il Mecenate. 
Come la domenica è giorno di riposo, il sabato per Benigno era giorno di festa. 

Benigno in festa con amici suonatori e cantanti 

Egli doveva festeggiare il sabato con i suoi collaboratori e gli amici vicini e lontani (aveva amici da per tutto).
Ricordo una grande festa presso la sua azienda agricola a pochi chilometri da Riola; era un sabato d’Estate inoltrata. Arrivarono un centinaio di amici da tutte le parti della Sardegna, quasi tutti famosi: chi per la poesia sarda, chi per il canto sardo e chi per la bravura nel suonare uno strumento musicale. 
Ricordo, in particolare, l’accoglienza al mio arrivo con un carissimo amico: Sandro Ladu. Questa la scena: appena varcato l’ingresso dell’azienda, ci vennero incontro due giovani donne in costume sardo; una aveva in mano un cestino pieno d’uova sode, l’altra una bottiglia di Vernaccia e un bicchiere; "le offerenti", le chiamai io. Poco distante c’era il padrone di casa, che si avvicinò a noi e con un sorriso smagliante ci salutò. Io, con un uovo in una mano e il bicchiere nell’altra proposi un brindisi e dissi:
Alla salute nostra e soprattutto al nostro mecenate, salute!
Continuai recitando la famosa frase latina: Ab ovo ad malum.
Benigno, non conoscendo il significato della frase, mi pregò di tradurla, dicendo:
Nara Zuseppi, no ast’essi pighendimì in ziru!
Io, subito gli diedi la seguente spiegazione:
Una volta, i ricchi e nobili romani usavano iniziare i suntuosi pranzi offrendo agli ospiti uova sode, come pure, alla fine, offrivano la frutta
Egli allora sorrise, felice; ci prese a braccetto e ci condusse a tavola, aggiungendo:
De frutta ze ndi tenèusu meda e bella! Ajò, andàusu!
Arrivati davanti alla casa, dove erano già arrivati tanti ospiti, ce li presentò; c’erano i più noti e apprezzati cantautori e cantanti in “limba” della Sardegna, e anche un gruppo folcloristico nuorese. A cena, seduti a una lunga tavolata, sotto gli ulivi, eravamo oltre cento persone.
Nel corso della serata si alternavano i canti, le poesie e le belle esibizioni del gruppo folcloristico. Durante uno dei tanti brindisi, accennai appena alla famosa festa della classe 1918, in sa ruga manna nel 1939, naturalmente per esaltare le sue doti. Al ché Benigno mi interruppe gentilmente, dicendomi in sardo:
Zuseppi lassa stai, fueddàusu de crasi!
Sollevando il bicchiere, risposi:
Bene! Brindiamo, augurando a Benigno sempre maggior successo, salute e lunga vita!
Seguirono al mio brindisi fragorosi applausi e auguri di a chent’annos.
La festa continuò fino al mattino successivo. Io, assonnato e un po’ brillo, alle due del mattino, col permesso del padrone di casa lasciai la bella comitiva.
Vi rimase invece l’amico Sandro Ladu, grande conoscitore della Musa sarda; mi riferirono dopo che anch’egli cantò in limba, riscuotendo grande successo.
Raggiunsi il parcheggio, dove trovai due giovanotti che mi misero nell’auto un bel pacco di dolci sardi, ringraziandomi, anche loro, per la partecipazione alla festa e augurandomi buon viaggio.

Testo a cura di Giuseppe mocci - Tutti i diritti riservati

Editing G.Linzas  - Fotografie  famiglia Daga

lunedì 16 gennaio 2012

Storia di un riolese: Benigno “Il Mecenate” - di Giuseppe Mocci (1a parte)

Benigno, classe 1918, non c’è più. Sono finite le feste. 
Durante l’estate di San Martino di questo infelice anno 2011 se ne è andato, quatto quatto, l’amico Benigno, “il Mecenate moderno”.
Lo hanno portato lontano dal suo paese natio, che tanto ha amato e glorificato. Cristianamente è stato seppellito accanto alla moglie, nel cimitero di Seneghe, come prestabilito. 
Io lo ricordo giovane, abile arruolato, con un grande e variopinto fazzoletto al collo, il giorno della festa dei giovani della leva, classe 1918, in Sa Ruga Manna a Riola. Suonava il famoso Efisio Luigi Mocci, virtuoso fisarmonicista.
Era uno spettacolo veramente interessante e bello; i giovani del ‘18 ballavano fra loro, cantando canzoni d’amore e inni di guerra. La gente, accorsa numerosa, fu coinvolta in quella straordinaria festa e, alla fine, tutti intonavano l’inno sardo “Deus Salvi su Re e su Regnu Sardu”, seguito dal doveroso grido fascista “Viva il Duce! Vinceremo! Eja, eja, alalà!”. 
Non rividi per oltre sei anni Benigno; sei anni di guerra, girovago per l’Europa, prima da combattente per il Duce, il Re e l’Italia, poi milite ignoto, combattente per la sua sola sopravvivenza.

Benigno Daga, militare ad Alessandria nel 1939-40

Per apprendere l’arte della guerra fu inviato a Alessandria, da dove lo spedirono in guerra in Albania.
Nel 1943, quando l’Italia fascista ormai sull’orlo della sconfitta firmò l’armistizio, Benigno, assieme a migliaia di soldati italiani, venne fatto prigioniero dai tedeschi e avviato in treno merci nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, dove subì l’umiliazione dei lavori forzati, soffrì la fame e conobbe la degradazione umana. 
A seguito di un meticoloso controllo dei suoi documenti, gli aguzzini scoprirono che Benigno aveva un secondo nome: Israele. Nome, questo, datogli alla nascita dal padre, uomo autodidatta ma in possesso di una buona cultura; soprattutto grande conoscitore del nuovo e vecchio testamento, degli antichi filosofi greci e della Divina Commedia (dicono che recitasse a memoria tutto il cantico dell’Inferno). Ispirato da Dante, infatti, egli diede il nome di Beatrice alla figlia; mentre gli altri figli li chiamò: Belisario, Benigno Israele, Nicodemo e Platone
Benigno Israele, quindi, fu considerato dai nazisti un ebreo, subito trattato brutalmente e trasferito nel campo di sterminio di Dachau, in Germania. 
Appena arrivato nel campo, venne messo in fila assieme agli altri prigionieri per il conteggio degli stessi da mandare ai forni (la tragica selezione). 
Quando il comandante tedesco, contando fino a dieci, si fermò davanti a Israele, con l’indice della mano puntato verso di lui, Benigno gridò: Sant’Anna mia bella!” e cadde immediatamente a terra svenuto. Svegliatosi, il nostro si trovò abbracciato da due compagni, che subito lo rincuorarono dicendogli:
Tu avevi visto male, i tedeschi hanno portato via quello che stava alla tua destra. Su, coraggio, andiamo in camerata!

Campo di concentramento di Dachau (foto wikipedia)

Il giorno dopo Benigno Israele venne baciato dalla Dea Fortuna, poiché fu assegnato alla mensa ufficiali, come panettiere. Ciò avvenne a seguito di uno strano interpello collettivo, nel cortile antistante alla camerata. Ai prigionieri schierati in fila, i nazisti chiesero se tra di loro ci fosse un panettiere. Israele alzò subito entrambe le mani e così venne assegnato alla mensa ufficiali. 
Egli, ricordandosi che a casa sua il pane si faceva settimanalmente, e che lui lo sapeva lavorare a dovere, si adoperò tanto in sala lavorazione e anche in altre incombenze. Si accattivò subito la simpatia e la fiducia dei suoi aguzzini. Incominciava molto presto la giornata: serviva il pane fresco a colazione, serviva con la massima cortesia e precisione il pranzo e la cena, rimetteva in ordine ogni cosa. 
Durante il tempo libero Benigno Israele poteva leggere e, soprattutto, studiare la carta geografica dell’Europa che si trovava appesa alla parete della sala da pranzo. 
Il nostro improvvisato panettiere, davanti alla carta geografica, puntava il suo sguardo alla Sardegna e, con le lacrime agli occhi, fermava la sua attenzione su Riola Sardo. 
Non passò molto tempo che, godendo sempre più della fiducia dei suoi custodi, riuscì miracolosamente ad evadere dal campo assieme ad un amico toscano di nome Elio
Avendo studiato nei minimi particolari la strada da percorrere, i due evasi si avviarono in direzione del Belgio, vestiti con abiti civili rubati ai tedeschi; camminavano solo di notte. 
Dopo qualche giorno, Benigno Israele ed Elio riuscirono a varcare il confine e si trovarono in Belgio. Raggianti di gioia e commossi i due si abbracciarono. Subito dopo si trovarono davanti ad una fattoria, recinta da una staccionata, scavalcata la quale, si trovarono davanti ad una stalla vuota; lì attesero l’alba. 
A mattino inoltrato Benigno vide un vecchio che, a fatica, stava radunando le numerose vacche per portarle alla mungitura. Senza nemmeno svegliare l’amico, gli si avvicinò e si presentò. Gli disse, in varie lingue, di essere un soldato italiano fuggito da Dachau e aggiunse di essere anche lui un allevatore di professione; poi, incoraggiato dall’atteggiamento benevolo del vecchio, gli rivelò di essere in compagnia di un altro italiano. Il vecchio, commosso, lo abbracciò e assieme andarono a svegliare Elio. Subito i due italiani aiutarono il vecchio a condurre il bestiame nella stalla per la mungitura.
 Il signor Scheldman, così si chiamava il vecchio, li presentò dopo in famiglia e i due divennero graditi e utili ospiti. Benigno ed Elio rimasero presso questa famiglia fino alla sconfitta della Germania, avvenuta nell’aprile del 1945.

Benigno, con la famiglia Scheldman

Essi trascorsero tutto questo tempo in piena armonia con la famiglia; si rivelarono, riconoscenti, un prezioso aiuto per la fattoria, perdurando la mancanza di manodopera a causa della guerra. 
Venuti a conoscenza della fine della guerra, i due decisero di rientrare in Italia. Il giorno della partenza, in casa Scheldman scese il silenzio; seguirono gli abbracci, le lacrime, i mille ringraziamenti e le promesse di un arrivederci a presto, da parte di tutti. 
Benigno ed Elio, con un generoso gruzzoletto di franchi francesi donati loro dalla famiglia belga, partirono per la Francia in treno. A dimostrazione del grande affetto e della riconoscenza verso gli Scheldman, Benigno, rientrato a Riola, negli anni a seguire li ospiterà in casa sua numerose volte e sempre d’estate, come di loro gradimento. Un bellissimo e raro esempio di umana riconoscenza.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

Editing G.Linzas - Foto fam. Daga

giovedì 12 gennaio 2012

RIOLA: Appunti sulla preistoria (ipotesi) e notiziole storiche - 3a parte


Un calpestio di pecore e d'armenti
d’indomiti cavalli e d’asinelli
focosi e belli;
un tintinnio d’agricoli strumenti
ferrei e lucenti.


SERVIZI E ISTITUZIONI

Servizio Idrico

Fino agli anni ‘20 del 1900 non esisteva l'acquedotto; i riolesi, come quasi tutti i sardi residenti nei piccoli Comuni privi di acquedotto, disponevano, allora, dei pozzi nei propri cortili per gli usi alimentari; mentre per gli altri usi attingevano l'acqua dal fiume, dove si usava anche lavare i panni.

Foto d'epoca - donne lavano i panni sul fiume

L'acquedotto venne costruito, grazie alla costituzione di un Consorzio tra i Comuni di Cabras, Riola, Nurachi, Baratili e Zeddiani, negli ultimi anni '20 del secolo scorso e inaugurato nei primi anni ‘30.
Riola allora disponeva di un solo deposito pensile che serviva anche il Comune di Baratili. Già dagli anni ‘40 la maggioranza delle famiglie disponeva dell'acqua corrente in casa, e negli anni ‘50 ne disponevano tutte le famiglie, per cui l’acquedotto si rivelò insufficiente; soprattutto un serbatoio pensile per due Comuni.
Nel 1958 si verificò una sorta di guerra fra i Sindaci dei due Comuni per l’utilizzazione di questo serbatoio. Iniziò il Sindaco di Baratili (o qualcuno per lui) col forzare il portone d’ingresso, sostituzione della serratura, e manipolazione degli impianti in  favore di Baratili; in pratica il Sindaco (o chi per lui) si era sostituto al fontaniere del Consorzio.
Naturalmente, l’acqua venne a mancare a Riola; il Sindaco recatosi a controllare il serbatoio scoprì la manipolazione dell’impianto in favore di Baratili e, così, scoppiò la guerra tra i due Sindaci che durò diversi mesi con il rischio di pericolose conseguenze, date le antiche controversie di campanile fra le due comunità.
Intervenne il Prefetto, informato dai Carabinieri, e la guerra cessò. La controversia fra i due Sindaci servì per accelerare la pratica per la costruzione di un nuovo acquedotto da parte dell’ESAF, ente costituito ad hoc proprio in quel periodo. Infatti, già nei primi anni ‘60 venne costruito il nuovo acquedotto e Riola ebbe un serbatoio tutto suo, quello che si trova, ora, in via Matteotti.
Fino a pochi anni fa il Comune era servito da otto fontanelle pubbliche: tre in via Umberto I (una di fronte al Municipio, la seconda in Piazza di Chiesa e la terza nella piazzetta al bivio per via Regina Elena); una in via Sant’Anna, angolo via Trieste; una in via La Marmora; una in via Marconi; un'altra in via Garibaldi (sa ruga manna) e, l’ottava, in via Roma.
Contemporaneamente alla prima rete idrica venne costruito un lavatoio pubblico, ancora esistente, in via Umberto I; edificio destinato ora a biblioteca comunale.
Furono costruiti anche due abbeveratoi pubblici per il bestiame: uno in via Umberto I, all'uscita del paese in direzione Nurachi, sulla destra (in corrispondenza dell’abitazione della famiglia di Aldino Camedda; oggi praticamente al centro del paese); l'altro in via Roma, all'uscita per Baratili, a destra. Ne esisteva un terzo, all'uscita nord del paese (direzione Cuglieri), posizionato sulla sinistra prima del ponte, dove ora c'è lo spartitraffico per Cabras; questo era alimentato da una sorgente artesiana, chiamataFuntana Romana, perché costruita dai romani di presidio al ponte.


Servizio scolastico

Come in tutti i Comuni del Regno di Sardegna, con la legge Casati del 1859, venne istituita anche a Riola la Scuola primaria obbligatoria relativamente al corso inferiore (due classi) e a spese del medesimo Comune.
In seguito, con la legge Coppino del 1877, venne istituito il corso superiore biennale nei centri maggiori e la sua frequenza non era obbligatoria.
Con la legge Credaro del 1911 le spese per l'istruzione primaria passarono allo Stato.
Anche a Riola venne istituito il corso superiore, anche se poco frequentato.
Con la legge Gentile del 1923 l'istruzione primaria (elementare) divenne quinquennale con due cicli, il primo di due anni e il secondo di tre; mentre la frequenza obbligatoria venne portata a quattordici anni.
Fino ai primi anni ‘30 del secolo scorso frequentavano il secondo ciclo (IV e V) delle scuole elementari di Riola anche gli alunni di Nurachi e Baratili.

Foto d'epoca - classe delle elmentari -anni '20

Negli anni '30 venne costruito il nuovo caseggiato delle Scuole elementari, un fabbricato monumentale con sei ampie aule, locali per uffici e servizi igienici allora modernissimi; venne inaugurato nel 1936.
Con le leggi 459 del 1945 e 503 del 1955 l’istruzione primaria subì una nuova trasformazione: la creazione di un terzo ciclo sperimentale (VI, VII e VIII classe), portando così l’obbligo scolastico da cinque a otto anni. Dopo alcuni anni di sperimentazioni, nel 1962, con la legge n. 1859, si istituì la scuola media unica obbligatoria di tre anni, in sostituzione del terzo ciclo sperimentale della scuola primaria e delle Scuole di Avviamento, in tutti i Comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti o in Comuni consorziati per raggiungere tale limite. Da questo periodo, la scuola media unica completa quindi l'Istruzione primaria, portando la frequenza obbligatoria fino al sedicesimo anno.
Nel 1963 il Comune di Riola invitò i Comuni limitrofi di Nurachi e Baratili a costituire insieme il Consorzio per l'istituzione della Scuola Media. Accettò l'invito solo il Comune di Nurachi, con il quale si costituirà il Consorzio. Subito dopo venne istituita, a Riola, una sezione staccata della Scuola Media unificata di Cabras, con sede presso i locali del vecchio Municipio.
Nell'anno scolastico successivo alla nascita del Consorzio venne istituita la Scuola Media Unica con sede a Riola e due sezioni staccate: a Baratili e Nurachi, sempre dipendenti dalla Scuola di Riola.
La scuola venne sistemata, oltre che nei locali del vecchio Municipio, anche in altri locali privati, in attesa del finanziamento per la costruzione del suo caseggiato, il cui progetto venne presentato subito dopo la sua istituzione.
Oggi, detta Scuola ha il suo bel caseggiato con una grande palestra, con ingresso da via Roma, subito dopo il monumentale caseggiato delle Scuole Elementari (la nuova scuola media fu inaugurata nell'anno scolastico 1980-81).
Alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso venne istituita anche la Scuola Materna, o Asilo infantile, come si chiamava allora.
A Riola non c’era mai stato un Asilo; ricordo che, negli anni trenta e quaranta, qualche bambino riolese frequentava quello di Baratili, retto molto bene da Suore;forse uno dei pochi Asili Infantili allora esistenti nei piccoli Comuni della Sardegna.
  
Sorride in cielo eterna primavera
sulla campagna tutta sfavillante;
e il sol costante
brilla giocondo sulla terra austera
di stirpe fiera
                                                                                           
  Servizio postale

Nel 1872 venne istituito a Riola un primo servizio postale a spese dei Comuni di Riola, di Baratili e di Nurachi; dai medesimi veniva nominato l’incaricato per raccogliere la posta dai tre Comuni e portarla all’Ufficio postale di Oristano.
Nel 1885 Riola divenne sede di una Collatoria di 1a classe; nel 1910, finalmente, divenne sede di Ufficio postale e serviva anche i Comuni limitrofi di Baratili e di Nurachi.
Il primo Ufficio fu aperto in via Umberto I, di fronte alla Chiesa, e aveva l’insegna Poste e Telegrafo, perché allora si faceva molto uso dei telegrammi. Il suo primo titolare è stato un riolese, chiamato Billiãu.
Oggi l’ufficio postale è ubicato in Piazza Europa (dopo aver avuto varie sedi, tra cui in via Umberto I e via Roma).


Ufficio di pubblica sicurezza

Dalla costituzione del Regno d’Italia, la pubblica sicurezza veniva curata dall’Arma dei Reali Carabinieri, che erano presenti in tutti i grossi Comuni. Col passare degli anni i carabinieri sono presenti in quasi tutti i Comuni d’Italia. Inizialmente i Carabinieri erano dei militari a cavallo armati di carabina, dalla quale presero il nome.
La Caserma dei Carabinieri venne aperta a Riola all’inizio del secolo scorso, intorno al 1910, in via Roma, dove è rimasta fino agli anni sessanta. Da qui si è trasferita in via Sant’Anna e, qualche anno dopo (previo un breve periodo in via Puccio Carta, angolo via Regina Elena), in Piazza Europa nella nuova sede; essa è sistemata in un grande locale, funzionale e dotato di automezzi.
I Carabinieri di Riola assicurano la pubblica sicurezza anche ai Comuni limitrofi di Baratili e Nurachi. Inizialmente la sicurezza pubblica a Riola e paesi vicini veniva assicurata dai Carabinieri a cavallo della Caserma di Cabras.


 Rifiuti solidi urbani - “S’àbiga”

Fino agli anni sessanta del secolo scorso, come in tutti i piccoli Comuni della Sardegna, i rifiuti solidi urbani venivano conservati in casa, in un angolo del cortile, anche per mesi.
Quando la quantità dei rifiuti diventava ingombrante, allora, si provvedeva a trasportarli nei terreni di proprietà per essere usati come fertilizzanti. Molte famiglie, però, non disponendo di un mezzo di trasporto, li buttavano negli immondezzai abusivi, i muntrõàzzusu, che si trovavano numerosi nelle periferie del paese.
Il Comune emanava al riguardo ordinanze su ordinanze di divieto di scarico, ordinanze che rimanevano sempre inascoltate, cosicché l’Ente pubblico doveva spendere continuamente per eliminare un così brutto e incivile fenomeno.
Il Comune di Riola, allora, non disponeva di un vigile urbano, né di uno stradino, andato in pensione da anni. Il vigile urbano era stato licenziato per riduzione del personale. Al riguardo, i bene informati dicevano che questo licenziamento fosse la vendetta di un Assessore che aveva preso, qualche anno prima, da semplice cittadino, una contravvenzione da quel vigile.
Nel 1960 il Comune, ridimensionata la sua pianta organica, poté finalmente disporre nuovamente di un vigile e di un cantoniere. Con la fattiva collaborazione di questi due dipendenti e dell’Arma dei carabinieri il Comune riuscì a far rispettare le sue ordinanze, fra le quali quelle riguardanti il divieto di transito del bestiame lungo le vie del paese, il divieto di tenere in casa greggi e mandrie ed il divieto di scaricare rifiuti solidi urbani nei vari immondezzai abusivi nella periferia del paese.
Fu istituito, inoltre, il servizio pubblico di raccolta a domicilio dei rifiuti solidi urbani, con una carretta, così come si faceva allora solo a Oristano. L’incaricato del servizio era il sig. Efisio Daga, (Tziu Èffisi), sempre puntuale ed efficiente.   


 I confini (con Cabras) e il patrimonio terriero

Nel dopoguerra, il confine con il limitrofo Comune di Cabras era stato modificato arbitrariamente da qualcuno, in favore dello stesso Comune di Cabras.
La modifica più evidente riguardava le località di “Benas de Marchi” e “Cuccuru Mannu”, dove pascolavano, abusivamente, centinaia di capre, appartenenti ad allevatori di Cabras.
Nel 1960 il Comune di Riola, nominata una commissione per la ricognizione del suo patrimonio terriero, ripristinò, nel giro di un anno, i confini originari col Comune di Cabras e con i proprietari dello Stagno “Mare ‘e Pontis”, cioè lo stagno di Cabras. Con questi ultimi, si arrivò ad un accordo extra-giudiziario, che prevedeva il riconoscimento della proprietà del Comune di tutte le paludi inglobate nello stagno, per centinaia di ettari; non solo, ma i medesimi proprietari si impegnarono a pagare un canone annuale di affitto di £ 3.000.000, dalla firma del medesimo accordo.
Riscattati i terreni di “Benas de Marchi” e “Cuccuru Mannu”, per complessivi ettari 200, il Comune subito dopo provvide a lottizzarli, assegnandoli a decine di coltivatori diretti. Purtroppo, dopo appena due o tre anni, quasi tutti i lotti furono abbandonati.
Nel 1964 si conclusero i lavori di bonifica delle paludi di “Mare ‘e Foghe”, cosicché il Comune, qualche anno dopo, predispose un piano di utilizzazione di questi terreni. Ma, data l’esperienza negativa del piano di lottizzazione di Benas de Marchi/Cuccuru Mannu degli anni precedenti, questa volta il Comune fece predisporre due soli lotti, che vennero assegnati, come è noto, a due imprenditori della zona. Un lotto, quello più grande, ha dato ottimi risultati; infatti, nell’azienda che vi è stata realizzata hanno trovato occupazione una decina di operai fissi e qualche decina di stagionali; non solo, ma il Comune ha sempre incassato un congruo canone d’affitto. L’altro lotto invece non ha dato grandi risultati, perché dopo qualche anno morì l’affittuario; gli eredi lo abbandonarono o lo subaffittarono.


Il Monte Granatico (o Frumentari)

Il Monte Granatico era una vera e propria Banca del Grano.
Essi vennero istituiti per prestare il grano da semina agli agricoltori poveri  con l’obbligo della restituzione dopo il raccolto. Lo scopo della loro istituzione era quello di arginare la piaga dell’usura a danno degli agricoltori poveri e assicurare loro il grano e l’orzo  necessari per la semina. 
Il più antico in Italia è quello di Foligno, risalente al 1488 e si chiamava “Mous Frumentario”.
In Sardegna  furono istituiti e funzionanti intorno agli anni 1637/40 dal vescovo di Ales. Già nel 1767 i Monti Frumentari nell’Isola era centinaia e vennero riorganizzati e amministrati, localmente, dal clero. L’amministrazione centrale  venne affidata ad una giunta generale, presieduta dal  Viceré. Facevano  parte della giunta  i rappresentanti dei tre Stamenti, un segretario incaricato del controllo dei Monti e dell’esecuzione  delle decisioni della giunta. Nel 1851 in Sardegna operavano trecentosessanta Monti.
Accanto ai Monti Granatici furono istituiti i “Monti Nummari”, cioè delle banche  che dovevano prestare ai contadini poveri il denaro, a eque condizioni, per l’acquisto di animali e strumenti di lavoro.
Nel 1927 i Monti vennero trasformati in “Casse Comunali di Credito Agrario"; nel 1953 le Casse Comunali vennero assorbite dal Banco di Sardegna.

Edificio ex Monte Granatico

Anche Riola ebbe il suo monte granatico,  fin dal 1761, e operò  fino al 1927. La sua sede  era ubicata in via Depetris, angolo via Regina Giovanna.  In questa medesima sede hanno operato anche  “La Cassa Comunale” prima e dopo il Banco di Sardegna; quest’ultima trasferitasi recentemente in Corso Umberto I.
Naturalmente ora è il Banco di Sardegna che eroga i prestiti agli agricoltori, generalmente a tasso agevolato sulla base di leggi regionali e/o nazionali.


Illuminazione pubblica

Riola, ad eccezione di Oristano, è stato il primo Comune dell’attuale provincia a rinnovare l’impianto di illuminazione pubblica. Nel 1960 l’impianto era costituito da pali in legno o supporti metallici sui muri, che reggevano un porta lampada fatto da un semplice piatto di latta con al centro una lampadina. In seguito, nel 1961, fu realizzato il primo lotto di illuminazione al neon, con eleganti pali metallici che reggevano delle belle lampade lungo le due vie principali: Via Roma e Via Umberto I. Seguirono poi gli altri lotti, che consentirono di completare uno dei primi impianti moderni di illuminazione pubblica, di cui ancora oggi Riola gode.


E dal placido mar che lungi tace
spira una fresca serotina brezza
come carezza;
regna sul borgo che solenne giace
amore e pace


Campo sportivo

Nel 1963/64 furono completati i lavori di bonifica di “Mare ‘e Foghe” e il Comune poté così utilizzare tutti i terreni di sua proprietà nel comprensorio bonificato.
Fra questi terreni, quello più vicino al paese e idoneo per la costruzione di un campo sportivo era quello prima del ponte sulla destra, denominato “Sa cottighedda”. Il Comune, perciò, deliberò in tal senso e realizzò un campo regolamentare di calcio, con locali spogliatoi e una semplice recinzione. Al riguardo si evidenzia che il paese non disponeva di un campo di calcio vero e proprio; per tanti anni la squadra locale si allenava e giocava le sue partite in campi improvvisati, generalmente nelle aie e, spesso, solo d’estate.

Foto d'epoca - formazione calcistica Landini Riola

L’impianto sportivo, parecchi anni dopo, è stato ingrandito e dotato di un campo di tennis e di uno di palla canestro. In seguito, è stata sistemata anche l’area antistante il campo sportivo, fino alla strada e lungo un tratto del fiume, con l’impianto di un bel prato verde e l’innalzamento di due collinette, riproducenti quelle famose del Sinis, “Monte ‘e Palla” e “Monte ‘e Trigu”, che da sempre costituiscono il simbolo specifico della comunità agricola-pastorale di Riola.
Oggi, questa bella area, dotata anche di un punto di ristoro (Ristorante-Pizzeria), è molto frequentata. Essa merita veramente una visita e costituisce il fiore all’occhiello della Comunità.


Il Mercato Civico

Negli anni ’60 fu realizzato il Mercato Civico in via La Marmora; istituzione utilissima sotto gli aspetti igienici e sanitari. Fino ad allora, infatti, a Riola, come in tutti i piccoli Comuni, si usava comprare i pesci dai pescivendoli ambulanti, quasi sempre sprovvisti delle necessarie autorizzazioni sanitarie. Con l’apertura del Mercato, sotto il controllo giornaliero delle autorità igienico-sanitarie, cessarono gli antichi e antigienici costumi, spesso causa di infezioni e malattie.


Il nuovo Municipio

Sede del nuovo Municipio

Il Nuovo Municipio venne costruito all'inizio degli anni '70 in via Umberto I, essendo ormai insufficiente il vecchio edificio di via Roma, che ospitava anche parte delle locali Scuole Medie. Forse, oggi, anche questi locali sono diventati insufficienti, dato il grande sviluppo che hanno assunto i nuovi servizi delegati dalla Regione Autonoma della Sardegna ai Comuni.


Il Sevizio igienico sanitario 

Questo servizio, praticamente, venne istituito in tutti i Comuni (a loro spese) dopo la prima guerra mondiale, negli anni ‘20. Il servizio comprendeva il medico, il veterinario e l’ostetrica.
I piccoli Comuni furono accorpati in Consorzi Sanitari. Anche Riola venne dotato di un Servizio Medico Sanitario consortile, che comprendeva un medico e l'ostetrica. A capo del consorzio,  di cui facevano parte anche i Comuni di Baratili e Nurachi, era preposto lo stesso comune di Riola, che organizzava, gestiva e anticipava le spese. 
Per quanto riguarda il servizio veterinario, fu istituito un altro Consorzio a cui appartenevano i Comuni di Cabras, Nurachi, Riola e Baratili (il comune di Cabras era capo consorzio). Il primo veterinario è stato un certo Dottor Cubeddu.
A Riola l’ambulatorio comunale si trovava in una ampia sala del Municipio vecchio, a piano terra, in via Roma 1;  Il primo medico condotto è stato un certo Dottor Rampini
In seguito, venne realizzato un piccolo ambulatorio vicino al Lavatoio comunale, che presto divenne inagibile a causa del terreno di sedime ed abbattuto.
Nel 1974 venne costruito il nuovo Ambulatorio Comunale, con ampio parcheggio, in via Petrarca.  
L’ostetrica non aveva sede ufficiale, perché operava nella casa della partoriente. La prima ostetrica è stata la Signora Maria Brau, continentale.
Prima dell’arrivo della levatrice, a Riola, come in tutti i piccoli Comuni, operava in Sardegna “Sa Maista 'e Pàttusu”. L’ultima, a Riola è stata la signora Sias (mi pare Anna). La chiamavano “Sa Maista” perché, allora, essa era considerata una professionista. Tutti i professionisti si chiamavano “Su Maistu”; maistu 'e pànnusu il sarto; maistu e linna, il falegname; ecc.ecc.
"Sa Maista 'e pàttusu" di Riola continuò, vita natural durante, la sua attività, ma come collaboratrice dell’ostetrica.
Con la Riforma sanitaria della L. n.833 del 1978, i predetti servizi ed altri attinenti le varie specialità vengono svolti dal S.S.L. (Servizio Sanitario Locale), a spese dello Stato (Regioni).
A Riola l’ultimo Medico condotto (svolgeva, allora, anche la funzione di Ufficiale sanitario) è stato la Dott.ssa Michela Orioni Zoncu, che divenne automaticamente Medico di famiglia; l’incarico di Ufficiale sanitario fu assegnato al Dott. Armando Zoncu, perché con la predetta riforma l’Ufficiale sanitario si interessa solo dell’Igiene pubblica e di quant’altro attinente nell’ambito del Comune.
In Sardegna ci sono otto A.S.L. (Aziende Sanitarie Locali) che si dividono in U.S.L. (Unità Sanitarie Locali); ogni ASL è dotata di una o più Unità Ospedaliere (U.O.). Il Comune di Riola fa parte dell’ASL n. 5, U.S.L. e U.O. di ORISTANO.

  
Il Cinema

Nel 1950 fu realizzata in via Umberto I una sala cinematografica, con 200 posti a sedere; veniva aperta il sabato, la domenica e negli altri giorni festivi. Nell’angusta sala venivano proiettati film di tutti i generi; i frequentatori non erano molti.
Il Cinema rimase aperto per una decina di anni. Con l’avvento della Televisione, come in tutti i piccoli Comuni, questo è stato chiuso e trasformato in locale Bar: il Bar “Sa Barritta” di via Umberto I (l’attuale sala giochi del Bar, negli anni ’70, è stata utilizzata anche come discoteca).


Comunità civile

Oggi Riola Sardo, pur essendo una piccola comunità, offre tutte le possibilità di una vita regolare, sana e operosa, perché dispone di tutte le istituzioni civili e religiose, di vie e piazze ben sistemate, di una buona rete commerciale. Il paese è poi vicino ad una città, Oristano, alla quale è collegata da un efficiente servizio pubblico di trasporto.
Riola dispone inoltre di un Albergo, di alcuni B & B e di una decina di Agriturismi, dislocati nelle vicine verdi campagne. Non solo, ma già alcuni forestieri vi hanno acquistato casa per le vacanze estive, data anche la vicinanza alle tante bellissime spiagge del Sinis.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - tutti i diritti riservati.


(i versi sono tratti dalla poesia "Il mio villaggio" di E. Zoncu)

lunedì 9 gennaio 2012

RIOLA: Appunti sulla preistoria (ipotesi) e notiziole storiche - 2a parte


Per i sentieri scoscesi e malandati
sciami di passerotti svolazzanti
e cinguettanti;
un tramestìo di villici abbronzati,
affaccendati.


Il Comune di Riola Sardo conta, secondo le ultime rilevazioni statistiche, 2.163 abitanti (1.096 M e 1067 F) su un territorio di Kmq.  48,23. Il paese sorge ai bordi meridionali dello stagno di "Mar e’ Foghe", ora completamente prosciugato in seguito alla bonifica.
Da Nord-Est a Ovest, scorreva, una volta, il Rio Mannu, le cui acque scendevano dal Montiferru, versante Santulussurgiu-Milis-Tramatza-Zeddiani. Oggi esse scorrono lungo un canale artificiale, di marea, largo 70 metri e lungo 8 Km, da Zeddiani a Riola-stagno di Cabras-Golfo di Oristano.

veduta aerea di Riola

Fino al 1933, il Comune si chiamava semplicemente RIOLA, “dal latino areola e sardo argiòla-aia”. Per altri, dal vecchio toponimo Arriora, che significa lungo il rio, fiume, Riola.
“Come abbiamo già visto, il territorio in cui sorse il villaggio, fu abitato densamente fin dall’età fenicia, in quanto era di pertinenza del centro di Tharros”. Nel periodo medioevale-giudicale (740/1410) “appartenne alla Curatoria del Campidano Maggiore o di Cabras”.
Nel 1388 i rappresentanti di Riola (Arriora) parteciparono alla stipula del trattato di pace tra Eleonora d’Arborea e il re d’Aragona; trattato firmato a Cagliari. Dal 1410, dopo la fine del Giudicato di Arborea, Riola divenne una villa del Regno d’Aragona di Sardegna e incluso nel Marchesato di Oristano, il cui titolo lo assunse direttamente il re d’Aragona.
Durante i numerosi attacchi dei mori del secolo XVI, pare che il villaggio si sia salvato da questo triste flagello, grazie al suo ponte su "Mare 'e Foghe".

Come già visto, nel 1720 la Sardegna venne assegnata al Conte Vittorio Amedeo II di Savoia, che divenne re di Sardegna e Piemonte. Riola, già appartenente al Marchesato di Oristano, divenne automaticamente villa del Regno di Sardegna e inclusa nel Marchesato di Arcais.
Da allora i riolesi dovettero pagare i gravosi tributi feudali al nuovo Marchese Damiano Nurra, poi al suo successore Francesco Flores d’Arcais. Questi gravosi tributi furono contestati più volte dagli abitanti delle Ville e, nel 1838, vennero finalmente aboliti dietro pagamento da parte dei Comuni di una grossa somma di denaro come riscatto.
Agli inizi degli anni '20 del secolo scorso una piccola porzione del territorio di Riola, a sud del paese, venne assegnata al Comune di Baratili, pare a causa di una rissa scoppiata durante la festa di San Pietro. Si dice che durante la festa un riolese abbia gridato: Ajò! Ajò! ca sa festa esti de Arriora!”, perché sapeva che la chiesa sorgeva, allora, in territorio di Riola. Si dice anche che la rissa durò a lungo con feriti da entrambe le parti.
Per evitare che si ripetessero simili pericolose turbative, le autorità competenti avrebbero proceduto ad assegnare al comune di Baratili il territorio dove sorge la chiesa e poco oltre.
Nel 1927 “a Riola vennero aggregati, come frazioni, i soppressi Comuni di Baratili e Nurachi, che diventeranno nuovamente autonomi nel 1945
Nel 1933 “a Riola fu attribuita la denominazione di Riola Sardo
Nel 1974 un’altra piccola zona del suo territorio fu staccata per essere aggregata al Comune di Baratili. Questo avvenne per soddisfare le giuste richieste di alcuni riolesi che avevano costruito casa in quella zona e a fianco delle ultime case baratilesi. Questi riolesi reclamavano la concessione dell’allaccio all’acquedotto, ma il Comune di Baratili respingeva la richiesta, perché non aveva competenza.  Il Comune di Riola, sul cui territorio erano sorte le case, non aveva la possibilità di spendere una somma eccessiva, data la notevole distanza dal suo acquedotto. 
Con la costituzione della Provincia di Oristano, nel 1974, il paese è entrato a far parte della nuova aggregazione”.
Oggi a Riola Sardo c’è una sola chiesa aperta al culto, dedicata a San Martino, suo patrono, a Sant’Anna e Sant’Andrea di Funtana Romana (il vecchio pozzo artesiano, demolito negli anni sessanta del secolo scorso, si trovava vicinissimo al ponte); essa venne costruita nel corso del XVIII secolo, con annessa torre campanaria e cupola a cipolla rivestita con lastre di ceramica colorate.

“In età medievale e fino alla fine del 1700, a Riola vi era la chiesa di Santa Corona detta de Rivora, che intorno al 1100 era annessa a un ospedale dei Templari per i viandanti che percorrevano la strada tra Othoca e Cornus.
Nel 1199 la chiesa passò ai Camaldolesi di Bonarcado, che la dedicarono a Santa Corona (venne poi ricostruita tra il XIV e XV secolo, sulla struttura originale dell’XI secolo)".
La chiesa di Santa Corona e l'area di pertinenza, nell'800 e fino alla seconda metà degli anni '30 del secolo scorso, furono utilizzati come cimitero (su campusantu 'ezzu); seguirono poi  lunghi anni di abbandono e degrado.

Foto d'epoca: Chiesa di Santa Corona anni '70

Nel 1980 i professori Pau e Zucca, scrivevano: “Oggi questa antica chiesa è fatiscente. Resta qualche tratto di muro laterale a destra dell’aula, resta un tratto della volta a botte del presbiterio, restano due cappelle sul lato destro. In origine l’aula aveva tre navate”. 
Attualmente la chiesa è interessata da lavori di contenimento e restauro che dovrebbero completarsi a breve termine.
Il Santo Patrono di Riola è San Martino e si festeggia l'undici (11) Novembre, in forma religiosa e senza una grande organizzazione laica: niente fuochi artificiali, balli e canti, come per Sant’Anna.
San Martino viene festeggiato, in pompa magna, con comitato organizzatore laico, assieme a Sant'Anna.  Il 26 Luglio Sant'Anna e  il 27 Luglio San Martino.
Il motivo dei grandi festeggiamenti in onore di questi santi a Luglio è, senz'altro, di natura economica; infatti, in questo mese si conclude la raccolta dei cereali che i riolesi hanno sempre coltivato abbondantemente per secoli (si veda anche lo stemma del Comune). Quindi maggiori possibilità economiche. Al riguardo si riporta il famoso proverbio narboliese: Pròtzada o no pròtzada, trigu fàidi ĩ Arriora.
Il comitato organizzatore ottiene sempre sostanziose donazioni in denaro (in passato, anche in cereali). Le feste religiose vengono organizzate dal Parroco con la collaborazione, sempre fattiva, delle Prioresse, una per ogni Santo.
La festa di San Martino dell’undici Novembre viene legata alla tradizionale e abbondante libagione di vino nuovo nelle numerose cantine. “Po Santu Matĩu, stuppa bĩu”, dice un vecchio proverbio riolese. Praticamente questa festa novembrina è stata sempre considerata dai laici la festa degli ubriaconi. Una volta e, ancora oggi, si usa mettere delle canne fresche sulle porte d'ingresso dei più noti bevitori (molte o poche, secondo il grado di libagione del padrone). Mentre i coltivatori, che mettevano in vendita il loro vino di proprietà, usavano mettere un ramo d'alloro di fianco al loro ingresso.
Si dice anche che, fino agli anni ‘20 del secolo scorso, nel giorno di San Martino, si festeggiassero anche i cornuti. La festa consisteva in una specie di processione di ubriachi, o finti tali, che si fermava davanti alla porta d’ingresso del cornuto noto o sospettato e tutti cantavano la canzone, il cui ritornello era: “Occannu puru pobidda mia m’adi pigau po crabatori, trallallera e trallallà!”.
La festa di Sant’Anna per i riolesi era (e penso ancora lo sia) la cosa più importante al mondo. Data la maggiore disponibilità economica già detta, i riolesi potevano comprare il vestito nuovo e quant’altro occorrente per la persona e la casa; i medesimi potevano, numerosi, far parte del Comitato organizzatore per la festa, donando un contributo elevato per poter godere una buona Arroda (fuochi artificiali). “S’arroda” doveva essere migliore di quella di Santa Maria di Cabras, che si svolge nel mese di Maggio, quindi, prima.  
In merito alla festa di Sant’Anna, famosa è rimasta la risposta di un riolese ad un cabrarese che gli chiedeva notizie sulla festa di Sant’Anna: E occannu, festa bella éisi fattu po Sant’Anna?. La pronta risposta del riolese fu: Fogu, fogu tiau!.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati.

Editing G.Linzas


(versi tratti dalla poesia "Il mio villaggio" di E. Zoncu)