giovedì 28 aprile 2011

RIOLA, LE TAPPE DELLA STORIA - Sintesi della preistoria e della storia di Riola - a cura di Giuseppe Mocci

LA PREISTORIA

Tutto quello che sappiamo dei tempi più remoti, a partire  dal periodo Paleolitico (450/120.000 a.C.) al Neolitico (4.500/2.500 a.C.),“ ci è fornito oltre che dalla dimora dei vivi e da quella dei morti, dai loro manufatti, rinvenuti in gran numero” (R. Carta Raspi).
Cioè dalle capanne, dalle tombe, dagli utensili in osso, in selce e in ossidiana, dalle armi (punte di lancia e di freccia), dalle gigantesche statue in pietra di Mont'e Prama, dai bronzetti, dalle tavolette di Tzricottu, ecc.
Su questo sono concordi tutti gli storici, archeologi, antropologi e studiosi di materie affini. 
Il territorio in cui è sorto il paese di Riola, il Sinis e dintorni, è stato abitato sicuramente fin dalle prime apparizioni dell'uomo in Sardegna.
Fino al 1979 gli storici, gli archeologi e gli antropologi erano convinti che l'uomo fosse comparso nell'isola solo tra i 10.000 e i 4.500 a.C.
Dopo il ritrovamento, nel 1979, lungo le rive del Rio Altana di Perfugas, di centinaia di strumenti in selce realizzati secondo la tecnica “clactoniana”, si è ipotizzato che l’uomo sia comparso in Sardegna, invece, tra i 450.000 e i 120.000 anni a.C. nel Paleolitico Inferiore (Prof. G.Tanda).
Nella penisola del Sinis  è stata individuata una zona  densamente abitata nel periodo Neolitico (circa 4500 a.C.), documentata dalla numerosa serie di villaggi di capanne (Cuccuru is Arrius, Conca Illonis, Serra e Siddu  tutti nel territorio di Cabras; Ludosu, Isca Maiore, Prei Madau, Monte Palla in territorio di Riola; Sal'e Porcus e Costa Atzori  in comune di S.Vero Milis) e da alcune necropoli a domus de janas (Serra is Araus, Putzu Idu, Sa Rocca Tunda - S.Vero Milis -; Is Aruttas -Cabras-).
“In tali centri l’attività economica principale è quella della cerealicoltura, affiancata dall’allevamento, dall’attività venatoria e piscatoria oltrechè da produzioni artigianali (ceramica, utensili in ossidiana, etc)” (Prof. R. Zucca).
Nel  medesimo territorio, abbondano i monumenti megalitici: i Nuraghi (casa del capo tribù/ fortezza/luogo di Culto/ altro?).
Secondo il prof. G. Lilliu la civiltà nuragica si sviluppò in cinque fasi, dal 1800 al 238 a.C.
“Nel Sinis si enumerano circa 130 nuraghi, costituenti una delle maggiori densità di tali monumenti dell’isola” (Prof. R. Zucca).
Intorno all’anno 1000 a.C. arrivarono dall’oriente i Fenici, che costruirono in Sardegna numerose città marittime: Karale, Nora, Monte Sirai, Tharros, Othoca, Cornus, per citarne alcune.
Nel territorio del Sinis, o limitrofo, sorsero le città fenice di Tharros, Othoca e Cornus.
Naturalmente, tutto quanto sopra evidenziato,  non è supportato da  documenti scritti; almeno fino all’850 a.C., quando i Fenici parlano della Sardegna, in lingua orientale (fenicio/greco); così come si evince dalla famosa “Stele”, ritrovata  a Nora della quale prende il nome.
Da questo momento finisce la Preistoria ed ha inizio la Storia.

LA STORIA

fotografia di Riola tratta dal libro "Zenti Arrioresa" di Nello Zoncu

Il più autorevole storico a scrivere della Sardegna è Tito Livio, nel I secolo d.C.
Egli ci fa sapere che dopo i Fenici (famosi ed abili mercanti, amici interessati dei Sardi), arrivarono i cartaginesi (i Punici) che dominarono l’Isola dal 509 al 215 a.C.
Sempre da Tito Livio sappiamo che Roma sconfisse i sardo-punici nel 215 a.C. in due famose battaglie, combattute una nel cagliaritano e la seconda nell’oristanese.
Una delle battaglie, combattute dai romani contro i sardo/punici (i punici dopo tre secoli di dominazione si erano ormai integrati con i sardi), pare che si sia svolta in una località ricadente, oggi, nel Comune di Riola: Perdunghesti.
Tesi questa avvalorata, recentemente, anche con l’ausilio della toponomastica. Infatti il toponimo Perdunghesti esprime, come tutti i toponimi, qualcosa: “l’esistenza in passato di un bosco, di un fiume, di una certa attività che si svolgeva, ecc.ecc.”.
Così come si è espresso lo studioso riolese Benedetto Sulas, che  ricostruisce il profilo storico-archeologico della località (territorio) “Perdunghesti: Perdun da PRAEDIUM (latino=terreno); GHESTI da GESTUM (lat.=impresa militare). PERDUNGHESTI=il terreno dell’impresa Militare.
Mentre fino alla fine del secolo scorso, per gli storici (R. Carta Raspi), la località dove si svolse  questa battaglia, nota come la battaglia di Cornus, andava individuata  tra Nurachi e Riola.

I romani dominarono la Sardegna per oltre sei secoli.
Nel territorio di Riola sorsero numerose ville romane, generalmente costruite dai militari veterani sui terreni avuti come premio di congedamento. Di queste ville rimangono poche tracce; di una rimane ancora un  rudere: Su Anzu. Forse, in origine, doveva essere una villa romana anche la famosa villa, o castello,  de S’Onnigaza.

Durante la dominazione romana fu costruita in Sardegna una vasta rete stradale e numerosi ponti.
La strada romana che collegava Cagliari con la Planargia (Cornus, Bosa) seguiva, grosso modo, il tracciato dell’antico cammino fenicio-punico e  attraversava  lo stagno di Mare 'e Foghe  con un ponte.
Per i dominatori romani i ponti erano considerati punti sensibili (deboli), cioè possibili obiettivi dei sardi  sempre ribelli verso Roma, ragione per cui presso ogni ponte collocarono  dei militari per la vigilanza armata.
Naturalmente anche il ponte sul Mare 'e Foghe doveva essere presidiato e nelle vicinanze, sicuramente, si stabilirono i familiari dei militari , dando origine quindi al primo nucleo della Villa-Bidda, che nel Medioevo venne chiamata Ersorra o Erjorra, poi Arrivora o Arriora e infine Riola.

Durante il periodo Giudicale  - ARBOREA 740/1410 -  la villa Erjorra  ha fatto parte, prima,  della Curatoria di Tharros, successivamente di quella del Campidano Maggiore o di Cabras.
Il Giudicato era diviso, in origine, in 14 Curatorie; poi, dopo l’abbandono di Tharros nel 1070, diventarono 13.
La Curatoria era una unione di Ville, amministrata da un Curatore, di nomina Giudicale, che, a sua volta, nominava il Maiorale per amministrare la Villa.
Quindi anche Arjorra era amministrata da un Maiorale, che veniva coadiuvato dai capifamiglia, possidenti  che pagavano i vari tributi: le decime alla Chiesa e il tributo al Giudice.
Chi non era contribuente (i poveri, i servi e gli schiavi non cristiani, molto numerosi) non contava niente.
Ogni Villa eleggeva il rappresentante da inviare alla Corona della Curatoria: una specie di Consiglio composto dai  rappresentanti delle Ville che componevano la medesima Curatoria.
Esisteva anche una Corona de Logu, o del Giudicato; una specie di Consiglio Provinciale, anch’esso composto dai rappresentanti delle varie Curatorie.
 Nel 1388, il rappresentante di Erjorra, come tutti i rappresentanti delle ville del Giudicato,  parteciparono alla solenne stipulazione della pace tra il Re d’Aragona ed Eleonora d’Arborea e ne firmarono il trattato; cerimonia che si  tenne nel castello di Cagliari (V. Angius ; Q. Zurita).
Pace effimera perché duro poco. Infatti nel 1409 ripresero le ostilità e l’esercito arborense venne sconfitto a Sanluri; seguì  la sottomissione del Giudicato d’Arborea e di tutta la Sardegna alla Corona d’Aragona, nel 1410.
Erjorra divenne villaggio del regno Aragonese-catalano e incluso nel Marchesato di Oristano.
Nel periodo giudicale, la Chiesa fece la parte del leone. “Il territorio di Erjorra faceva parte del patrimonio di Santa Maria di Bonarcado” (Prof. F. C. Casula).

Durante il lungo periodo degli attacchi dei pirati barbareschi (800/1800), che frequentemente penetravano nella costa del Sinis, forse Erjorra ne rimase indenne per la presenza del ponte fortificato e presidiato.
Al riguardo si narra che i "barbareschi" occuparono e saccheggiarono, per una intera settimana, la Villa di Narbolia, e che sarebbe stata liberata da un drappello di cavalleggeri seneghesi, comandato dal canonico Pipia.    

Nel 1647 la villa di Erjorra o Arriora subì una invasione di cavallette che provocò ingenti danni all’agricoltura; nel 1651 il paese, come tutta la Sardegna, fu colpito dalla peste e rischiò di spopolarsi.

Nel 1718, col trattato di Londra, il Regno di Sardegna venne assegnato  a Vittorio Amedeo II di Savoia, che ne prenderà possesso nel 1720, nominando Vicerè il barone di Saint Rèmy Filippo Guglielmo Pallavicini.

Nel 1767 Arriora entrò a far parte del Marchesato d’Arcais, formatosi con i territori già facenti parte del Marchesato di Oristano, le cui rendite furono assegnate al nuovo feudatario, Damiano Nurra.
Durante il Marchesato  gli abitanti dei paesi che ne facevano parte  dovettero pagare tributi feudali molto gravosi, “al punto che i vassalli si rifiutarono di pagarli. Alla morte del Nurra, il feudo passò al nipote Francesco Flores, dal quale fu riscattato nel Maggio del 1838 dai Comuni” (Prof. F.C. Casula).

Nel 1823 il Comune di  Arriora o, semplicemente, Riola  istituisce a sue spese le scuole “normali” (elementari), sulla base di una legge promulgata da Carlo Felice.


All’inizio degli anni '20 del '900 una zona del suo territorio fu staccata per essere aggregata al Comune di Baratili, che aveva, nel frattempo, allargato i suoi confini costruendo molte abitazioni (alcune vie e pare anche parte della chiesa parrocchiale) in territorio di Riola.
Nel 1927 a Riola furono aggregati i soppressi Comuni di Baratili e Nurachi, sotto forma di frazioni.
Nel 1933, con regio decreto n.1046 del 13 Luglio, a Riola fu attribuita la denominazione di Riola Sardo, pare per non confonderlo con un altro Comune della Penisola: Riolo (Romagna).
Altro Comune di nome Riola esiste in Spagna, in Provincia di Valencia, con il quale sono corse, recentemente, trattative di gemellaggio (2005).
Nel 1928 il paese viene dotato di acquedotto e di energia elettrica.
Nel 1934 ha inizio la costruzione del monumentale edificio scolastico delle Scuole elementari, inaugurato il 1° Ottobre del 1936.

(scuole elementari)

Nel 1945, il 22 Dicembre, i Comuni di Baratili e Nurachi divennero nuovamente autonomi.
Dal 1960 al 1974, il Comune di Riola Sardo realizza molte opere pubbliche: costruzione delle strade vicinali (Oru Simbula, Cuccuru Mannu e Prunis); bitumazione delle strade del paese;  un primo lotto di fognature (il completamento avverrà successivamente sulla base del progetto originario del 1960); impianto di illuminazione pubblica al neon;  istituzione della  Scuola Media (1963) e progettazione del suo caseggiato, poi realizzato; costruzione del nuovo Municipio (inaugurato nel 1970); istituzione della Scuola materna con le suore e costruzione del suo caseggiato;  costruzione  del nuovo ambulatorio (inaugurato nel 1974);

Negli anni 1960/63 sono stati bonificati dalla Cassa per il Mezzogiorno i terreni Palustri di Mare 'e Foghe e, contemporaneamente, venne costruito il nuovo ponte.
Nel 1963 si verificò un straordinario avvenimento, che provocò un grandissimo interesse da parte dei riolesi: la trivellazione di un terreno in località "Is croviazzus" (Su Cammiu 'etzu de Nurachi), da parte di una Società Italo-tedesca, per la ricerca petrolifera.
Ricerca durata circa sei mesi, purtroppo con esito negativo perché il petrolio trovato non era suscettibile di sfruttamento.

(derrik del pozzo petrolifero di Riola - agosto 1963 - foto Giuseppe Mocci)

(campo petrolifero - settembre 1963 - foto Giuseppe Mocci)

Nel 1974 altra zona del territorio di Riola Sardo fu staccata per essere assegnata al medesimo Comune di Baratili, per gli stessi motivi del distacco degli anni '20.
Con la costituzione della Provincia di Oristano, il Comune passa dalla Provincia di Cagliari alla nuova di Oristano.  

Testo a cura di Giuseppe Mocci 

mercoledì 20 aprile 2011

Il personaggio: ENRICO SUELLA, "UN PERICOLOSO SOVVERSIVO"

Enrico Suella

Enrico Suella è stato, senza dubbio,  un personaggio degno di nota, vissuto tra la fine del '800 e la prima metà del secolo scorso.
Antifascista convinto, partecipò attivamente alla vita politica (prima nel Partito Sardo d’Azione, fin dalla costituzione nel 1921, poi nel Partito Comunista),  perseguendo ideali di uguaglianza e di giustizia sociale durante tutta la sua esistenza e trasmettendo gli stessi valori ai propri figli.
Nato nel 1885 a Elmas, si arruolò da giovane nel corpo delle Guardie di Finanza da cui fu espulso nei primi anni del regime poiché si rifiutò di firmare la tessera del Partito Nazionale Fascista. 
Nella seconda metà degli anni ‘20  si trasferì dall’Iglesiente ad Oristano, dove impiantò una piccola fabbrica di crine vegetale, con sede in via Tirso  (all’epoca il crine ricavato dalle foglie della palma nana del Sinis era utilizzato per la realizzazione dei materassi).
A causa delle sue idee avverse al fascismo, incontrò notevoli ostacoli e difficoltà  che lo costrinsero alla chiusura dell’attività dopo pochi anni. 

operaie della fabbrica di crine del Sig. Suella ad Oristano, anni '20 - foto fam. Suella

Nel 1937 Suella fu denunciato come autore di manifesti di propaganda sovversiva e confinato a Riola.
Chi l'ha conosciuto lo ricorda come un signore molto distinto ma privo di mezzi di sostentamento, che riusciva a sopravvivere grazie ai modesti compensi per i lavori da scrivano e per quelli della moglie Maria, materassaia: “era un uomo simpatico e pacifico; era  anche elegante e non gli mancava mai il cappello e la cravatta”. Insomma, un autentico gentiluomo.
Negli anni seguenti alla guerra costituì a Riola la sezione locale del Partito Comunista, che ebbe sede inizialmente nell’attuale  via Mariano.

 
sezione Partito Comunista Riola Sardo, primi anni '50 - foto fam.Suella 

Enrico Suella morì nel 1955.
Coerentemente  con i suoi principi, pur rispettando le idee altrui, volle un funerale civile. Al corteo funebre parteciparono le alte cariche del partito dell’epoca; fu accompagnato al cimitero con numerose bandiere rosse.

Riproponiamo per gentile concessione di Giuseppe Mocci “L’antifascista e l’appuntato”, racconto che ricorda la figura di Enrico Suella,  già pubblicato sul quotidiano “La Nuova Sardegna” del 7 gennaio 2001 e nel libro di Nello Zoncu “Zenti Arrioresa".

g.l.

"L’ANTIFASCISTA E L’APPUNTATO" 
di Giuseppe Mocci

Negli anni che precedettero la guerra 40/45, detti anni dell’Era fascista, viveva nel mio paese un distinto signore, in età avanzata, proveniente dall’iglesiente.
Si diceva che lo avessero mandato in esilio a Riola, perché comunista sovversivo, molto pericoloso; già espulso dal Corpo delle Guardie di Finanza per non aver voluto firmare la tessera del Partito Nazionale Fascista.
Si chiamava Enrico Suella (1885-1955).
Privo di mezzi di sostentamento, il povero uomo riusciva a stento a sbarcare il lunario, anche perché veniva osteggiato dal Partito e dalle autorità locali. Egli viveva dei modestissimi compensi per occasionali lavori di scrivano e dei saltuari emolumenti che riusciva a percepire la moglie dal lavoro di materassaia.
Il sovversivo si era rivelato subito una persona tranquilla; faceva lunghe passeggiate, a passo lento e sempre dentro il paese; non usciva mai di notte. Egli era un uomo simpatico e pacifico; era  anche elegante e non gli mancava mai il cappello e la cravatta; era un gentil’uomo.
Io non riuscivo, allora, a capire il motivo per cui era costretto a vivere in esilio e perché venisse ricorrentemente arrestato.
Ricordo che quando si apprendeva dalla radio dell’imminente arrivo in Sardegna di qualche esponente del Governo o della Casa Reale, il povero uomo veniva prelevato, nottetempo, dai Carabinieri e condotto in carcere ad Oristano.
Questa operazione veniva fatta il giorno prima dell’arrivo di detti personaggi. In quelle occasioni il signor Suella metteva in croce la povera moglie, perché gli facesse la provvista di sigari da fumare in carcere. Ricordo che le diceva:
Maria, duminiga beninti de Roma is amigus mius, procuramì una scorta de sigarettas”.

Enrico Suella con sua moglie Maria in età avanzata - foto fam. Suella

Altra circostanza che determinò una più severa e umiliante sorveglianza nei suoi confronti, si verificò in occasione dell’arrivo del pacco di Mussolini, inviato, si diceva, al Podestà, un certo cav. Pili, che durante la guerra 1915/18 era stato il superiore diretto del Duce.
Per quel giorno il Partito organizzò una grande manifestazione: saggio ginnico nelle scuole, sfilata per la via principale fino al Municipio, con canti patriottici e sventolìo di bandiere; apriva la sfilata il gruppo dei figli della lupa, seguivano i balilla, gli avanguardisti, i giovani fascisti, poi le donne rurali, gli ex combattenti e tutte le autorità civili e militari; mancava soltanto il parroco.
Arrivato il corteo in piazza del Municipio, la guardia municipale, in divisa e con le decorazioni di guerra sul petto, aprì il pacco che conteneva due stampi di legno, quattro barattoli e una lettera con le istruzioni.
I figli della lupa e noi balilla attendevamo l’apertura dei barattoli, convinti che contenessero caramelle, invece contenevano vernice nera da usare con gli stampi per la riproduzione dell’immagine di Mussolini, a mezzo busto e con la scritta: “Duce”.
In quella stessa sera, su alcune facciate delle case, lungo le due vie principali, venne stampata l’immagine del Duce.
Durante la notte però avvenne un imprevisto, un fatto molto grave accaduto poi in un paese fra i più fascisti della Provincia; un’immagine di Mussolini era stata imbrattata.
La mattina successiva venne convocata una riunione del Partito e venne invitato anche il Maresciallo della locale stazione dei Carabinieri, data la gravità dell’accaduto: oltraggio al capo del Governo.
Tutti i camerati concordarono sul nome dell’oltraggiatore: è stato il comunista!” urlarono furiosi e ben determinati a vendicarsi, alcuni agitando il manganello o la bottiglia dell’olio di ricino.
Il maresciallo intervenne, invitando tutti alla calma e propose la formazione di una ronda speciale, composta da carabinieri e militi, al comando di un appuntato della benemerita; personaggio molto noto per lo zelo in servizio e soprannominato Sfasciachitarre, perché ai giovani che facevano le serenate oltre l’orario consentito, sequestrava la chitarra e la sfasciava loro in testa.
Venne accolta la proposta del maresciallo e quella stessa notte entrò in servizio la ronda per presidiare dall’esterno la casa del comunista.
Questi, forse, non si accorse di nulla, nonostante lo schiamazzo e le ingiurie degli assedianti; oppure il nostro dormiva tranquillo, come al solito.
Il mattino seguente, “Sfasciachitarre”, rientrando in caserma, si accorse che un’altra immagine del Duce era stata imbrattata; sbiancò in viso e si sentì male; non andò più in caserma, ma fece ritorno a casa, molto preoccupato. Dopo aver raccontato l’accaduto alla moglie, decise di marcare visita medica, per la prima volta dopo trenta anni di onorato ed encomiabile servizio.
Il poveretto raccontò che era stato beffato da alcuni suoi amici, incontrati mentre facevano i preparativi per raggiungere i campi e lui completava l’ultimo giro di ronda.
Questi amici lo avevano invitato in cantina a bere la vernaccia, ma gli avevano anche  giocato un brutto tiro; uno della comitiva, conosciuto come il burlone del paese, inosservato, andò ad imbrattare l’immagine del Duce.
Intanto scoppiò la II guerra mondiale e nessuno si curò più del Duce. Solo “Sfasciachitarre” non dimenticò l’affronto.
Caduto il fascismo, egli volle riabilitarsi; invitò gli amici della famosa cantina e dichiarò loro:
“Signori, quando voi mi invitaste a bere la vernaccia in quella notte dell’imbrattamento dell’immagine del Duce, io capii subito le vostre intenzioni e vi lasciai fare, perché ero anch’io un antifascista”.
Gli amici lo ringraziarono, ma egli non accettò comunque la proposta del solito burlone di farsi segnalare per una promozione al merito.


Si ringraziano la famiglia Suella e Giuseppe Mocci per la collaborazione e la disponibilità.

giovedì 14 aprile 2011

I RITI DELLA SETTIMANA SANTA A RIOLA SARDO

"Scintille di fede" (la settimana santa nella tradizione Sarda) chiude il progetto Regionale "L'isola che danza" attivato dall'Assessorato Regionale del Turismo, in collaborazione con l'Agenzia Sardegna Promozione e con le Amministrazioni locali (tra le quali il Comune di Riola Sardo).
Si tratta di un importante progetto che - attraverso il coinvolgimento delle amministrazioni locali -  intende valorizzare l'inestimabile patrimonio sacro tradizionale, allo scopo di creare interesse ed attrarre flussi turistici interni, dalla penisola e dall'estero.
Il Comune di Riola proprio in questi giorni ha pubblicato e diffuso una brochure nella quale, oltre alla descrizione della storia e tradizione dei riti della Settimana Santa, è illustrato il programma-calendario dell'evento.

La Settimana Santa
Nei centri de "Sa Chida Santa" si vivranno, dal 17 al 24 aprile, atmosfere intrise di intenso misticismo, profonda spiritualità e solenne contemplazione. La settimana si aprirà con "Sas Prammas", la processione della domenica delle Palme e culminerà nel giorno di Pasqua, in un incalzante susseguirsi di rappresentazioni della  "Passione di Cristo" secondo antiche tradizioni filtrate dalla cultura spagnola. Nel corso delle celebrazioni dei riti e delle liturgie si condenseranno suggestioni fatte di luci e colori, abiti tradizionali e preziosi oggetti sacri, tessuti ricercati e splendidi ricami, e gli immancabili e struggenti "gosos", i canti liturgici di accompagnamento dei riti sacri.
(tratto da: www.sardegnaoggi.it)


(Per ingrandire, cliccare sulle immagini e usare lo zoom)









martedì 12 aprile 2011

Storia di Riola: "SU CUNZAU DE I FRUCASA" di Giuseppe Mocci

SU CUNZAU DE I FRUCASA
(La località dove il boia eseguiva la pena di morte)

Il boia, nel Regno di Sardegna, prima durante il periodo Giudicale e spagnolo (900/1720), successivamente con la dominazione sabauda (1720/1827), era l'esecutore sia reale che baronale di pene corporali.  Egli era, praticamente, un dipendente statale, regolarmente retribuito “con 20 soldi al giorno, un cavallo e il vitto assicurato; inoltre aveva diritto a un premio di uno scudo per ogni impiccagione o squartamento. Il boia  era addetto non solo all'impiccagione, alla decapitazione e allo squartamento dei condannati a morte, ma anche alle torture degli arrestati, con frustate, tratti di corda, mutilazione di mani, di piedi e di orecchie. Questo avvenne fino al 1827, quando fu abolita la pena di morte dal Codice Feliciano". (Prof. F.C. Casula).
A Riola "Su Cunzau de i frùcasa" si trovava  sulla strada per Narbolia, a sinistra e a quattrocento metri circa dalla statale 292.

Il vecchio ponte di Riola nel 1935  

Il cadavere, o ciò che rimaneva del corpo martoriato del condannato, veniva esposto, per ammonimento ai male intenzionati, sul ponte romano di Mare Foghe.
Alberto La Marmora (1789/1863), autore di “Un viaggio in Sardegna”, attraversò questo ponte, proveniente da Nurachi dove pernottò presso il parroco locale, per raggiungere le località ubicate dopo Riola. Egli riferisce:
"Da Nurachi si arriva presso il villaggio di Riola, che si attraversa nella sua lunghezza per portarsi al gran ponte. Questo ponte è molto antico; consta di molte arcate……. Ai due lati del ponte si vedono degli spazi coperti di canne palustri e di giunchi con laghi di acque stagnanti dove brulicano uccelli marini…… Questo ponte non avrà meno di 150 metri di lunghezza, ma trovasi in cattivo stato, io non dimenticherò giammai di aver veduto sovente sopra la riva opposta …….un patibolo fabbricato con pietre squadrate, spesso guarnito di teste umane, sotto il quale uno bisognava passare per seguitare la sua strada”.
Vittorio Angius (1798/1862), autore del ”Dizionario Storico Geografico della Sardegna”, parla di questo ponte in questi termini:
"I guadi del fiume di Riola sono pericolosi sempre, perché fangosi e per l’impedimento delle piante. Si suol varcare per un ponte antico, dove vedesi ancora certa opera di difesa per vietare il passaggio dei barbareschi… La porta per cui si passa suol chiudersi di notte”.
Questo ponte è esistito fino ai primi anni del 1900, quando venne costruita la strada provinciale Oristano-Cuglieri e un nuovo ponte, poi danneggiato nel mese di Settembre del 1943 da militari tedeschi in ritirata.

Il fiume "Mare Foghe" 

I resti del ponte romano e il ponte danneggiato sono stati abbattuti  nel 1963, durante le opere di bonifica di Mare Foghe e la costruzione del  ponte attuale.
Il vecchio ponte, già dal periodo della dominazione romana (dal 238 a.C. al 456 d.C.), consentiva il collegamento di Cagliari (Karales) con la Planargia.
Ma già nel periodo Fenicio-punico (800/238 a.C.) esisteva una strada ( una specie di camminamento, perché le strade vere con lastricato e ponti vennero costruite dai romani) che collegava Othoca (S.Giusta) con Cornus, seguendo lo stesso tracciato dell’attuale S.S. 292, con guado sulla palude di Mare Foghe.
Cornus era collegata anche a Tharros, ma con un’altra strada, che attraversava Is Arenas. E’ ancora visibile, in località Is Arenas di Torre del Pozzo, parte del  lastricato romano sullo stesso tracciato fenicio.
Sicuramente, nei pressi del ponte costruito dai romani su Mare  Foghe,  sorse il primo nucleo della villa (bidda) Arrivora-Arriora, abitata dai familiari dei militari romani che presidiavano il ponte, perché considerato importante ma  vulnerabile da parte dei sardi, sempre ribelli verso Roma.

Testo a cura di Giuseppe Mocci

foto storica del ponte tratta dal libro di Claudio A. Zoncu - Zenti Arrioresa

domenica 10 aprile 2011

"PERDUNGHESTI" - Studio di B.Sulas sull'origine del toponimo: il terreno o la pianura dell'impresa militare

Che l'apporto della toponomastica sia indispensabile nella ricostruzione del profilo storico-archeologico di un territorio è cosa da tempo riconosciuta.
Il toponimo è il nome di un luogo. Un nome che questo luogo ha avuto in un determinato momento della sua storia e che di questo luogo esprime una qualche cosa: l'esistenza in passato di un bosco o di una palude, la casa di una famiglia o la proprietà di una persona, una certa attività che vi si svolgeva, ecc.
Il toponimo, quindi, assume un significato storico di grande importanza poiché può fornire delle informazioni preziose, quasi uniche, non individuabili nei documenti.
Si tratta di importanti reperti linguistici - con lo stesso valore dei reperti archeologici - di grande utilità per chi vuole ricostruire la storia di quel luogo o individuare qualche suo elemento essenziale.
Dopo aver pubblicato gli “Appunti sulla battaglia di Perdunghesti” di Giuseppe Mocci (*), proponiamo un importante studio inedito sull’origine del toponimo “Perdunghesti o Pardunghesti” a cura di Benedetto Sulas.  Uno studio che - considerate le  conclusioni cui giunge  -  avvalora l’ipotesi che la battaglia dei sardo-punici contro i romani,  nota come la "Battaglia di Cornus" (215 a.C), possa essersi svolta effettivamente in territorio Riolese.


estratto mappa - loc. Perdunghesti (clicca per ingrandire)


IPOTESI SULL'ORIGINE DEL TOPONIMO "PERDUNGHESTI - PARDUNGHESTI"  
di Benedetto Sulas



“PERDUNGHESTI”


PERDUN  da                   PRAEDIUM  (lat. Praedium –ii = Terreno)

PRAEDIUM GHESTI

Metatesi  PRAE   à PAER;  caduta della  - i à PAERDUM; passaggio m à n
à PAERDUN


GHESTI da                       GESTI   lat. Gestum-i = Impresa (militare)
g  ha suono velare [g]

QUINDI

PERDUN GHESTI = Il terreno dell’impresa (militare)


**********


“PARDUNGHESTI”

PARDUN da                       PRATUM (lat. Pratum-i = Pianura)

PRADUM GHESTI

La sonorizzazione della T.

PARDUN

Metatesi PRA à PAR ;  passaggio m à n

QUINDI

PARDUN GHESTI = La pianura dell’impresa (militare)


Studio inedito di Benedetto Sulas 

sabato 2 aprile 2011

LA battaglia di “PERDUNGHESTI” dei Sardo-Punici contro i Romani


Appunti sulla battaglia di “Perdunghesti” 
a cura di Giuseppe Mocci

La battaglia di Cornus si combattè, secondo alcuni studiosi (Carta Raspi) in una località  tra Nurachi e Riola; secondo altri (tesi di laurea discussa qualche anno fa presso l’Università di Sassari) in località "PERDUNGHESTI" nel Comune di Riola.
Negli anni cinquanta (fatto da me constatato di persona), quando furono dissodati i terreni di “Cadreas” a qualche chilometro da “Perdunghesti”, vennero alla luce una enorme quantità di ossa umane, senz’altro disseppellite da fosse comuni dov'erano sepolti i cadaveri martoriati nella furibonda battaglia detta di Cornus (*).
Secondo Tito Livio, la battaglia di Cornus fu combattuta nel 215 a.C. dal sardo-punico Amsicora (Ampsicora), alleato dei cartaginesi nemici di Roma.
L’esercito romano era comandato dal propretore Tito Manlio Torquato.
Amsicora non accettò lo scontro in campo aperto. In attesa dell’arrivo degli alleati cartaginesi, egli affidò l’esercito al figlio Iosto, con l’ordine di non accettare la battaglia, e si recò nel Margine barbaricino per reclutare i Sardi Pelliti e gli Ilienses.
Quando Amsicora tornò, Iosto era già stato sconfitto nella battaglia in campo aperto di Cornus.
Iosto morì sul campo e Amsicora, per il dolore, si uccise “di notte, perché nessuno potesse impedirgli quel gesto disperato”.

Testo di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati


NOTA STORICA:
Dal 238 a.C. la Sardegna diventa un dominio romano e successivamente venne elevata al rango di Provincia romana.
In assoluto, la più importante rivolta dei Sardi contro i Romani fu quella del 215 a.C., scoppiata all'indomani delle grandi vittorie di Annibale in Italia. 
Un autorevole esponente dell'aristocrazia terriera sardo-punica, quell'Amsicora (o Ampsicora) che Tito Livio definì: «qui tum auctoritate atque opibus longe primis erat» (colui il quale in quel tempo era largamente primo per autorità e per ricchezze), era infatti riuscito non solo a mettere in campo un esercito sardo abbastanza consistente, ma anche ad ottenere rinforzi militari da Cartagine, inviandovi ambasciatori in segreto. 
Secondo alcune fonti insieme ad Amsicora a condurre la rivolta si trovava pure Annone, un ricco cittadino punico di Tharros. Cartagine sostenne la rivolta inviando una flotta al comando di Asdrubale il Calvo. Il piano di Amsicora era quello di dare battaglia solo quando tutte le forze disponibili si fossero riunite. Per continuare il reclutamento tra i sardi dell'interno, lasciò il comando al figlio Iosto a Cornus con una parte dell'esercito. 
I rinforzi di Cartagine però non arrivarono in tempo per colpa di una tempesta che dirottò le navi sulle isole Baleari e i Sardi dell'interno indugiarono troppo prima di unirsi al suo gruppo. Iosto accettò imprudentemente la battaglia offerta dal comandante Manlio Torquato. 
L'esercito sardo fu sconfitto subendo la perdita di 3.000 soldati, 800 furono fatti prigionieri. 
(fonte wikipedia)



Il cippo che ricorda la battaglia si trova in Comune di Cuglieri, a sei chilometri da “Perdunghesti”; l'iscrizione recita: «A Ampsicora e Hosto a sos tremiza patriottas sardos chi pro s’indipendenzia de sa Sardinnia in ojos sos lugores de su mare po no esser iscraos de Roma in custas baddes de dolore hant derremadu su samben issoro. Campu ’e corra 215 a.C. - 1999»