martedì 28 giugno 2011

RICORDI D'INFANZIA: "Sa domu de Balloi Corrias" - di Giuseppe Mocci

Alla fine dell'anno scolastico 1936/37 iniziarono le vacanze estive ed io, per la prima volta, iniziai a frequentare i compagni di scuola miei coetanei che abitavano nel vicinato e che avevano frequentato con me la prima classe.
Fino all'età di sette anni sono stato sempre chiuso in casa, attaccato alle gonne di mia madre; qualche volta mi era permesso di andare a casa di Salvatore Bellu, che abitava a fianco della nostra casa, oppure veniva lui da me per giocare o per montare la motocicletta di mio padre (una Gilera 500), che stava spesso a cavalletto al centro del corridoio.
Io guidavo e lui si sedeva dietro sul sedile posteriore. Nel nostro immaginario si correva a cento chilometri all’ora; se io facevo il rumore del motore con la bocca, Salvatore suonava il clacson, e viceversa; allora finiva la nostra corsa per l’intervento severo di qualche mio familiare.
Come dicevo, nel mese di Luglio del 1937, hanno inizio le mie prime uscite, le più belle della mia infanzia, che terminarono, purtroppo, nel 1942, quando i miei mi mandarono a Oristano per frequentare il Ginnasio-Liceo.
Ricordo che nelle vicinanze della mia casa, in un raggio di settanta-ottanta metri, abitavano i miei amici: Salvatore Bellu; Salvatore Corrias (“Balloi”); Paolo Ponti; Salvatore Marongiu ("Biddoccu"); Giustino Meli e Benedetto Loche.
Sono stato in casa di tutti questi amici, ma la preferita era la grande casa di Balloi Corrias;  preferita anche dagli altri amici.
Ci piaceva troppo, perché disponeva di un vastissimo cortile, dove si potevano fare tanti giochi, singolarmente o a gruppi.  I giochi più praticati erano: le biglie, le trottole, il nascondino, “luna monte”.  
Ci appassionava molto la caccia alle lucertole e, soprattutto, ai passeri, con i lacci e il tira-elastico (su tirollàsticu).
Il campione di caccia era Balloi, il padrone di casa. Egli era una persona molto simpatica, generosa, sincera e sempre disponibile nei nostri confronti. Spesso litigava con Giustino (Zustĩu) per via delle sue infantili pretese di essere superiore a tutti. Quest’ultimo asseriva sempre di aver abbattuto uno o due passeri più di Balloi e quando gli chiedevamo di vedere le sue prede, rispondeva sempre: "Mamma le ha già cucinate!”.
La casa di Balloi era troppo interessante, oltre che per la sua ampiezza, anche per la sua struttura architettonica, tipicamente padronale, campidanese e antica.
Quando ero in terza elementare, con la maestra Palmas, l’avevo disegnata mettendo in risalto il suo grande focolare acceso con una pentola fumante.
Ricordo che la maestra apprezzò molto il mio disegno infantile e volle conoscere questa casa.
Ella portò la classe in casa di Balloi. Qui, dopo aver sentito alcune notizie storiche da Zia Elisabetta Orrù, la madre di Balloi, la maestra ci fece una lezione sull'abitazione dell’uomo, fin dalle origini.

Tzia Elisabetta Orrù

Da Zia Elisabetta apprendemmo che la casa era antica, costruita da suo nonno o dal bisnonno. Questa era la sua casa paterna, dove lei visse;  prima, con le sorelle Giovanna e Bellanna e, in seguito, col marito (Giuseppe Corrias), che sposò nel 1907, e con la sua numerosa famiglia.
Recentemente, leggendo il libro”Zenti Arrioresa” di C.A. Zoncu, credo di aver scoperto il costruttore di questa casa. Scorrendo l’albo genealogico risulta che:
- Elisabetta era figlia di Giovanni Orrù (1843/1913), il quale, a sua volta, era figlio di Angelo Orrù (1823/1883);
- Angelo Orrù era figlio di Vincente Orrù (1785/1863), notaio, figlio di Pedro  Orrù (1738/1804) che sposò l’ereditiera Barbara Meloni (1744/1814).
Poiché tutti i terreni di fronte alla chiesa di S. Anna, a Ovest e a Nord, erano allora di proprietà di Sisinnio Meloni (1707/1790), padre di Barbara, si può dedurre che sia stato lui il costruttore e il primo abitante de "sa Domu de Balloi".
Sisinnio Meloni era un ricchissimo proprietario terriero e grande allevatore; istruito e molto intraprendente, doti che i riolesi apprezzarono, tanto che lo elessero Alcalde (Sindaco) di Riola.
 A me pare di vederlo entrare in casa, in sella al suo cavallo, passare sopra il bellissimo selciato bianco, alla fine del quale scendere dal suo destriero, con l’aiuto di uno dei suoi numerosi servi.
Sisinnio Meloni ebbe tre figli: un maschio, Antonio (1747/1820), rimasto celibe, e due femmine: Barbara e Rosa  Meloni (sposò Domingo Zoncu), che ereditarono tutto il patrimonio del padre.
Barbara Meloni (1744/1814) sposò Pedro Orrù e diventerà, poi, l’ava di quasi tutti gli Orrù, mentre Rosa diventerà l’ava degli Zoncu.

abitazioni realizzate dove sorgeva la vecchia "Domu de Balloi Corrias"

"Sa Domu de Balloi" si trovava in via Umberto I, a fianco del Municipio vecchio, costruita con mattoni di terra e paglia (formato grande), a piano terra e di forma rettangolare. Si entrava da un portone molto alto direttamente in un ampio corridoio, al centro del quale c’era un selciato bianco per il passaggio del cavallo del padrone di casa. Ai due lati del corridoio c’erano quattro stanze a destra e due a sinistra. Alla fine del corridoio si passava, dritto, in un primo cortile, o si entrava, a destra, in una grande sala, dove c’era un focolare al centro (sa forredda), sempre acceso, e intorno ampi spazi per mangiare e/o riscaldarsi.
Sopra il focolare e tutto intorno c’erano appese al soffitto delle cannicciate ripiene di formaggi e di salumi vari.  La sala era sempre impregnata di fumo, ma si sentivano anche odori gradevoli.
Nel primo cortile c’erano: il pozzo dell’acqua, la casa del forno, la cantina, la lavanderia con annessa latrina e la stalla del cavallo. Tutto intorno fiori e un grande pergolato di uva rossa, Arrotza/u. 
Da questo cortile si accedeva, passando per un cancello in legno, ad un secondo cortile molto grande, dove c’era una catasta di legna e tre locali: uno per il ricovero dei carri, il secondo per la provvista della paglia (s’omu de sa palla) e il terzo, ormai mezzo diroccato, sede del frantoio (sa prentza). Tutto il resto ampio spazio libero, dove spesso sostavano le pecore.
Dal grande cortile si accedeva, attraverso un enorme portale in legno, ad un sentiero di campagna, che conduceva, a sinistra verso il fiume, a destra in via Garibaldi.
Lungo il sentiero che conduceva al fiume c’erano, ad entrambi i lati, mandorleti; nostro campo di caccia ai passeri.  
Oggi “sa Domu de Balloi" non esiste più; è stata demolita, forse, negli anni 1948/50 e la superficie è stata divisa tra gli eredi ORRU’/CORRIAS, che vi hanno costruito cinque case, due in via Umberto I e tre in via Garibaldi.
Di fronte a questa casa e sempre sulla via Umberto I, c’era anche "sa domu de Zustĩu", l’amico e compagno di giochi, colui che contendeva il primato della caccia dei passeri a Balloi.
Questa casa, costruita su un piano rialzato rispetto al piano stradale, con una bella gradinata, aveva anche un piano superiore (su sòsturu) su un lato e il cortile, stranamente, rimaneva di fianco, dove si poteva accedere dalla cucina o dalla strada attraverso un bel portale in legno.
Essa appariva una casa normale qualunque, ma in seguito ad un’eccezionale scoperta del 1938 si capì che anche questa casa era antica e che aveva una storia.
Infatti, originariamente, essa faceva parte di un’unica grande casa padronale di un ricco possidente, che comprendeva anche i tre locali attigui, sul retro.
Questa tesi è avvalorata dalla scoperta (1938) di un piccolo tesoro in monete d’oro (marenghi), nascosto dentro un palo (ũa biga) abbattuto durante i lavori di rifacimento del tetto di uno dei predetti locali.
Non solo, ma che il proprietario fosse ricco lo dimostra anche il fatto che la casa era stata costruita su un piano rialzato con gradinata, come si usava dai ricchi fino a tutto il 1800, per meglio proteggersi dalle Bardane (squadre di delinquenti, armati di tutto punto, provenienti dalle zone interne della Sardegna per razziare bestiame e/o depredare - (is)sarrobai -  i ricchi possidenti del Campidano e che usavano un grosso palo di legno, tipo ariete, spinto da un giogo di buoi, per sfondare le porte). Le gradinate e il dislivello col piano stradale, infatti, vanificavano l’opera demolitoria dei predetti delinquenti.
Fatte queste premesse, accertato che il terreno su cui è stata costruita anche l’antica casa di Giustino era di proprietà di Sisinnio Meloni, constatato che il materiale usato per la sua costruzione era identico a quello usato per la costruzione de "sa Domu de Balloi", ritengo che essa potesse appartenere, ugualmente, ad un Meloni, forse ad Antonio o a una delle sorelle.
A Riola esisteva, nello stesso periodo, un’altra casa costruita ugualmente su un piano rialzato, con la gradinata e a piano superiore, in via Umberto I, vicinissima alla chiesa e a poca distanza da quelle di Zustiu e di Balloi.
Anche questa casa, che io ho frequentato, era stata costruita con grossi mattoni di terra e paglia e sullo stesso terreno di proprietà dei famosi Meloni.
Ritengo che anche quest’altra casa sia stata costruita e abitata da Rosa Meloni, sposata con Domingo Zoncu, anche perché, fino agli anni ’60 del secolo scorso, vi abitavano le sorelle Zoncu-Orrù.
Tutte le altre case che si trovano in via Umberto I, dalla chiesa verso il fiume, sono state costruite nei primi anni del '900, fatta eccezione della casa Corda, di recente costruzione e attaccata alla casa delle sorelle Zoncu.

via Umberto I in una foto degli anni '60

Altra nota importante e che conferma le mie tesi, è costituita dal fatto che la casa Corda è stata costruita dove prima c’era un vecchissimo frantoio di proprietà degli Orrù, discendenti dalle famose famiglie Meloni-Orrù-Zoncu.
Ricordo che i meccanismi del vecchio frantoio erano tutti in legno e che non si trovavano, allora, i pezzi di ricambio. Quindi, quando qualche meccanismo si guastava, erano guai; occorreva ricorrere all’opera di un bravo falegname. 
Ricordo ancora che Antonio Orrù, mio amico, mi parlava con orgoglio di questo vecchio frantoio, che spesso lo faceva arrabbiare, e affermava che il medesimo e l’annesso cortile facevano parte di un’unica casa, costruita e abitata dai suoi avi: gli Orrù-Zoncu.  Antonio si riferiva, naturalmente, a quella, allora, abitata dalle sorelle Zoncu-Orrù.

Testo di Giuseppe Mocci 



domenica 26 giugno 2011

IMPORTANTE SCOPERTA ARCHEOLOGICA A SU CUCCURU MANNU, IN TERRITORIO DI RIOLA: TOMBA DEI GIGANTI?

(falesie di Su Cuccuru Mannu)
Straordinaria scoperta archeologica nel Sinis di Riola:  in cima ad una collinetta  in prossimità delle falesie di Su Cuccuru Mannu  (poco distante dal Parco dei Suoni e della Musica), tra la folta vegetazione della macchia mediterranea, è stata ritrovata un’antichissima tomba intagliata nella roccia,  la cui struttura  sembra richiamare,  per diversi aspetti,  le  “tombe dei giganti” (*).

(foto n. 1)
La tomba è lunga approssimativamente 4-5 metri, larga poco più di un metro e  profonda circa un metro; sono presenti due gradini all'ingresso ed è preceduta da una sorta di  camera circolare abbozzata (esedra ?).  
Pare sia stata la Soprintendenza  ai beni archeologici, ricevuta la segnalazione già alcuni mesi fa', ad intervenire e ad effettuare gli scavi  nel sito.  
A lato della tomba sono presenti cumuli di terra setacciata, con  alcuni spezzoni di lastre facenti parte, probabilmente, della copertura originaria.
Si presume che nel luogo della sepoltura siano stati ritrovati degli oggetti e/o reperti,  immediatamente posti sotto la tutela della Soprintendenza stessa.

(foto n. 2)
Questa scoperta dimostra ulteriormente (se mai ce ne fosse stato bisogno) la notevole importanza del Sinis  per quanto riguarda le testimonianze degli insediamenti umani di  epoca nuragica e prenuragica.
Restiamo in attesa di conoscere, quanto prima,  le valutazioni  degli archeologi e i risultati dei loro studi anche sugli eventuali reperti ritrovati.
(g.l.)

(*)
Le tombe dei giganti (tumbas de sos gigantes) sono monumenti funerari costituiti da sepolture collettive appartenenti alla età nuragica e presenti in tutta la Sardegna.

Come i nuraghi, queste particolari costruzioni megalitiche non hanno nessuna equivalenza nell'Europa continentale e sono costruiti con una particolare forma a pianta rettangolare absidata, edificati mediante lastre di pietra di grandi dimensioni conficcate nella terra.

Questi particolari sepolcri consistono essenzialmente in una camera funeraria lunga dai 20 ai 30 metri e alta da 2 a 3 metri. In origine l'intera struttura veniva ricoperta da un tumulo somigliante più o meno ad una barca rovesciata. La parte frontale della struttura è delimitata da una sorta di semicerchio, quasi a simboleggiare le corna di un toro, e nelle tombe più antiche, al centro del semicerchio è posizionata una stele alta molte volte fino a 4 metri, finemente scolpita e fornita di una piccola apertura alla base che - si suppone - veniva chiusa da un masso, e tramite la quale si accedeva alla tomba. In quella età pensavano che il toro e la madre natura si accoppiassero per poi dare vita ai defunti nell'aldilà. Nelle vicinanze dell'ingresso veniva eretto un betilo (o betile) a simboleggiare - si pensa - gli dei o gli antenati che vegliavano sui morti.
I membri della tribù, del clan o del villaggio, venivano a rendere omaggio ai morti della comunità, senza distinzione di rango, senza particolari privilegi e senza apportare offerte di valore. Erano infatti degli ossari nei quali depositare le spoglie dei defunti una volta che queste erano divenute degli scheletri.  
I culti legati alle tombe di giganti sono da collegarsi al dio Toro e alla dea Madre e, secondo alcune ipotesi, la forma della costruzione richiama sia ad una testa bovina sia ad una partoriente (la morte era infatti legata alla nascita secondo il principio della rinascita). I sepolcri e le necropoli divennero - nel tempo - sempre più grandi e solo successivamente la tradizione popolare sarda le ha definite domu 'e s'orcuossia Casa dell'orco, poiché si pensava che il grosso quantitativo di ossa rinvenute al loro interno fossero i resti dei banchetti di un gigante. Il nome è stato poi italianizzato. (fonte Wikipedia)



venerdì 24 giugno 2011

STORIA MEDIOEVALE DELLA SARDEGNA (sintesi - 5ª parte)

FINE DEL VASSALLAGGIO A PISA

A cura di Giuseppe Mocci

Alla morte di Mariano II nel 1297, sul Giudicato di Arborea si insediò suo figlio Giovanni Chiano de Bas Serra. Egli  regnò per pochi anni, essendo stato “assassinato un 23 Marzo tra  il 1304 e il 1307”.
Divenne, allora, Giudice di Arborea Mariano III, figlio naturale di Giovanni Chiano, non ancora diciottenne;  “avrebbe governato - in consorte - col fratello Andreotto dal 3 Aprile 1308, anno in cui troviamo i due Bas Serra signori di Montiferro e dei castelli di Serravalle e di Monteacuto, venduti loro col borgo di Bosa Nuova e tutta la Planargia.  Il notevole acquisto gli permise di unire quelle regioni al territorio ultragiudicale  logudorese già in possesso arborense per guadagno politico o per conquista” da parte di suo nonno Mariano II.


(Bosa - castello di Serravalle)


Mariano III, per ragioni della sua nascita, venne contrastato dai Pisani, i quali lo umiliarono, quando lo costrinsero “a comprare dall'Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo il riconoscimento dei propri diritti successori”. Fatto, questo, che determinò in Mariano una grande insofferenza alla ingerenza di Pisa.
“Mariano III fu un sovrano premuroso del suo Regno, di cui curò la restaurazione di strade e di ponti, specie del Ponte Grande su Tirso. Completò l'opera di restaurazione urbanistica della capitale iniziata dal nonno Mariano II.”


(Oristano - antiche mura medioevali e torre di Portixedda)

Alla morte di Mariano III  nel 1321, divenne Giudice d'Arborea  Ugone II de Bas Serra; non senza difficoltà, come era successo a  suo padre.
Poiché anche Ugone II era un figlio naturale,  Pisa non volle riconoscere i suoi diritti alla successione, perchè “est bastardus” e appoggiò invece “le rivendicazioni di Giacomina della Gherardesca, vedova di Giovanni Chiano.”
Ugone comunque riuscì a farsi riconoscere Giudice di Arborea, tacitando Pisa con  15.000 fiorini, e diede inizio ad una nuova politica antipisana, che  determinò un nuovo corso della storia sarda: la fine del vassallaggio a Pisa e l’inizio del vassallaggio al re d’Aragone Giacomo II, il quale era stato, precedentemente nominato dalla Chiesa re di Sardegna e Corsica.
Ugone si accordò, segretamente, con Giacomo II alle seguenti condizioni:
- giuramento, da parte sua, di fedeltà al re aragonese e il pagamento di un contributo annuo di 3.000 fiorini d’oro al medesimo;
- l’assicurazione del mantenimento dei diritti dinastici di Ugone II sul Giudicato d’Arborea ed una protezione militare da parte di Giacomo II.
Nello stesso anno, l’11 Aprile 1323, Ugone attaccò col suo esercito "gli odiati Pisani al confine meridionale fra Villanovaforru e Sanluri, in zona Santa Caterina, e chiese subito aiuto a Giacomo II con una lettera” nella quale, tra altri particolari, diceva: “speravo che voi (Giacomo II) sareste venuti in marzo, e così ho cominciato quello che credevo conveniente alla grandezza della Corona regia opponendomi ai nemici giunti per munire le terre e prepararsi  a resistervi….. Non tardate  a venire, perché il pericolo è nell’indugio”.  Intanto a Santa Caterina Ugone fece strage dei Pisani e, nella stessa lettera, riferisce di aver  sollevato tutta la Sardegna contro gli odiati pisani.

(medaglia di Alfonso d'Aragona)

Il 13 Giugno 1323 l’armata aragonese, al comando dell’Infante Alfonso, sbarcò, su consiglio di Ugone, “a Palma di Sulcis in agro di S.Giovanni Suergiu”.  Per primo l’armata pose l’assedio a Villa di Chiesa (Iglesias), che capitolò dopo sette mesi, in un secondo tempo, con la cooperazione determinante di Ugone II, pose l’assedio a “Castel di Castro (Cagliari), che capitolò il 19 Giugno 1324”.
I pisani "firmarono un trattato, sottoscritto pure da Ugone d’Arborea, con cui cedevano ai Catalani-Aragonesi tutti i propri possedimenti coloniali oltremarini di Càlari e di Gallura, tranne la città capoluogo (Castel di Castro, oggi Cagliari), tenuta in forma feudale”; cioè Cagliari diventava vassalla dei catalani-aragonesi.
L’Infante Alfonso, perfezionati gli accordi con Ugone II, strinse accordi anche con i Doria, i Malaspina e col Comune di Sassari.
Nominato un Governatore del Regno di Sardegna, Alfonso s’imbarcò con la moglie Teresa (era allora una usanza portare con sé la moglie in guerra) il 25 Luglio 1324, e il primo agosto sbarcò a Barcellona, dove fu ricevuto con grandi feste e solennità durate due giorni.
Ebbe così inizio l’infeudazione (vassallaggio) della Sardegna in favore dei baroni Catalani, Aragonesi, Valenzani e Maiorchini, che avevano partecipato all’impresa.
Ugone II si mantenne sempre fedele all’alleanza con il re Catalano-Aragonese. Egli partecipò anche alla soppressione dei rivoltosi anti-spagnoli a Sassari del 1329.
“Coerente con la sua politica, aveva fatto sposare ben sette dei suoi dieci figli con altrettanti donzelli e donzelle di nobili famiglie iberiche……Aveva imposto ai figli Pietro, Mariano e Giovanni una educazione catalana, inviandoli a Barcellona perché studiassero e frequentassero la Corte.
Ugone II de Bas Serra morì che aveva appena quarant’anni, nel 1335.

Testo a cura di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati.

mercoledì 22 giugno 2011

"Sa pedra frusiendi..." - poesia scritta in occasione di una lite sorta tra Baratilesi e Riolesi



Dal libro di ricordi di R.Spanu:
"In mente mi è rimasta una poesia scritta da un anonimo in occasione di una tremenda lite sorta tra baratilesi e riolesi per la festa di San Pietro Apostolo a Baràtili.  Qualcuno di Riola aveva fatto dell'ironia sulla statua del Santo e da lì è cominciata una fitta sassaiola che ha coinvolto tantissime persone da una parte e dall'altra. 
In un punto, questa poesia diceva così:

[…]
Sa pedra frusiendi
e i femmia currendi,
de ispuntoi in spuntoi,
zerrianta a Sant'Antoi,
azzudaisì immoi
ca seus isconzoladas

Sa pedra frusiendi
e i femmia currendi,
tottu disisperadas, 
fuanta amesturadas, 
ndaia coiadas 
fiudas e bagadias, 

sa pedra frusiendi 
e i femmia currendi 
tottu cantu stasias, 
tristas e affrigias 
e inchilia che moras, 

sa pedra frusiendi, 
i femmia currendi 
trichittendi a
Arriora, 
ita bidda traitora, 
prepotenzia ancora 
adi crefiu usai. 

[…]
Fradi carissimus finu sa canzoni
S’urtima torrida pregu a m’iscurtai
Sa zenti ballendi cun bella unioni
Su divertimentu cos’e ispantai
Dus
arrioresus de mala intenzioni
Zerriendi in artu a no si calliai
Fuanta de ora in cussa intenzioni
A
Santu Pedru
 a cantus nchi ollianta potai
Ma su dizzu antigu tenidi arresoni
Cun Santus e cun maccus
No è bellu a brullai!




Traduzione

Le pietre che fischiavano,
le donne che scappavano
da una parte all’altra
invocando S.Antonio
per essere aiutate
nella loro mestizia

Le pietre che fischiavano,
le donne che scappavano
tutte disperate
erano mischiate
c’erano le sposate
vedove e signorine

le pietre che fischiavano,
le donne che scappavano
stanche e affaticate
tristi e scoraggiate
immusonite e nere

le pietre che fischiavano,
le donne che scappavano
correndo verso Riola
che gente traditrice
prepotenza ancora
ha voluto usare.
[…]
Amici cari, concludo la canzone
L’ultima strofa vi prego di ascoltare
La gente che ballava unita
Il divertimento che faceva meravigliare
Due riolesi con cattive intenzioni
Gridavano fortemente, avessero taciuto,
Avevano da un’ora quell’intento cattivo
Portarsi via la statua di San Pietro a pezzi
Ma il detto antico ha ragione:
coi santi e coi matti non si deve scherzare."

Testo tratto dal  blog "Chentu Berritas"

lunedì 20 giugno 2011

STORIA MEDIOEVALE DELLA SARDEGNA (sintesi - 4ª parte)


MARIANO II  (1240/1297)

Dal Prof. F.C. Casula apprendiamo che Mariano era figlio di Pietro II de Bas Serra, morto nel 1241, quando lo stesso Mariano aveva appena un anno.  Pertanto “fu sotto la tutela di Guglielmo di Capraia, che si fece riconoscere dal papa Giudice effettivo di Arborea”.
Alla morte di Guglielmo, avvenuta nel 1264, Mariano “divenne sovrano - in consorte - con Nicolò, figlio piccolo di Guglielmo”.
Dal 1273, anno in cui probabilmente morì Nicolò, egli agì come unico re; cioè divenne Giudice di Arborea.
Dal medesimo Prof. Casula e da altri storici sappiamo che Mariano II de Bas Serra è un personaggio storicamente definito. Da questo Giudice inizia la Storia vera del Giudicato di Arborea.
Egli rinforzò la città, ricostruendo possenti mura e allargandole, per includere una parte rimasta fuori dalle mura precedenti: in particolare incluse tutta la zona dove sorgevano la chiesa di S. Antonio e la cattedrale, a ovest della città.
Costruì anche le possenti torri: a nord Porta 'e Ponte o Porta Manna; a ovest la Porta 'e Mari; a est esisteva già una torre, chiamata Portixedda.

Torre di Mariano II  - Porta  'e Ponte  (foto tratta da Sardegna Digital Library)
Porta 'e Mari, demolita nel 1906 (foto tratta da Editrice S'Alvure '94)

Mariano II fece edificare anche un castello-fortezza (sua residenza) e una cancelleria, nei pressi di Porta 'e Mari, abbattuti all'inizio del secolo scorso per costruirvi il carcere mandamentale, ancora in attività.
Il Giudicato di Arborea, prima di Mariano II, si estendeva, a sud-ovest, da Capo Pecora a Narbolia (Is Arenas/rio Pischinappiu), a ovest; dalla Marmilla, a sud-est, alla Barbagia, a est.
Comprendeva tutto il campidano di Oristano, fino a San Gavino, nei cui pressi esisteva un castello (Castello di Monreale). Gli abitanti sarebbero stati circa 100.000.

(il rio Pischinappiu, segnava il confine nord-ovest del Giudicato di Arborea)

(veduta aerea del castello di Monreale)

Mariano II ingrandì il Giudicato, invadendo la Nurra dei Doria e varie altre contrade del Giudicato di Torres, su cui avanzava pretese ereditarie essendo parente del defunto Giudice titolare.
Occupò il Montiferru, San Leonardo Sette Fonti (sede di Ospedale), Macomer e Burgos.
“Le sue conquiste settentrionali furono riconosciute dal papa, che lo designava vicario generale della sacrosanta Chiesa nel Regno di Logudoro”.

Secondo quanto riportato dalle Cronache pisane, Mariano II era anche un cittadino “giurato” di Pisa, dove abitò spesso in una casa (dotata di  torre) di sua proprietà, in zona di Ponte Vecchio.
A Pisa era particolarmente legato, “si era sposato con la figlia di Andreotto Saraceno Caldera, l'ammiraglio della flotta Pisana, ed era divenuto fautore del Conte Ugolino della Gherardesca, quando, nell'estate del 1287, si era imparentato con lui tramite il matrimonio - per verba - del figlio minorenne Giovanni (detto Chiano) con la figlia del conte, Giacomina.
Mariano II si mantenne partigiano dei Gherardesca ugoliniani, accasandosi in seconde nozze con una parente dei Gherardesca medesimi.
Pare che egli aspirasse a unire tutta la Sardegna al suo Giudicato e, allo scopo, avrebbe pagato, inutilmente, 5.000 fiorini d'oro ad un alto prelato di Pisa, per ottenere l'investitura dalla chiesa.

Mariano II morì nel 1297, lasciando il Giudicato al legittimo erede Giovanni/Chiano, ancora minorenne.
“La sua effigie è ravvisabile in altorilievo a mezzo busto con corona, scettro e sfera in una nicchia sul fianco settentrionale della chiesa cattedrale di San Pantaleo a Dolianova”.

Testo a cura di Giuseppe Mocci

lunedì 13 giugno 2011

STORIA MEDIOEVALE DELLA SARDEGNA (sintesi - 3ª parte)


VASSALLAGGIO A PISA (1025/1323)

Alla sconfitta degli Arabi seguì un lungo periodo di vassallaggio della Sardegna alle due Repubbliche marinare.
I Genovesi si stabilirono nei territori facenti parte del Giudicato di Sassari (Torres) e in quelli del Giudicato della Gallura. Vi costruirono fortezze, castelli e città (Casteldoria, Castelgenovese, oggi Castelsardo, Alghero).
I Pisani si stabilirono invece nei territori del Giudicato di Cagliari, dove costruirono fortezze, castelli e città (Castel di Castro/ Cagliari, Villa di Chiesa/ Iglesias).


(Basilica romanico-pisana di Santa Giusta - XII sec.)

Da questo momento ha inizio, praticamente, lo smantellamento dei Giudicati, fatta eccezione per quello di Arborea. Quest’ultimo, comunque, dovette riconoscere l'autorità di Pisa e pagarle un tributo, oltre a quello che già pagava alla Chiesa (le famose decime).
Nonostante questi vincoli il Giudicato di Arborea attraversò un periodo di prosperità e benessere; disponeva di un porto (Cuccuru 'e portu) per mezzo del quale sviluppò intensi traffici marittimi, di numerose peschiere e di fertili terreni.
Pisa si inserì sempre di più nella vita e nelle vicende isolane; ottenne l’esenzione da tutte le tasse.
A Oristano i mercanti Pisani aprirono negozi lungo la via principale della città, l’attuale via Duomo. 


 (foto storica di Oristano - via Duomo)

Pisa influenzò anche culturalmente Oristano; alcuni nobili oristanesi, infatti, vi si stabilirono  per ragioni di studio, e qualcuno acquistò casa.
Il Giudicato di Arborea entrò, per la prima volta, nelle vicende continentali; suoi nobili rampolli (Donnikello-a) si accasarono in continente: a Genova, Pisa e in Spagna (Catalogna).
Durante questo lungo periodo, sul Giudicato di Arborea si sarebbero insediati una quindicina di Giudici, sulla cui identità gli storici non sono tutti concordi. Di questi, meritano particolare menzione Ugone I e Mariano II.
Dallo storico contemporaneo F.C. Casula, dell’Università di Cagliari, si apprende che Ugone era nipote del Giudice arborense Barisone I de Lacon Serra (1147/1174), perché figlio della donnikella arborense Sinispella, maritata in Spagna (Catalogna) col nobile Ugo-Poncio de Cervara (con questo nome venne chiamato anche Ugone I).

(ritratto di Barisone I d'Arborea)

“Alla morte di Barisone I d’Arborea, Ugone (detto Poncio) rivendicò il trono Oristanese contro le aspirazioni di Pietro de Lacon Serra, figlio di primo letto dello stesso Barisone.
Nel confuso periodo che seguì pare che Pietro, per mantenere il trono, si sia alleato con i Pisani, mentre Ugone, tramite la zia Agalbursia ed il re d’Aragona, si alleò con Genova per recuperare il Regno d’Arborea.
Morta Agalbursia e stipulata una pace fra Genova e Pisa il 7 luglio 1188, i due contendenti si accordarono nel 1192, sotto l’egida di Genova, per un “condominio che dava a entrambi la pienezza dei poteri sovrani senza scindere materialmente l’unità dello Stato”.
Sul Giudicato di Arborea quindi si insediarono due Giudici: Pietro I e Ugone I.
Ma il medesimo Giudicato venne rivendicato da due potenti parenti: Guglielmo I-Salusio IV, re di Cagliari, e Comita, re di Torres, che diedero subito battaglia.
“Nel 1195 Pietro I de Lacon Serra fu sconfitto dai due avversari e catturato insieme al figlio cinquenne; il condòmino Ugone I si diede alla fuga con l’arcivescovo Giusto.  
Oristano fu occupata e messa a fuoco; la cattedrale distrutta.  Poi venuto meno nel 1204 Pietro I de Lacon Serra ed avendo Comita di Torres rinunciato alle proprie pretese sullo Stato della valle del Tirso, Ugone I accettò di governare a Oristano in condominio con Guglielmo I Salusio IV di Càlari fino a quando, nel 1206, ne sposò la figlia di secondo letto, Preziosa.  
Il 30 Ottobre dello stesso anno egli si accordò col terribile suocero, Guglielmo, per rivedere i confini statali fra Càlari e Arborea, cedendogli metà della Marmilla.”.
Il Giudicato di Arborea quindi venne ridimensionato.

Testo a cura di Giuseppe Mocci


domenica 12 giugno 2011

Il dialetto riolese: "Su fillu spedritziau"

Traduzione in dialetto riolese della parabola di Gesu “Il figliol prodigo” (Luca 15,11-32)
a cura di Benedetto Sulas


(figliol prodigo - A. Durer)

Ũ  òmini tenìada du fìllusu. Su fillu pittiu adi nãu a su babbu: Babbu, zaimì sa patti de su bẽi chi mi tòccada. E issu ddis adi divìdiu is còsasa.
Appùstisi de ũa parigh’e diisi, su fillu pittiu, arragottu tottu, ch’esti andau a ũa bidda attesu e innì adi spédriu su bẽi bivendi chentz’e frẽu panù̃.
Candu ch’ìada ispèndiu tottu esti arribbada ũa caristia manna mẽ ĩ cussa bidda e issu adi incumintzau a essi ĩ s’abbisonzu.
Issàrasa esti andau a fai su tzaraccu de ũ òmini de cussu logu, chi dd’adi mandau ĩ campànnia a paschi pròccusu.
Si cherìada satzai cũ sa carrubba chi pappànta is pròccusu, ma no ‘ndi ddi zadia nèmusu.
Issàrasa esti torrau ĩ sei e adi nãu: Cantu tzaràccusu de babbu tèinti pãi ĩ abbundàntzia e invètzisi deu innoga seu morendi de fàmini! Mi nd’app’a pesai e app’a andai a innui esti babbu e dd’app’a nãi: O babbu appu peccau contr’a su sellu e contr’a tia, no seu pru dìnniu de essi tzerriau fillu tuu. Trattamì comment’e ũ tzaraccu cosa tua.
Esti partiu e s’esti agghiau a innui fìada su babbu.  Candu fìada ancora attesu, su babbu dd’adi biu arribendi, nd’adi tentu làstima e esti curtu a dd’attoppai, dd’adi impressau e dd’adi basau.
Su fillu dd’adi nãu: Babbu, appu peccau contr’a su sellu e contr’a tia, no seu pru dìnniu de essi tzerriau fillu tuu. Ma su babbu adi nãu a i tzaràccusu: Ajò moveisìdda, bettei sa tenuta  pru bella e besteideddu, poneideddi s’aneddu ĩ su póddighi e poneideddi is crappìttasa. Bettei su vittellu pru grassu, boccheideddu, pappàusu e fadeu festa, ca puita custu fillu miu fia mottu e esti torrau ĩ vida, si fia pédriu e dd’éusu agattau.
E anti incummintzau a fai festa.
Su fillu mannu fìada ĩ campànnia. Candu fia torrendi e fìada accant’e ‘omu, adi intèndiu i sõusu e i bàllusu: adi tzerriau ũ tzaraccu e dd’adi pragontau itta fìada tottu cussa festa. Su tzaraccu dd’adi nãu: Esti torrau frai tuu e babbu tuu adi fattu bocchì su vitellu pru grassu, ca puita esti torrau sãu e chentz’e tenni dannu. Issu s’esti arrannegau e no cherìada intrai.
Su babbu, issàrasa, esti bessiu a ddu pregai. Ma issu adi arraspostu a su babbu: Alla, deu t’appu fattu su tzaraccu ũ muntõi de ànnusu e t’appu sémpiri post’ĩ menti e tui no m’asi mai zau ũ crabittu po fai festa cũ is ammigu mìusu. Ma immõi ca esti torrau custu fillu tuu, chi si ‘nch’esti pappau su bẽi cũ i bagàssasa, po issu asi bocchiu su vitellu pru grassu.
Dd’adi arraspostu su babbu: Fillu, tui sesi sémpiri cũ immi e tottu su chi tenzu esti de tei; ma tòccada a fai festa e essi allìrgusu, ca puita custu fradi tuu fiada mottu e esti torrau ĩ vida, si fìada pédriu e dd’éusu agattau.

NOTE
- Sono presenti aferesi, sincopi e apocopi.
- Si usa “fradi” o “frai”.
- Non ho trovato in Riolese un eufemismo per tradurre “prostitute”; qualcuno usa “femmiasa màbasa”, ma la parafrasi è ambigua. Per questo ho usato il termine proprio “bagàssasa”.

Traduzione a cura di Benedetto Sulas - Tutti i diritti riservati

venerdì 10 giugno 2011

STORIA MEDIOEVALE DELLA SARDEGNA (sintesi - 2ª parte)


I GIUDICATI


Il primo Giudice, senz'altro discendente da un funzionario bizantino, pare sia stato un certo Jaleto o Gialeto; pare, perché gli storici non sono tutti d'accordo.
Comunque, tra Storia e leggenda, Gialeto viene considerato il primo Giudice-Re (711) della Sardegna autonoma e completamente distaccata dalla storia nazionale per alcuni secoli.
Gialeto risiedette a Cagliari, a capo del Giudicato cagliaritano;  da qui amministrò il suo Regno con la collaborazione dei tre fratelli (Nicolò, Tomaso e Inerio) ai quali affidò gli altri tre  Giudicati, ma sotto il suo controllo.

IL GIUDICATO DI ARBOREA

Questa Parte o Regione della Sardegna prese il nome prima di Arvarè, poi di Arbarei e, infine, di Arborea.
Il primo Giudice di Arborea di cui si ha notizia è Agatone, forse un discendente di Gialetonon vi è certezza perchè fino al Giudicato di Mariano II (1290-1296)  le fonti storiche sono scarse e controverse.
Spesso i nomi dei Giudici si ricavano da lastre marmoree ritrovate in chiese e monasteri (Bonarcado), oppure da testamenti e lasciti (fatti in favore sempre di chiese e monasteri).


(antiche mura del Monastero di Bonarcado)

Il Giudice Agatone sarebbe vissuto alla fine del secolo VIII e a lui sarebbero seguiti Galasio, Ugone, Gunalis, Mariano, Comita, Pietro, Torchitoro  o Orzocco de Zuri.
Dell'esistenza di Orzocco de Zuri ne parla lo storico del 1500 Giovanni Fara, che attribuisce a questo Giudice l’abbandono in massa della popolazione e di tutte le autorità della città di THARROS, capitale del Giudicato, e il conseguente trasferimento della maggioranza della popolazione ad Aristanis, che divenne la nuova capitale del GIUDICATO di ARBOREA.   
Parte della popolazione, invece, si trasferì a Cabras, Nurachi e Arriora (1070).
Questo trasferimento, naturalmente, fu preceduto dalla edificazione in Aristanis di opere militari di difesa, quali le mura e una fortezza, anche se non possenti come quelle che verranno costruite in seguito da Mariano II.


(Torre di Mariano II - Oristano)

Di Torchitoro il Fara riferisce che era figlio di Orzocco e Giudice di Cagliari.
In questo periodo i Giudicati sardi dovettero combattere a lungo per difendersi, da soli o in alleanza tra loro, dagli Arabi, che con continue incursioni avevano occupato, saccheggiato e distrutto le numerose Ville della zona costiera della Sardegna.
All'abbandono di Tharros, ormai ridotta a un cumulo di rovine, segue un periodo di tranquillità, non solo per Arborea, ma per tutta la Sardegna, perchè gli Arabi del famoso capo Muahib (Mugeto) furono sconfitti dalle flotte delle Repubbliche marinare di Genova e Pisa (1015/1025).
Queste due potenti Repubbliche intervennero su invito della Chiesa (Papa Benedetto nel 1015 e successivamente Bonifacio VIII) per liberare la cattolica Sardegna dai continui attacchi degli Arabi.
Naturalmente i Pisani e i Genovesi intervennero perché il Papa aveva promesso loro l’investitura del Regno di Sardegna, che faceva  parte, allora, del famoso patrimonio della Chiesa ereditato dall’imperatore del Sacro Romano Impero: Ludovico il Pio.

Testo a cura di Giuseppe Mocci

venerdì 3 giugno 2011

STORIA MEDIOEVALE DELLA SARDEGNA (sintesi - 1ª parte)


LE ORIGINI DEI GIUDICATI 

Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (Roma) nel V secolo d.C.(476) la Sardegna venne invasa dai Vandali di Genserico, provenienti dalle province d'Africa (470/530); cioè gli stessi Vandali che avevano già saccheggiato Roma nel 455 d.C.
Nel VI secolo (500/600) la Sardegna venne liberata dai Vandali, grazie all'intervento dell'esercito romano dell'Impero d'Oriente (Bisanzio) e amministrata da funzionari bizantini.

Antica mappa d'epoca medioevale raffigurante la Sardegna 


Durante l'amministrazione del Duca Zabarda i bizantini tentarono, invano, di sottomettere i popoli pagani della Barbagia, che non riconoscevano l'autorità di Bisanzio.
In quegli anni, capo dei popoli Barbaricini era Ospitone; le sue genti erano pagane e il loro habitat montuoso e di difficile accesso. Egli visse durante la dominazione bizantina con sede a Ollolai.
Da una lettera del Papa Gregorio Magno del 597 sappiamo che Ospitone accolse favorevolmente i  due religiosi che il Papa aveva mandato in Barbagia per evangelizzare quelle popolazioni pagane (il vescovo Felice e il frate Ciriaco). In particolare Gregorio Magno, con questa lettera, ringrazia Ospitone per l’accoglienza e l’aiuto forniti ai due religiosi.
Da allora, gradualmente, le popolazioni pagane della Barbagia si convertiranno al Cristianesimo. Sorsero i primi oratori, le piccole chiese di campagna e le chiese parrocchiali.

(Chiese bizantine di Santa Sabina e San Saturnino)

Nel resto dell’Isola, peraltro, il Cristianesimo aveva già fatto grandi progressi.  Prima, grazie all’azione dei bizantini, che costruirono molte nuove chiese, chiamate appunto bizantine dalla nuova  forma architettonica (molto note le chiese di San Saturnino a Cagliari e Santa Sabina a Silanus). 
In seguito, dall’anno mille, grazie all’opera dei vari ordini monastici, che costruirono molti monasteri e chiese (compresa la chiesa medioevale di Santa Corona a Riola).
  
Chiesa medioevale di Santa Corona - Riola 

I Bizantini amministrarono la Sardegna per un secolo con i famosi funzionari imperiali (detti: Esarca, Preside, Duca, Generale), che ebbero sede a Cagliari. Questi, a loro volta, nominavano 2 Giudici:  uno per amministrare la Giustizia, con sede a Cagliari, l’altro per comandare l’Esercito, con sede a Fordongianus (Forum Traiani), dove esisteva ancora il Castrum romano (caserma-fortezza).
Alla fine del VII secolo i Bizantini dovettero abbandonare la Sardegna, per difendere il loro Impero dai continui attacchi degli Arabi, loro confinanti ed in forte espansione.
Quindi, venuta meno l’autorità ed il controllo di Bisanzio (intorno al 600 d.c.), la Sardegna rimase in mano ai funzionari in carica, i quali (erano tutti parenti o loro fidati e ben retribuiti amici) si resero autonomi e col passare del tempo si spartirono l’Isola in quattro Parti, Regioni, Giudicati (o Regni, come usa chiamarli il prof. F.C. Casula della Università di Cagliari).
Si formarono così i quattro Giudicati della Sardegna: Cagliari, Arborea, Torres e Gallura.

Testo a cura di Giuseppe Mocci